E'
una prole dalla discendenza vaga e vacillante che ha dimesso i panni transitori
e prevedibili delle solite estetiche da Mtv. I dark dai velluti neri e i fuseaux
composti, le creste brillanti, l'alito alcolico e le t-shirt con spille da balia
dei punk, le borchie ovunque sulle felpe da concerti live dei metals o le casualità
larghe e riciclate del grunge voluto da Kobain sono esperienze antiquate. Quelle
brevi ribellioni limitate a qualche rutto in pubblico spacciato per nichilismo
radicale non ci sono più. Oggi i bambini indossano alla rovescia le griffe
ufficiali, si chiudono dentro capi qualunque che sembrano travestimenti, intorno
a quelle pose di passaggio che assemblano tra loro elementi misti ricevuti a casaccio
in quantità eccessive e somministrazioni disordinate. Mancini rincorre
e comprova le tracce lasciate dai disorientati teenager che vivono oggi. Dedica
a loro le sue produzioni attente e spiazzanti, i suoi files meticolosi, concentrati
e sensibili. Fra poche righe lui ci spiegherà qualcosa di più,
ma conviene cominciare ad accettare - e se possibile a risolvere - l'esagerata
e confusa ricezione del tutto che gli adulti di domani, proprio ora, mentre io
scrivo e voi leggete, si trovano a subire e inventariare. Senza dirlo. Stefano
Elena: Perché hai deciso di indirizzare la tua ricerca estetica verso
fisicità adolescenziali, proponendo ritratti (forse meglio definirli "documenti"?)
mediati da un'istantaneità digitale che rende generico, collettivo, l'approccio
al soggetto trattato? Pietro Mancini: Mi fa piacere che tu abbia definito
"documenti" i ritratti: in effetti è un termine che espone in
modo più adeguato i lavori. Più che ricerca estetica la mia è
stata una conseguenza: le cose che "abitano" in me mi hanno portato
a questa "scelta" e in più il fatto di avere dei figli preadolescenti
ha stimolato la riflessione e la creatività. In loro e nei loro amici ho
rivisto me stesso alla loro età e quanto ancora di quel periodo mi porto
dentro (e non mi riferisco alla sindrome di Peter Pan). Credo che la fase adolescenziale
non finisca mai, se ci riferiamo alla necessità di crescere e di comprendere
con i dubbi, gli ostacoli e le speranze che accompagnano il percorso. Non
penso che un adulto sia esonerato dall'esigenza di "crescere". Nell'adolescente
i sentimenti sono meno camuffati, gli elementi in gioco sono più evidenti.
C'è la questione della "bellezza" (non mi riferisco a quella
fisica), la sua possibile perdita e il forte desiderio di ritrovarla. Anche il
rapporto con le varie istituzioni (scolastiche, religiose, familiari, televisive,
etc..) ha una forte influenza: spesso ritengo il legame giovane-istituzione-educazione
portatore di veloci liberazioni e di rigidi valori.
Stefano Elena:
Nei tuoi lavori recenti esiste un equilibrio lampante ed educato fatto di fertilità
umana, misticismo ed iconografia del logo che veste corpi casual (Adidas, Puma,
etc.). A cosa dobbiamo tale relazione?
Pietro Mancini: Ho utilizzato
vari simboli, da quelli religiosi a quelli commerciali. Chiaramente questo tipo
di operazione fa pensare a una sostituzione di valori: il logo mercificato diventa
aspirazione, desiderio di possedere o meglio di "essere posseduti" dall'oggetto
che ti avvolge, ti accetta e ti fa sentire giusto. Parallelamente può esserci
un'altra chiave di lettura, dove il soggetto "documentato" rimpasta
elementi che fanno parte del suo vivere e li applica con decorazioni-simbolo evocando
ferite, recuperi, aspirazioni alla propria origine. Inoltre i loghi hanno spesso
origini impegnate: l'Adidas ha un giglio stilizzato (simbolo di purezza), la Guru
(già il nome la dice lunga) una semplice margherita che ne rinforza il
significato, l'All Star ha evidenti legami con il firmamento e così via.
Sembra una pianificazione promozionale mistica
Stefano Elena:
Perché sui volti e i corpi di molti dei tuoi 'young men' compaiono decorazioni/incisioni
vicine alle tavole di enciclopedie illustrate?
Pietro Mancini: Le tavole
che utilizzo su volti e corpi sono schede di catalogazione di piante, fiori e
animali. Questa sorta di tatuaggio ha diverse sfaccettature, prima tra tutte la
mimetizzazione della delicatezza dei soggetti che sembrano dire: " puoi osservarmi,
ma sappi che sono delicato come una pianta, un fiore, un uccellino". Ripensando
al termine "documento" credo che l'utilizzo del catalogo acquisti ancora
più senso: alcuni miei lavori si chiamano "Catalogazioni", altri
"Catalogazione negata". S.E.: Sapresti descrivere un ambiente
abitativo adeguato ad ospitare i giovani protagonisti delle tue opere?
P.M.:
Se fai riferimento ad un aspetto prettamente artistico, i siti che utilizzo sono
luoghi in disuso, fabbriche e abitazioni che assumono una veste diversa, presso
la quale i miei young men possono incontrare i propri coetanei, appartarsi, lontano
dalle "volontà iniettate senza aghi", come le hai definite tu
nel testo della recente collettiva "Fuorigioco". Dove travi di ferro
e muri sgretolati diventano cattedrali per pellegrini in transito. Nella realtà
parlerei di più ambienti che permettano di appartarsi, che possano essere
condivisi con presenze adulte e/o familiari e con le loro inevitabili imperfezioni,
avvalendosi di equilibri importanti fatti di tolleranza, chiarezza e amore. S.E.:
Recentemente l'immagine del teenager ha vestito, specialmente al cinema, ruoli
di ribellione decisa, di un'istintività totale che sembra non necessitare
più di alcun ausilio familiare. Penso a film come "Ken Park",
"Sweet Sixteen", "Thirteen". In qualità di padre e
di artista, quale possibile "autorità" (perdona l'esagerazione
del termine) credi di poter esercitare sui tuoi doppi figli, quelli generati da
uomo e quelli creati da artista?
P.M.: Non nascondo di ignorare i titoli
che citi, ma mi sembra di capire che uno degli aspetti dominanti sia, appunto,
l'assenza dell'ausilio familiare. In effetti questo tipo di tematica è
veramente molto larga e lascia spazio a osservazioni che credo meritino un approfondimento
capillare. Posso dire che la presenza adulta può inibire il "processo
di autoguarigione": a volte l'intervento migliore è l'assenza. Riguardo
"all'autorità" di padre non posso che ripetermi: nella mia inevitabile
imperfezione cerco di trovare un equilibrio nel rapporto con i giovani uomini,
ricordandomi che lo sono stato anch'io e che continuo ad apprendere e, mi auguro,
a crescere. Come artista devo solo ringraziarli di essere pazienti e disponibili
con me. In verità anche come padre
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