Luci bluastre e tavoli traslucidi, nessun tabagista a perder
cenere o tossire, nitidezze fredde in high-resolution che
consegnano un convincente senso di alienazione: è l'estromissione
dell'uomo e dei suoi vincoli dalla veduta scenica di una realtà
ineccepibilmente simulata, a prova d'errore, nella quale ciascun
oggetto attoriale chiamato a deporre rispetta la disposizione
assegnatagli perché le implicazioni deducibili non
comportino fraintendimento alcuno.
Ogni elemento presente riguarda se stesso, le sue regole e
il suo passato, l'attività svolta e le ripercussioni
sull'attualità dei fatti. Ogni elemento presente diventa
ed è pregno d'accezioni e sensi, liberamente adducibili
e definitivamente incisi nella storia intenta a ricostruire
i trascorsi. Ogni elemento presente deve essere amplificato,
visto da vicino e/o definito, evitando perdite che compromettano
la probabile conclusione.
L'uomo, quasi, non serve più, se non vestito da osservatore
esterno che scruta e contempla per capire, per penetrare l'insopportabilità
o la plausibilità di quanto già successo, quando
lui non c'era. Godiamo così dell'illustre fascino di
un prima ignoto carico di questioni e suggestioni oppure del
sagace intento di un dispetto estetico che vuole rappresentare
il pathos per tratteggiare la negazione di qualsiasi
dramma, l'esorcismo del tormento.
In arte internazionalmente noti sono, secondo le attinenze
sopradescritte, Izima Kaoru (1954) e Gregory Crewdson (1962).
Il primo, affermato fotografo di moda, ritrae mannequin griffate&morte
in campi lunghi tipicamente cinematografici, dove il cadavere
arriva per ultimo, posto in fondo all'immagine come un particolare
da cercare e trovare, quasi fosse lui stesso la prova di una
morte qualsiasi in mezzo alla vuota improvvisazione del nulla,
così tanto vuota da sembrare inaccettabile.
Crewdson invece è interessato al coinvolgimento dell'uomo
qualunque (a volte interpretato da nomi del calibro di Gwyneth
Paltrow, Julianne Moore o Jennifer Jason Leigh) nel bel mezzo
di una situazione periferica e domestica - di matrice edwardhopperiana
- che riesce a trasformare il cortile di un'abitazione borderpop
in luogo di deriva destinato all'ambito scoop della cronaca
nera locale.
Dall'Italia giunge la gradita voce di Umberto Romagnoli (Roma,
1970), di recente passato all'uso del colore dopo lunga militanza
tra le ombre lunghe del bianco e nero. Romagnoli si dedica
oggi con attenta maniera proprio al rapporto corrente tra
cinema e fotografia, alle opportunità che quest'ultima
permette di ereditare, replicare e parafrasare rifacendosi
a stili e metodi della settima arte.
Come d'abitudine in questi casi, preferisco apprendere dalla
"sua viva voce" pareri in proposito.
Ecco a voi, quindi, Umberto Romagnoli. E non dimenticate di
pulire le impronte
Esistono evidenti affinità tra il tuo recente lavoro
fotografico ("L'ultimo inganno") e le "forme"
che compongono certo cinema o - per restare in tema - certi
serial televisivi quali "C.S.I." e "24".
Puoi dirmi qualcosa in merito?
I miei lavori traggono sicuramente ispirazione dal Cinema
Horror e dai
B-Movie, del quale sono grande amante e collezionista, questo
sia
iconograficamente che in relazione al fatto che il Cinema,
proprio per la
sua struttura, rappresenta un universo parallelo alla realtà.
Credi possa succedere che la fotografia "d'autore"
(pessima definizione
!) si impossessi definitivamente
del cinema? Che i suoi modi decidano di rileggere, emulare
e rispettare le strutture tipiche degli script cinematografici
con l'intento di riprodurne le attese, i ruoli e le sensazioni?
Credo nelle contaminazioni, la Fotografia può ritagliarsi
uno spazio
all'interno di queste dinamiche mettendo in evidenza quelle
che sono le sue
caratteristiche, la capacità di sintesi, la luce ecc.
La fotografia potrebbe, in virtù della domanda
precedente, diventare una sorta di still da video nonostante
il video non esista? Collocarsi tra un prima e un dopo che
non ci sono, in mezzo ad una narrazione negata il cui scorrere
è destinato a costruirsi nell'immaginario soggettivo
di chi guarda e cerca?
I sentimenti ispirati alla vista di un'immagine possono essere
molteplici
a seconda delle persone, per questo a volte si parla di "specchio",
poi ci
sono delle priorità che rappresentano in ognuno il
proprio universo. Io nel
mio mi limito a dare alcune indicazioni, non è sempre
funzionale cercare di
dire tutto in una volta.
Perché il cinema dovrebbe/potrebbe diventare un
metodo per la fotografia?
Perché il Cinema è parte della realtà
mistificata che viviamo
quotidianamente.
Si può prendere per il culo il cinema usando la
fotografia?
Se intendi una cosa tipo Davide contro Golia o Ulisse e Polifemo
la storia è piena.
Si crea una storia ulteriore, che può apparire terribilmente
seria ma poi
diventa paradossale, il senso della cosa resta nel limbo.
Si può essere anche dissacranti e non solo con il Cinema,
bisogna vedere se la cosa funziona.
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