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Testi di Vilma Torselli su "Antithesi", giornale online di critica d'architettura.
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Frank Lloyd Wright
di Vilma Torselli
pubblicato il 1/06/2007
"...For Organic Architecture I mean an architecture that developments from within outward , in harmony with the conditions of its being, distinguished from an architecture that comes applied from the outside ... to work well for the Cause of the Architecture ... " (Frank Lloyd Wright, " For the Cause of Architecture" , The Architectural Record , 1914)
Frank Lloyd Wright (1867-1959) rappresenta lo spirito autentico dell'architettura americana, prima di lui impastoiata da un classicismo di importazione che soffocava ogni possibilità di evoluzione autonoma con preconcetti storici retrogradi e pretestuosi: conscio dei diritti all'indipendenza intellettuale del suo giovane paese egli dice "Di fronte a voi europei io sono veramente un emissario della terra, che predica il sale di una nuova vita. Io vi invito ad essere un po' meno autocoscientemente educati e conservatori, a essere più liberamente ragionevoli."

La terra, il suolo di una nazione sono la base, fisica e morale, su cui appoggiano la sua società e la sua architettura, sono quei valori tradizionali e genuini che Robert Henri, Edward Hopper e tanti altri esponenti del Realismo americano assumono a simbolo dell'America più umile e più vera, modello di affidabilità, stabilità, indipendenza ed autosufficienza, l'America dei paesaggi rurali, dei grandi spazi, delle sconfinate praterie dei loro dipinti.
Wright rappresenta il legame tra la Scuola di Chicago, improntata dal genio creativo e dalla illuminata visione umanistica di Louis Henry Sullivan, e la moderna architettura dell'America del nord , frutto di una cultura finalmente consapevole delle sue radici e delle sue intatte potenzialità, senza complessi, senza inerzie, senza sentimentalismi, senza forzature intellettualistiche, una cultura autonoma, puritana, libera.
Frank Lloyd Wright è un grande rivoluzionario che crede con forza in quello che dice e che fa, personaggio irruente, eccentrico, anche sul piano umano, con la sua vita movimentata, l'abbandono della famiglia, la fuga in Italia con la moglie di un suo ricco cliente, l'incendio doloso che distrugge la sua casa nel Wisconsin, una deontologia professionale non proprio cristallina……. un passionale con una straordinaria capacità speculativa ed una lucidità mentale rigorosa, una miscela rarissima che, quando si verifica, può veramente generare personaggi in grado di cambiare il mondo.

E Wright lo cambia davvero, con la sua tenacia, la profondità dell'indagine, l'intransigenza, il radicalismo, l'incontenibile volontà di fare (nella sua vita professionale realizzerà più di mille progetti!), l'ardore megalomane della sua predicazione, la fede nella sacralità del legame tra vita e lavoro: "….Un buon edificio organico è il più grande dei poemi. E il fatto che debba far fronte alla realtà, debba essere la realtà, debba servire la vita e incitarla, debba insomma fare della vita quotidiana qualcosa di più degno di essere vissuto….. non rende un edificio meno poetico, anzi più veramente tale". E' lui il padre dell'architettura organica, intesa come ricerca non solo delle funzioni dei singoli spazi, ma delle loro reciproche interelazioni risolte in compenetrazioni di volumi elementari, nel dinamismo progettuale di strutture che rispecchiano i reali bisogni dell'uomo e le esigenze delle attività in esse svolte, sia del singolo che della collettività, sia del privato che del pubblico, secondo la concezione di un'architettura che dia significato alla società, un'architettura libera, aperta e democratica come la società che rappresenta.
In questi termini, è d'obbligo ricordarci di Alvar Aalto, di Eero Saarinen e della scuola svedese che, nel 1930, dà origine al movimento organico europeo con Erik Gunnar Asplund.

Siegfried Giedion, con il quale Wright intrecciò una pungente polemica, esprime concrete riserve persino sull'uso del termine "organico" applicato all'architettura ("…. Tutto il lavoro di Wright è consistito nello sforzo di esprimersi in quella che lui chiama l' "architettura organica", significhi quel che si vuole…"), come del resto altri critici del movimento moderno, non Walter Behrendt, che rintraccia nel concetto di organicità l'antitesi del formale, le due facce di quello che egli chiama "dualismo dello spirito creativo" (formative art ed il suo contrario fine art), senza peraltro che il dibattito con il razionalismo europeo si concluda in modo produttivo e soddisfacente.

Facendo una digressione cronologica e cercando di leggere il presente alla luce del passato, possiamo ritrovare questa antinomia già a partire da molto lontano, dal Partenone per esempio (480 a.c.) e ricordarci di come sia importante per l'architetto greco l'unitarietà del progetto e per l'osservatore l'interezza della percezione di una struttura in cui nulla è superfluo, nulla può essere eliminato dalla visione complessiva senza alterare profondamente l'essenza dell'edificio.
Mentre al contrario, una struttura gotica o barocca vivono secondo un loro ritmo narrativo entro il quale possiamo leggere diversi scorci prospettici, senza poter abbracciare il tutto da un solo punto di vista.
Si tratta di due diverse visioni dell'architettura, ciascuna completa in sé stessa, ineccepibile nelle sue formulazioni, due differenti visioni del mondo, senza che una possa definirsi superiore all'altra, ed è ciò che possiamo dire del confronto tra l'architettura razionalista e quella organica ("….In uno schema organico ci sono eccellenti ragioni perché una cosa sia com'è, perché stia ad un certo posto e non altrove….").

Una sostanziale novità nell'opera di Wright rispetto a quanto la precede è l'elasticità dello schema progettuale, che non nasce predeterminatamente da un complessivo postulato geometrico, quand'anche realizzabile per lotti successivi, ma dalla definizione di uno spazio interno principale, nucleo di partenza al quale gli altri spazi si aggregano quando e come necessari, secondo l'accrescimento evolutivo di un organismo, determinato da nuovi sviluppi delle esigenze abitative .
E' un concetto che ribalta letteralmente la procedura progettuale tradizionale perché concepisce la genesi del volume dal di dentro, con un senso dell'interno che fa dell'esterno la sua conseguenza, in un'architettura a misura d'uomo ove la soluzione spaziale elimina corridoi di distribuzione e zone inutili e gli ambienti, prima in aggregazione seriale, si fondono e si dilatano l'uno nell'altro, con rinnovata ampiezza di respiro in una pianta libera che non ricerca forzate simmetrie, prospettive fisse, rispondenze prestabilite.
Ecco comparire come fondamentale il tema della cavità, dello spazio interno vuoto, lo spazio racchiuso ("….L'ambiente interno, lo spazio entro cui si vive è il grande fatto dell'edificio….."), paradigma dello spazio interiore mentale ed emotivo, spazio fisico e psicologico, libero ed autonomo come la mentalità americana, come lo spirito di una società assai meno politicizzata di quella europea, più flessibile e pragmatica, in espansione, pionieristicamente individualista: scrive Wrigth: "….ogni uomo ha il diritto di vivere nella sua casa come egli vuole. E' un pioniere in tutti i sensi della parola. La sua casa rifletterà in suo carattere, le sue idee, se ne ha, ogni americano ha qualche caratteristica sua…..".
E dichiara: "... Ho sempre voluto costruire per l'uomo d'oggi, costruirgli dentro il suo domani , organico rispetto al suo Tempo e al suo Luogo d'Uomo moderno ... architettura intrinseca al Tempo , al Luogo e all'Uomo ...…. L'ambiente umano può essere concepito e creato secondo natura: secondo la natura del Tempo, del Luogo e dell'Uomo...." costruendo la casa come la "tana" dell'uomo (si tenga conto che Wright predilige occuparsi di architettura domestica), rifugio sicuro ed utile riparo.
Diversa per ogni individuo perché ognuno di noi è diverso dagli altri, ogni casa, come ogni uomo, deve avere un suo "carattere", con spazi interni fluidi, collegati ma non divisi, dove pochi muri continui danno le direttive spaziali in una pluridirezionalità di percorsi ramificati ed asimmetrici, spesso incernierati su un camino centrale, l'anima più intima dell'abitazione, mentre i vari materiali da costruzione si propongono per la loro intrinseca valenza estetica, diversi ed ognuno significativo in sé stesso.
Si instaura così un rapporto nuovo, un nuovo tipo di interazione tra il manufatto dell'uomo e l'opera della natura, tra interno ed esterno, perché "….ambiente ed edificio sono una cosa sola; piantare gli alberi nel terreno che circonda l'edificio, quanto arredare l'edificio stesso, acquistano un'importanza nuova, poiché divengono elementi in armonia con lo spazio interno nel quale si vive. Il luogo (la costruzione, l'arredamento) - ed anche la decorazione, e anche gli alberi - tutto diviene una cosa sola nell'architettura organica ... sintesi nella quale confluiscono tutti gli aspetti dell'abitare, e si pongono in armonia con l'ambiente. Questo appunto è ciò che la posterità definirà architettura organica….".
La semplicità priva di orpelli e di citazioni passatiste, la ricerca costante di un rapporto integrato con l'ambiente naturale, la tendenza all'orizzontalismo, la pulizia formale sono tratti caratteristici dello stile di Wright certamente accentuati dallo studio minuzioso delle stampe giapponesi, delle quali egli divenne un vero esperto ed un importante collezionista: da lì, dall'essenzialità della grafica giapponese egli ricava il concetto di mutamento e di adattabilità dell'opera dell'uomo secondo il mutare delle esigenze, da una civiltà per la quale ciò che è incompiuto ed inespresso, ciò che muta e si rinnova, il frammento del reale, è molto più significativo di ogni simmetria e di ogni rigida schematicità. Il Giappone, dove Wright si reca per la prima volta nel 1905, entra nle suo immaginario visivo ed emotivo già nel 1893, quando all'Expo di Chicago vede una riproduzione della Villa imperiale di Katsura, captandone il messaggio fortemente innovativo per la mentalità occidentale

Nel '35 Edoardo Persico scrive: "Wright può essere considerato il Cézanne dell'architettura nuova. È, forse, utile che sottolinei la concordanza del plein-air degli impressionisti con l'amore per la natura di Wright, che realizza soltanto in campagna i suoi capolavori?".
Personalmente, trovo che Wright sia parecchio lontano dall'Impressionismo, in realtà l'attenzione al contesto naturale, il rapporto dialettico tra interno ed esterno è mutuato soprattutto dalla cultura precolombiana e dall'architettura mesoamericana, così come l'idea di uno spazio interno che si dilata verso l'esterno con superfici mosse dal gioco plastico di una decorazione che, eliminato totalmente il concetto di decoro applicato come sovrastruttura, ne è invece parte integrante: giova ricordare quale esempio la Ennis- Brown House di Los Angeles, evocativa di civiltà architettoniche antiche, con la sua sagoma altera e sacrale da tempio Maya, saldamente ancorata alla terra, le pesanti pareti interamente costituite da textile blocks, blocchi modulari di cemento prefabbricati prodotti industrialmente (allo stesso Wright si devono numerose, geniali invenzioni strutturali).

Il linguaggio tecnologico straordinariamente duttile arricchisce la struttura di connotazioni quasi tattili, a dimostrare, secondo l'insegnamento di Sullivan, che "è errato pensare che l'uso legittimo della macchina precluda quello della decorazione. E' esattamente il contrario. La decorazione, segno della fantasia, è oggi più vitale di quanto mai sia stato ogni altro sistema o "strumento"….." .
Ho citato spesso, letteralmente, le parole di Wright perché, nella sua lunga carriera, egli ha parlato e scritto molto, con ricchezza di particolari, chiarezza, precisione, didascalicità, con la passione di chi difende le proprie idee e per questo vuole che siano correttamente comprese, senza equivoci né pudori, rivelando la sua poetica e la sua anima con eguale sincerità e, a modo suo, umiltà, come nessun commento riuscirebbe a fare meglio.
Un uomo, Frank Lloyd Wright, del quale si potrebbe dire, parafrasando Bruno Zevi in una delle sue ultime interviste, che "aveva il coraggio nel destino", obbligato ad agire, a dedicarsi con ardore quasi fanatico alla sua causa, come se ne dipendesse della salvezza dell'umanità, un tipo d'uomo per il quale "qualsiasi impresa è buona…….e dovrà essere sempre personalizzata, cioè discorde, tinta d'eresia, contestataria, affinché si configuri… in antitesi al vecchio, al ristagno, al corrotto, al logoro, al devitalizzato".
Come l'architettura organica, appunto.


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