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Charles Edouard Janneret, Le Corbusier
di Vilma Torselli
pubblicato il 1/06/2007
"L'architecture est un jeu savant, correct et magnifique des volumes assemblés sous la lumière…..; les cubes, les cônes, les sphères, les cylindres, ou les pyramides sont le grandes formes primaires….." (Le Corbusier)
L'opera di Charles Edouard Janneret, Le Corbusier (1887-1965) nell'ambito dell'architettura mondiale lascia una traccia così profonda che molte correnti architettoniche precedenti e seguenti vengono lette in sua funzione, il Liberty viene riduttivamente identificato come una manifestazione prodromica al razionalismo, l'architettura organica viene interpretata in chiave dialettica nei suoi confronti, tutto il movimento moderno si confronta con l'opera di Le Corbusier, per analogia o per contrasto. Certamente egli fu uno straordinario teorico dell'architettura: come pochi architetti moderni seppe organizzare le sue idee in schemi e codificazioni di estrema precisione e coerenza, entro un'impeccabile costruzione di razionalismo cartesiano, con una preoccupazione dottrinaria costante, sempre teso a dimostrare un assunto o un principio, ad individuare un disegno logico, ad enunciare una "regola", con il fervore cieco ed assoluto di chi è convinto che esista la formula della perfezione e che sia contenuta nel purismo e nella semplicità di un linguaggio giocato su "pochissimi motivi, illimitata gamma di accenti".

Alla fine della sua vita, Le Corbusier raggiungerà l'estrema sintesi della sua ricerca di purezza e di essenzialità mettendosi in gioco, ancora una volta, in prima persona e confrontandosi col lo spazio rigoroso e minimalista del suo cabanon davanti al mare di Roquebrune.

Anche per lui, come per Gaudì, Aalto, Saarinen e tanti altri vale la regola dell'imprinting dei luoghi d'origine ed è evidente che Le Corbusier non è svizzero invano!
Dice di lui Bruno Zevi: "…ciò che per lui vale è la soluzione. Costruire non è altro che l'atto di mera trascrizione di una idea premeditata. Il valore è nell'idea, nel principio, nell'epigrafe, non nel lavoro."
Le Corbusier riconosce il suo concetto di continuità spaziale, di spazio percorribile in più dimensioni e direzioni, uno spazio-tempo secondo le teorie einsteiniane, nella poetica cubista, alla quale aderisce individuando nell'opera di scomposizione della forma del Cubismo analitico e sintetico di Picasso e di Braque la sua stessa ricerca di un ordine intrinseco alla realtà, frutto di un lucido atto intellettuale con il quale l'artista ricompone ciò che è stato analizzato secondo un utopico modello di purezza formale, non naturalistico ma razionale: c'è più di un ricordo di Cezanne, padre spirituale del Cubismo e di tutta l'arte moderna, che ha demolito con la sua opera il principio fondamentale della prospettiva, l'unicità del punto di vista, proponendo per la prima volta l'esempio di una realtà non copiata ma costruita intellettualmente nei suoi aspetti essenziali, secondo una logica trascendente.

E' quello che Le Corbusier fa in architettura: smonta il discorso architettonico tradizionale, ne enuclea e ne elabora gli elementi fondamentali, cinque, i comandamenti scolpiti nella sua tavola della legge, i pilotis, i tetti-giardino, il piano libero, le finestre en longeur, la facciata libera, li ricompone secondo una nuova sintassi di cui inventa le regole, anche qui con un esplicito richiamo a Cezanne: "L'architecture est un jeu savant, correct et magnifique des volumes assemblés sous la lumière…..; les cubes, les cônes, les sphères, les cylindres, ou les pyramides sont le grandes formes primaires…..", gli stessi termini che Cezanne, ai primi del '900, usa in una corrispondenza con un suo giovane allievo.

Non è difficile individuare, all'interno della copiosissima produzione di Le Corbusier, le cadute di tono, i punti deboli, in cui la preoccupazione teorica soffoca o sacrifica in parte l'ispirazione lirica nei termini di un corretto discorso letterario, ma quasi sempre la sua trasfigurazione della materia in una modulata tensione di linee, rettangoli, semplificate superfici, netti volumi di controllata semplicità è pura poesia. Le Corbusier è un rigoroso matematico, un puro razionalista, ma è anche un poeta, un romantico, che per tutta la vita porta avanti con tenace passione un discorso perentorio, senza smagliature, disciplinato, ma non accademico né freddamente normativo, semplice ma non minimalista, dove gli strumenti figurativi sono drasticamente selezionati con volontaria rinuncia.
Il suo è un mondo perfetto, razionale, laico, illuminista, permeato da una visione antropocentrica di matrice rinascimentale, è un mondo "a misura d'uomo", un mondo parametrato, standardizzato e normalizzato sul Modulor, ispirato all'opera grafica di Fernand Léger, che definisce le due scale dimensionali su cui si reggono l'architettura e l'urbanistica. Progettata sul Modulor, la casa è una "macchina per abitare", essenziale, di "sanguigna rudezza e polemica astinenza da ogni finitura gradevole", versione architettonica della pittura brutalista di Léger e Picasso.
Einstein, dopo un incontro con Le Corbusier a Princeton, gli scrive la sera stessa, a proposito del Modulor: "Si tratta di un sistema bidimensionale che rende difficile il male e facile il bene": con il Modulor viene ufficialmente codificato il principio unificatore universale che regola la vita ideale dell'uomo ideale, dall'architettura alla meccanica, dalla forchetta alla città".

Poi viene la cappella di Notre-Dame du Haut a Ronchamp.

"Impara tutte le regole - recita un antico aforisma - e poi infrangine qualcuna".
A Ronchamp Le Corbusier le infrange tutte: niente pilotis, niente finestre a nastro, niente facciata libera…… il tetto è una impraticabile massa incurvata come una vela gonfia di vento, le facciate sono spesse fortificazioni scavate da finestre disuguali, sghembe, strombate, l'impianto progettuale ignora ogni schema stereometrico e geometrico stabilito a priori, lo spazio è un'esistenziale attualità nella quale coesistono contemporaneamente tutte le direzioni, il volume pare generato da un flusso di energia, autoalimentato, rude come una struttura medioevale, barocco nella sua spiazzante informalità, duro e pesante come un masso calato dal cielo in mezzo ad una natura sbigottita.
E' la dichiarazione di una sistematica, irriducibile, sfrontata, plateale, radicale volontà di mettersi in discussione, di affermarsi inequivocabilmente "altro" dal suo stesso sé, è un atto di estremo coraggio, di estrema onestà, umiltà, generosità.
Bruno Zevi, rifacendosi a Roland Barthes , dice che, a Ronchamp, Le Corbusier "comincia a ricercare il grado zero", inventa una scrittura bianca, svincolata, aculturale, neutra, una "scrittura basica" per attuare quella rottura linguistica che lo renderà libero dai suoi stessi dogmi e che, di punto in bianco e senza spiegazioni, lascerà i suoi seguaci senza codici, senza norme, senza regole: infatti non le sostituirà mai più.

Gli sforzi di critici e storici dell'architettura mirano ad individuare una continuità tra tutta la precedente produzione di Le Corbusier e la Chapelle de Ronchamp, per definirla come una tappa coerente del suo percorso creativo, dove l'inusitato linguaggio espressionista, simbolista ed informale denuncia l'adesione spirituale e psicologica al tema religioso ed alle sue implicazioni emotive.

A parte i dubbi che si possono avanzare sulla "religiosità" di Le Corbusier, pretesto e strumento per liberare pulsioni irrazionali profondamente umane e terrene, non saprei dire se sia così importante leggere una inequivocabile continuità tra il "prima" e il "dopo" Ronchamp, anzi, per essere sincera, direi che non c'è nulla di male ad ammettere che Le Corbusier, ad un certo punto della sua vita, è cambiato: si cambia per rinnovarsi, per adattarsi, per sopravvivere, il cambiamento fa parte del processo evolutivo della specie e dell'individuo, i luoghi, le persone , la storia mutano in continuazione, in meglio o in peggio, non ha importanza. Di certo Ronchamp rappresenta prima di tutto un viaggio della memoria, il recupero di visioni del bacino del Mediterraneo, il ricordo di una sensibilità pittorica e scultorea che osmoticamente confluisce nell'architettura (Le Corbusier fu anche pittore e scultore), ma rappresenta soprattutto una svolta esistenziale, il crollo della fiducia nelle potenzialità razionali della società, nelle rassicuranti certezze delle regole: dopo l'immane tragedia della guerra, la seconda nel breve arco di un ventennio, dopo il razzismo hitleriano, le camere a gas, gli stermini di massa, "Le Corbusier comprende come l'uomo non sia semplicemente l'essere diurno vagheggiato in precedenza, ma sia altresì depositario di una sfera notturna e indicibile….." (Cesare De Sessa, "Le Corbusier e la dissonanza di Ronchamp").

A Ronchamp questo essere notturno esce dalle profondità della psiche e lancia il suo "urlo blasfemo", per usare le parole di Bruno Zevi, in un'esplosione di intensa emotività espressionista. Hermann Bahr, all'inizio del '900, esprime così un concetto molto affine: "un solo grido d'angoscia sale dal nostro tempo. Anche l'arte urla nelle tenebre, chiama soccorso, invoca lo spirito: è l'Espressionismo……": è vero, l'Espressionismo non può che urlare, non a caso uno dei quadri più sconvolgenti di questa corrente pittorica è proprio "L'urlo" , di Edward Munch.

Per quanto l'architettura sia forse il campo in cui è più difficile applicare il termine Espressionismo, si può riconoscerne inequivocabilmente la presenza nell'impeto che rompe gli argini della ragione nel TWA di Saarinen, nell'Opera House di Utzon, nella chiesa di San Giovanni Battista di Michelucci, nel padiglione dell'Expo del '39 di Aalto…….
Se Espressionismo vuol dire drammaticità, deformazione, antinaturalismo, destrutturazione avanguardista della forma, abbandono dell'ovvietà del piano orizzontale e verticale, modellazione del volume in forma unica e irripetibile, atti attraverso i quali l'architettura diventa un'azione creativa individuale, action architecture, se anche vuol dire l'incontrollabile irruzione dell'inconscio nella nitida razionalità funzionalista di un collaudato schema matematico, allora la Chapelle de Ronchamp è uno straordinario archetipo espressionista dell'architettura di tutti i tempi, permeato del senso del divino, o forse sarebbe preferibile dire, dell'umano: un tempio pagano in cui si entra per cercare Dio e si finisce per trovare sé stessi.

link:
Le Corbusier, "La bouteille de vin orange"
Le Corbusier, "La Main Ouverte"

Cinquant'anni dalla morte di Le Corbusier
De Stijl

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Il Modulor

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