Alla fine della sua vita, Le Corbusier raggiungerà l'estrema sintesi della sua ricerca di purezza e di essenzialità mettendosi in gioco, ancora una volta, in prima persona e confrontandosi col lo spazio rigoroso e minimalista del suo cabanon davanti al mare di Roquebrune.
Anche per lui, come per Gaudì, Aalto, Saarinen e tanti
altri vale la regola dell'imprinting dei luoghi d'origine
ed è evidente che Le Corbusier non è svizzero
invano!
Dice di lui Bruno Zevi: "
ciò che per
lui vale è la soluzione. Costruire non è altro
che l'atto di mera trascrizione di una idea premeditata. Il
valore è nell'idea, nel principio, nell'epigrafe, non
nel lavoro."
Le Corbusier riconosce il suo concetto di continuità
spaziale, di spazio percorribile in più dimensioni
e direzioni, uno spazio-tempo secondo le teorie einsteiniane,
nella poetica cubista, alla quale aderisce individuando nell'opera
di scomposizione della forma del Cubismo analitico e sintetico
di Picasso e di Braque la sua stessa ricerca di un ordine
intrinseco alla realtà, frutto di un lucido atto intellettuale
con il quale l'artista ricompone ciò che è stato
analizzato secondo un utopico modello di purezza formale,
non naturalistico ma razionale: c'è più di un
ricordo di Cezanne, padre spirituale del Cubismo e di tutta
l'arte moderna, che ha demolito con la sua opera il principio
fondamentale della prospettiva, l'unicità del punto
di vista, proponendo per la prima volta l'esempio di una realtà
non copiata ma costruita intellettualmente nei suoi aspetti
essenziali, secondo una logica trascendente.
E' quello che Le Corbusier fa in architettura: smonta il
discorso architettonico tradizionale, ne enuclea e ne elabora
gli elementi fondamentali, cinque, i comandamenti scolpiti
nella sua tavola della legge, i pilotis, i tetti-giardino,
il piano libero, le finestre en longeur, la facciata libera,
li ricompone secondo una nuova sintassi di cui inventa le
regole, anche qui con un esplicito richiamo a Cezanne: "L'architecture
est un jeu savant, correct et magnifique des volumes assemblés
sous la lumière
..; les cubes, les cônes,
les sphères, les cylindres, ou les pyramides sont le
grandes formes primaires
..", gli stessi termini
che Cezanne, ai primi del '900, usa in una corrispondenza
con un suo giovane allievo.
Non è difficile individuare, all'interno della copiosissima
produzione di Le Corbusier, le cadute di tono, i punti deboli,
in cui la preoccupazione teorica soffoca o sacrifica in parte
l'ispirazione lirica nei termini di un corretto discorso letterario,
ma quasi sempre la sua trasfigurazione della materia in una
modulata tensione di linee, rettangoli, semplificate superfici,
netti volumi di controllata semplicità è pura
poesia. Le Corbusier è un rigoroso matematico, un puro
razionalista, ma è anche un poeta, un romantico, che
per tutta la vita porta avanti con tenace passione un discorso
perentorio, senza smagliature, disciplinato, ma non accademico
né freddamente normativo, semplice ma non minimalista,
dove gli strumenti figurativi sono drasticamente selezionati
con volontaria rinuncia.
Il suo è un mondo perfetto, razionale, laico, illuminista,
permeato da una visione antropocentrica di matrice rinascimentale,
è un mondo "a misura d'uomo", un mondo parametrato,
standardizzato e normalizzato sul Modulor, ispirato all'opera
grafica di Fernand Léger, che definisce le due scale
dimensionali su cui si reggono l'architettura e l'urbanistica.
Progettata sul Modulor, la casa è una "macchina
per abitare", essenziale, di "sanguigna rudezza
e polemica astinenza da ogni finitura gradevole", versione
architettonica della pittura brutalista di Léger e
Picasso.
Einstein, dopo un incontro con Le Corbusier a Princeton, gli
scrive la sera stessa, a proposito del Modulor: "Si
tratta di un sistema bidimensionale che rende difficile il
male e facile il bene": con il Modulor viene ufficialmente
codificato il principio unificatore universale che regola
la vita ideale dell'uomo ideale, dall'architettura alla meccanica,
dalla forchetta alla città".
Poi viene la cappella di Notre-Dame du Haut a Ronchamp.
"Impara tutte le regole - recita un antico aforisma - e poi infrangine qualcuna".
A Ronchamp Le Corbusier le infrange tutte: niente pilotis,
niente finestre a nastro, niente facciata libera
il
tetto è una impraticabile massa incurvata come una
vela gonfia di vento, le facciate sono spesse fortificazioni
scavate da finestre disuguali, sghembe, strombate, l'impianto
progettuale ignora ogni schema stereometrico e geometrico
stabilito a priori, lo spazio è un'esistenziale attualità
nella quale coesistono contemporaneamente tutte le direzioni,
il volume pare generato da un flusso di energia, autoalimentato,
rude come una struttura medioevale, barocco nella sua spiazzante
informalità, duro e pesante come un masso calato dal
cielo in mezzo ad una natura sbigottita.
E' la dichiarazione di una sistematica, irriducibile, sfrontata,
plateale, radicale volontà di mettersi in discussione,
di affermarsi inequivocabilmente "altro" dal suo
stesso sé, è un atto di estremo coraggio, di
estrema onestà, umiltà, generosità.
Bruno
Zevi, rifacendosi a Roland Barthes , dice che, a Ronchamp,
Le Corbusier "comincia a ricercare il grado zero",
inventa una scrittura bianca, svincolata, aculturale, neutra,
una "scrittura basica" per attuare quella rottura
linguistica che lo renderà libero dai suoi stessi dogmi
e che, di punto in bianco e senza spiegazioni, lascerà
i suoi seguaci senza codici, senza norme, senza regole: infatti
non le sostituirà mai più.
Gli sforzi di critici e storici dell'architettura mirano
ad individuare una continuità tra tutta la precedente
produzione di Le Corbusier e la Chapelle de Ronchamp, per
definirla come una tappa coerente del suo percorso creativo,
dove l'inusitato linguaggio espressionista, simbolista ed
informale denuncia l'adesione spirituale e psicologica al
tema religioso ed alle sue implicazioni emotive.
A parte i dubbi che si possono avanzare sulla "religiosità"
di Le Corbusier, pretesto e strumento per liberare pulsioni
irrazionali profondamente umane e terrene, non saprei dire
se sia così importante leggere una inequivocabile continuità
tra il "prima" e il "dopo" Ronchamp, anzi,
per essere sincera, direi che non c'è nulla di male
ad ammettere che Le Corbusier, ad un certo punto della sua
vita, è cambiato: si cambia per rinnovarsi, per adattarsi,
per sopravvivere, il cambiamento fa parte del processo evolutivo
della specie e dell'individuo, i luoghi, le persone , la storia
mutano in continuazione, in meglio o in peggio, non ha importanza.
Di certo Ronchamp rappresenta prima di tutto un viaggio della
memoria, il recupero di visioni del bacino del Mediterraneo,
il ricordo di una sensibilità pittorica e scultorea
che osmoticamente confluisce nell'architettura (Le Corbusier
fu anche pittore e scultore), ma rappresenta soprattutto una
svolta esistenziale, il crollo della fiducia nelle potenzialità
razionali della società, nelle rassicuranti certezze
delle regole: dopo l'immane tragedia della guerra, la seconda
nel breve arco di un ventennio, dopo il razzismo hitleriano,
le camere a gas, gli stermini di massa, "Le Corbusier
comprende come l'uomo non sia semplicemente l'essere diurno
vagheggiato in precedenza, ma sia altresì depositario
di una sfera notturna e indicibile
.." (Cesare
De Sessa, "Le Corbusier e la dissonanza di Ronchamp").
A Ronchamp questo essere notturno esce dalle profondità
della psiche e lancia il suo "urlo blasfemo", per
usare le parole di Bruno Zevi, in un'esplosione di intensa
emotività espressionista. Hermann Bahr, all'inizio
del '900, esprime così un concetto molto affine: "un
solo grido d'angoscia sale dal nostro tempo. Anche l'arte
urla nelle tenebre, chiama soccorso, invoca lo spirito: è
l'Espressionismo
": è vero, l'Espressionismo
non può che urlare, non a caso uno dei quadri più
sconvolgenti di questa corrente pittorica è proprio
"L'urlo" , di Edward Munch.
Per quanto l'architettura sia forse il campo in cui è
più difficile applicare il termine Espressionismo,
si può riconoscerne inequivocabilmente la presenza
nell'impeto che rompe gli argini della ragione nel TWA di
Saarinen, nell'Opera House di Utzon, nella chiesa di San Giovanni
Battista di Michelucci, nel padiglione dell'Expo del '39 di
Aalto
.
Se Espressionismo vuol dire drammaticità, deformazione,
antinaturalismo, destrutturazione avanguardista della forma,
abbandono dell'ovvietà del piano orizzontale e verticale,
modellazione del volume in forma unica e irripetibile, atti
attraverso i quali l'architettura diventa un'azione creativa
individuale, action architecture, se anche vuol dire l'incontrollabile
irruzione dell'inconscio nella nitida razionalità funzionalista
di un collaudato schema matematico, allora la Chapelle de
Ronchamp è uno straordinario archetipo espressionista
dell'architettura di tutti i tempi, permeato del senso del
divino, o forse sarebbe preferibile dire, dell'umano: un tempio
pagano in cui si entra per cercare Dio e si finisce per trovare
sé stessi.
link:
Le Corbusier, "La bouteille de vin orange"
Le Corbusier, "La Main Ouverte"
Cinquant'anni dalla morte di Le Corbusier
De Stijl
Scolpire l'architettura
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