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Spiegare l'arte?
di Vilma Torselli
pubblicato il 2/01/2008
Una lepre morta capisce di più di arte contemporanea di un critico vivo?
"Ma questo è un quadro? Il valore nell'arte contemporanea", di Angela Vettese per le edizioni Carocci, "Lo potevo fare anch'io. Perchè l'arte contemporanea è davvero arte", di Francesco Bonami, edito da Mondadori, "Come guardare l'arte contemporanea (....e vivere felici)", di Giorgio Guglielmino, Editore Allemandi, questi alcuni dei numerosi, recenti volumi comparsi nelle librerie italiane quasi simultaneamente che, con sfumature ed approcci personali e differenti, affrontano un tema comune, l'arte contemporanea, le sue contraddizioni, le sue incoerenze, le sue assurdità e i suoi misteri.

Senza nulla togliere ai singoli autori di libri estremamente interessanti, di coinvolgente lettura, di illuminante cultura e di notevole pregio letterario, va detto che le difficoltà insite nell'approccio ad un argomento per lo più ostico per il suo stesso presunto destinatario, il pubblico contemporaneo, rendono estremamente arduo stabilire una relazione univoca tra spiegare e comprendere, condizione che sola può rendere feconda l'opera di decodificazione di un linguaggio secondo un 'senso', quest'ultimo inteso come categoria comune e unificante tra chi spiega l'arte e chi la fruisce.

Tanto più che, a monte di tutto, sta un irrisolto interrogativo tra i più dibattuti della storia dell'umanità (beninteso dopo il classico "chi siamo? da dove veniamo? dove andiamo?"): cos'è l'arte? perché l'uomo fa arte? e perché ne è affascinato?

Prendendo comunque per buono ciò che ci insegna Gombrich, che cioè non esiste una 'cosa' chiamata arte, e che "l'opera d'arte significa dunque ciò che significa per noi, non c'è altro criterio", lasciando quindi a ciascuno le proprie convinzioni sull'arte e sui suoi camaleontici significati, viene da chiedersi perché tante persone, seppure autorizzate dall'essere in materia colte e qualificate, sentano la necessità di 'spiegare' l'arte contemporanea o suggerire come guardarla o valutarla o giudicarla, nella impossibilità tuttavia, condensata nell'interrogativo di cui sopra, di poter definire in maniera univoca ed omogenea che cosa sia effettivamente l'arte, specialmente quella contemporanea.

Per la verità Francesco Bonami, nella introduzione-intromissione (così la definisce) del suo ultimo lavoro, ci invita a pensare con la nostra testa, ritenendo che all'arte "ci si debba accostare da soli, se veramente ci interessa", ma poiché nessuno fa un discorso chiedendo agli interlocutori di tapparsi le orecchie, dopo questa esortazione non si esime dallo scrivere sull'argomento un bel libro ironico e (apparentemente) leggero, discorsivo e scorrevole, pieno di annotazioni e curiosità, nonché di autorevoli giudizi.
Premettendo che ci sta raccontando semplicemente quello che sa e ciò che pensa di quello che sa, in una sua personale e soggettiva visione dell'arte contemporanea, in realtà ci guida alla lettura di episodi salienti di quel mondo, ritagliando su misura all'argomento, con il rasoio di Ockham, un 'senso' talmente lato da poter compendiare tutta la storia dell'arte dai graffiti delle caverne di Lascaut ad oggi: è vero che certe opere d'arte contemporanea avrebbe potuto farle qualunque uomo della strada, ma c'è stato chi le ha fatte prima, e questo fa la differenza.
E' curioso notare che anche in passato artisti al di sopra di ogni sospetto quanto a talento come Michelangelo o Caravaggio, quando erano 'contemporanei' hanno avuto le loro difficoltà di 'comunicazione', ma a quel tempo, quando non sono stati capiti, non sono neanche mai stati 'spiegati', al di là di chiarimenti iconografici o informazioni biografiche o particolari di cronaca forniti da volenterosi esegeti sempre e comunque legati al significato descrittivo e narrativo delle opere, quello che tutti, in misura diversa, potevano leggere anche senza aiuti.
Perché in passato l'arte aveva come saldo riferimento la realtà, voleva essere una mimesi del mondo, anche se, come ci ha poi insegnato Freud, i significati nascosti erano ben più numerosi ed illuminanti di quelli palesi, ma a quanto pare allora se ne poteva fare a meno.
E' invece vero che ora, da che l'arte è divenuta tutta più o meno concettuale, concentrata nei suoi soli significati psicologici o simbolici, guardare un'opera d'arte può voler dire addentrarsi in un labirinto senza il conforto di un seppur tenue filo d'Arianna, con il rischio di non uscirne indenni.

Tuttavia, se l'arte, specie quella concettuale, è prima di tutto com-passione, empatia, intuizione, se, come pare, la fruizione estetica ha sì basi biologiche comuni e reali, però in un cervello che è diverso per ogni uomo, ed anche nello stesso uomo in momenti differenti, appare problematico che possa essere 'spiegato' o guidato con opportune 'istruzioni per l'uso' un percorso così aleatorio e indefinito quale è quello dell'emozione: forse la parte condivisibile dell'esperienza estetica, ciò che può essere spiegato, è solo il suo risvolto razionale, perché solo sul terreno della ragione e della logica ci sono buone probabilità che la stessa cosa abbia per molti, se non per tutti, lo stesso significato, a monte spiegabile e a valle comprensibile.

Ci pensa Joseph Beuys , "artista di talento" che ha "segnato la storia dell'arte del Novecento", come ci informa Bonami, a darci uno spunto con una sua celebre performance del 1965, 'Come spiegare dei dipinti ad una lepre morta', in cui egli, con la testa cosparsa di mirra e miele, porta delicatamente in braccio l'animale senza vita davanti ad alcuni quadri appesi, facendoglieli toccate con la zampetta esanime, pronunciando un discorso muto che li descrive nel loro significato concettuale. La provocazione messa in scena da Beuys vuol significare, così spiega l'autore stesso, che davanti all'arte la capacità intuitiva di una lepre morta è superiore a quella degli uomini vivi, accecati dalla razionalità che preclude ogni accesso all'irrazionalità dell'arte.

E se ogni interpretazione, sia pure soggettiva, di qualunque opera contemporanea presuppone un atto cosciente e razionale di analisi e di sintesi, sia che la si voglia condividere con un pubblico di lettori sia che la si voglia etichettare come riflessione limitatamente personale, allora la spiegazione che essa fornisce non può essere che parziale, e limitata inoltre all'aspetto meno significativo dell'arte.
Infatti, spiegare l'irrazionale è davvero missione impossibile, almeno agli umani e forse anche alle lepri morte, oltre che una palese contraddizione nei termini: una volta spiegato, infatti, l'irrazionale non sarebbe più tale ...... e l'arte, una volta spiegata, continua ad essere arte?

Da qui l'ennesimo dubbio che va ad aggiungersi al già citato: è possibile 'spiegare' l'arte contemporanea? ma soprattutto, è necessario?

* articolo aggiornato il 23/10/2015

link:
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