Tutta l'esperienza spazialista
si muove appunto nella direzione di ripensare il linguaggio
della pittura e della scultura non più come risultato
della cogenza delle proprie condizioni tecniche di base, ma
includendo in esso le dinamiche spaziali dell'opera, secondo
una concezione che interpreta lo spazio non quale luogo dell'opera,
ma come strumento di comunica¬zione opportunamente sollecitato
da una sensibilità ambientale che assume talune tecnologie
- la luce di Wood, il neon, la radio, l'immagine video - quali
"mezzi tecnici di attivazione creativa".(1)
Posto in questi termini, lo Spazialismo può essere
letto come uno sviluppo di talune premesse tecnomorfiche del
Futurismo in ordine tanto alla concezione collassata dello
spazio, quanto al concetto boccioniano di ambiente (2)
come nuova dimensione della scultura. In realtà, come
opportunamente Dorfles osserva, lo Spazialismo coincide per
la pittura come per la scultura con l'uscita del modus comunicandi
artistico dal suo ambito tecnico tradizionale per esplorare
nuovi modelli operazionali capaci di porsi in più feconda
sintonia con la cultura dell'epoca elettronica. In termini
di linguaggio, insomma, le preoccupazioni dello Spazialismo
non scorrono lungo l'asse delle relazioni fra significante
e significato, vale a dire il rapporto fra mezzi e fini o
fra mezzi e contenuto. Per lo Spazialismo i mezzi - fra i
quali è da includere dunque anche lo spazio stesso
dell'opera - non servono a produrre l'opera, ma sono
l'opera.
Le conseguenze del modello operativo-concettuale spazialista
sono enormi: non solo esso permette di superare la barriera
naturalistico-rappresentativa dell'arte, ma anche quella emozionale-esistenziale
particolarmente cara agli Informali, con un sostanziale azzeramento
delle istanze soggettive-autoriali dell'opera. Tutto ciò,
come ben capite, non può che condurre ad un solo esito:
l'abolizione del contenuto dell'opera e nell'opera d'arte,
vale a dire dissoluzione e della sua eventuale essenza costitutiva,
e del luogo immateriale del suo stesso senso.
L' "avventura nello spazio reale" (3) porta
l'opera spazialista a definirsi ontologicamente non più
come oggetto, ma come luogo soggetto unicamente
alle determinazioni spazio-temporali del suo porsi in atto,
del suo esserci, del suo durare in quanto azione modellatrice
di una nuova realtà ambientale.
Ambiente è del resto il concetto-chiave dello Spazialismo,
anche se in gradazioni diverse esso è presente anche
in non poche esperienze artistiche di questo secolo: già
Boccioni aveva intuito la dipendenza del rinnovamento del
linguaggio sculturale da una nozione di ambiente concepito
come uscita dalla staticità dell'opera; i Costruttivisti
dal canto loro pensavano sicuramente in termini di "ambienti"
(anche se in chiave ideologizzata) quando progettavano opere
come i "Proun" (El Lissitsky, 1923) onde esaltare
la funzione socializzante e propedeutico-rivoluzionaria dell'arte;
K.Schwitters stesso, realizzando il suo "Merzbau"
(1923) all'interno della propria casa di Hannover, Y.Klein
espo¬nendo il "vuoto" di una galleria d'arte
(1957) o Pinot Gallizio con la sua "Grotta dell'antimateria"
(1959) si muoveranno su una linea di intervento ambientale
o "environmental" da cui si svilupperanno negli
anni Sessanta gli happenings e le forme installative. Ma è
senza dubbio a partire dalla versione fornitane dallo Spazialismo
che il concetto di ambiente si è andato evolvendo da
implicito corrispettivo di sperimentazioni esteticamente connotate
(come lo avevano pensato insomma nella temperie delle avanguardie
storiche) a elemento teorico-operativo fondante di una nuova
prassi estetica che tende ad un'assoluta libertà di
linguaggio.
NOTE
1 -L.V.Masini, Dizionario del fare
arte contemporaneo, Sansoni, Firenze, 1992.
2 -U.Boccioni, Manifesto tecnico della
scultura futurista, in Scritti editi e inediti, Milano, 1971
3 -R.Barilli, L’arte contemporanea,
Feltrinelli, Milano, 1984.
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