E.Tetti :Allora
raccontaci meglio cosa intendi per " esigenza indipendente"
che non dipende dalla volontà... Senti come una necesssità
profonda? più forte di te?
I. Fresu :Questa esigenza nasce più che da
uno stato d’animo, da una riflessione interiore che
trova nella rappresentazione estetica la sua espressione.
E. Tetti: Ma entriamo più nello specifico,
a mio avviso sei un bravissimo scultore che riesce a trasformare
imballi, cartone e polistirolo in opere fantastiche. Spesso
guardando le tue creazioni sento una forte spiritualità,
sono opere forti e dignitose le tue. Raccontaci un po' di
loro...
I.Fresu : Voglio innanzitutto chiarire che l’utilizzo
di materiali quali imballi di cartone e polistirolo non nasce
dall’esigenza di realizzare opere legate al riciclaggio
fine a se stesso, così come generalmente viene attribuito
a questa tipologia di lavori, ma il recupero di questi, sono
un mezzo con cui appropriarsi di materiali “disponibili”,
privi di costi e dalla forte pregnanza simbolica. Recuperare
non significa riciclare, nell’idea di riciclaggio come
fine, vedo una qualche forma di giustificazione, inclusa “l’assoluzione”,
nei confronti di questa nostra società basata sul consumismo.
D’altra parte il recupero di materiali riciclabili ed
il loro riutilizzo determina l’appartenenza a questa
area geografica, sociale e temporale, allo stesso modo con
cui un’artista di un altro luogo o di un’epoca
diversa, sceglieva i materiali a lui più idonei.
Questi materiali sono inoltre carichi di significati propri
ed intrinseci legati al mondo in cui viviamo, sono icone della
nostra epoca.
E. Tetti : Gli scarti e il consumismo, che
tu definisci criticamente le icone della nostra epoca, le
tue opere che spesso fanno riferimento ai filosofi pre-socratici
soprattutto Eraclito, ci vuoi dire di più, rendici
partecipi della tua visione del mondo, e che mondo vorresti?
I. Fresu : Il mondo che vorrei? Un mondo che non
persegue la crescita del PIL come fine unico che determina
una condizione di generale malvivere, lanciati, come siamo,
in una folle corsa verso lo sfacelo globale.
Una vera e propria guerra tra nazioni che assume aspetti differenti
dalle guerre tradizionali ma che ha conseguenze ben più
catastrofiche e di più lunga durata. Una guerra che
non potrà infine evitare di giungere a calpestare tutto
e tutti, esaurire ed inquinare ogni risorsa, violare ogni
diritto e dimenticare ogni dovere: diritti umani, diritto
al lavoro, tutela dell'ambiente, pari opportunità,
etc. etc... A causa del PIL siamo tutti indistintamente vittime
e carnefici di un massacro, di uno sterminio globale. In questo
senso s’inserisce la mia denuncia nei confronti degli
scarti e il consumismo: icone della nostra epoca. Mentre il
riferimento ai filosofi pre-socratici e soprattutto ad Eraclito,
è in funzione di una riappropriazione dello spirito
filosofico umano contrapposto al mondo circostante, patinato,
plastificato, che ha assunto a modello l'apparenza ostentatamente
esteticizzante, incapace, anche solo di ipotizzare, che tutte
le cose sono temporanee. Attraverso il riferimento ai filosofi
pre-socratici cerco di contrapporre al pensiero materiale
espresso dalla società contemporanea, un’idea
di “bellezza” insita nella fragilità, nella
precarietà e deperibilità.
E.T. : Tutto si trasforma, tutto muta, io
spesso quando ammiro le tue opere ( e dico ammiro non a caso)
le sento cariche di una profonda dignità, le sento
vive e la sensazione più forte mi scatta quando mi
rendo conto che sono imballi... Non sto qui a chiederti cose
troppo specifiche sulle tecniche che usi, ma vorrei sapere
come ti senti quando crei e dopo quando guardi le tue "creature"
quali sono i pensieri e quali sono i sentimenti?
I. F. : Mi fa molto piacere che i lavori che realizzo
siano, a tuo dire, capaci in qualche modo di fornire una qualche
emozione. Questo è per me di stimolo soprattutto in
considerazione alle innumerevoli difficoltà in cui
notoriamente gli artisti operano. Gli oggetti che trasformo
nascono da un’idea a cui poi cerco di adeguare, inventandola
di volta in volta, la tecnica più appropriata in grado
di conformarsi all’idea. Si tratta di operare una ricerca
continua attraverso materiali e soluzioni tecniche. Questo
produce una tensione emotiva che dalla progettazione non termina
se non alla disinstallazione dell’opera. Per esempio
ho recentemente realizzato per la mostra “Fragile”
che si è svolta a Siena all’interno del frequentatissimo
“Cortile del Podestà” nel “Palazzo
Pubblico”, un’installazione particolarmente “Fragile”
e precaria, alta più di cinque metri e costituita da
sei grandi “massi” apparentemente di pietra, sovrapposti
uno sull’altro in modo incompatibile alle leggi della
fisica. L’installazione scultorea mi ha impegnato attraverso
numerosissimi problemi di carattere tecnico: partendo da dei
comuni imballi di cartone, ho realizzato, una superficie alla
vista ed al tatto molto simile alla pietra ma, al contrario
di questa, estremamente leggera. Ho dovuto affrontare anche
problematiche tecniche legate alla sicurezza, come rendere
sufficientemente robusta l’installazione, avendo osato
molto in termini di stabilità! L’opera ha resistito
fino all’ultimo non senza procurarmi preoccupazioni
a causa dei continui “attacchi” da parte dei numerosissimi
visitatori che, incuriositi dall’installazione, oltre
a fotografarsi in pose buffe ed inconsuete, per saggiarne
la reale consistenza, non esitavano ad assestarle calci, pugni
e spinte! Beninteso che sono particolarmente gratificato da
questa interattività con il pubblico che considero
fondamentale e che ricerco per tutte le mie opere. È
questo il metro di giudizio che applico per le mie installazioni
ed è per questo motivo che preferisco da sempre esporre
in luoghi pubblici frequentati, piuttosto che in strutture
specialistiche.
E.T. : Per chiudere questa intervista...
cosa vorresti aggiungere? cosa vorresti far conoscere di te
e del tuo mondo?
I. F. : Vorrei aggiungere qualcosa sul senso della
mia ricerca artistica che s’incentra principalmente
nel riconoscimento dell’intrinseca bellezza di ciò
che è effimero, che non è più al vertice
del suo apparire.
Esiste una bellezza che si manifesta sia negli equilibri precari
sia nell’apparenza delle cose. Essa disvela la perennità
del tutto. È una bellezza pura, non nichilistica, è
l’anima di tutte le cose al di là del loro apparire.
L’apparire, che nel pensiero Occidentale, attraverso
la fede nel divenire, è nascondimento del volto autentico
dell’essente, fede che nasce dall’indiscussa convinzione
che il divenire sia un uscire dal nulla e un ritornarvi. In
opposizione al nichilismo imperante, nella mia ricerca artistica
considero la bellezza ciò che permane come sostrato
del divenire, non solo come manifestazione di ciò che
è mutato, ma nell’agire stesso del mutare. Pur
incapaci di riconoscere un principio e una fine per ogni cosa,
noi tutti, insieme all'universo intero, apparteniamo a questo
moto dove ogni cosa si mostra soggetta al tempo e alla trasformazione,
così che il Divenire s'impone come la sostanza stessa
dell' Essere che a sua volta ci appare come il rinnovarsi
di un ente che prima mancava di una caratteristica e in seguito
l'acquista diventando forma. Così anche quello che
sembra statico alla percezione sensoriale lo identifichiamo
dinamico e in continuo cambiamento. In questo è possibile
trovare una chiave di decodifica dell’uomo, il significato
autentico della sua essenza: il divenire come identità
del diverso, in altre parole elemento che unifica il molteplice.
Il divenire somma di opposti che convivono nelle cose e continuano
ad esistere anche una volta che non sono più percepibili.
L'intrinseca bellezza oggetto della mia ricerca, dunque, consiste
in una nuova consapevolezza che le cose che non vediamo più,
non sono improvvisamente entrate nel nulla ma sono semplicemente
scomparse dall' orizzonte degli eventi. Continuano ad esistere
in una dimensione che non è quella apparente ed è
pertanto proprio in questo divenire che risiede l’eternità
di tutto.
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