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Pittura: una storia di sguardi
di Alessandro Tempi
pubblicato il 3/10/2008 |
Cosa vede lo sguardo dell'arte?.....
Forse lo sguardo dell'arte torna oggi ad applicarsi alla natura
..... |
Cosa vede lo sguardo dell'arte? dopo l'avvento
della riproducibilità tecnica del reale, chi ha più
bisogno dello sguardo della pittura? che ne è delle arti
visive dopo la fine della referenzialità?.... Forse lo
sguardo dell'arte torna oggi ad applicarsi alla natura, ad un
mondo ormai sul punto di essere consegnato all'artificialità,
alla simulazione, all'esistenza vicaria, all'inautenticità
dell'esperienza. In questo senso, allora, lo sguardo dell'arte
può avere ancora molto da vedere.
Nel fluttuare storico della propria terminologia, il complesso
delle pratiche espressive cui diamo il nome di “arte”
è passato da una designazione aulica quale “belle
arti” ad altre più tecnicistiche quali “arti
figurative”, che è stata assai duratura - almeno
finché è durato il concetto di figura. Poi Ragghianti,
nel Novecento della riproducibilità tecnica, suggerì
l’espressione “arti della visione” insinuando
l’idea che in esse dovessero annoverarsi e pour cause
anche cinema e fotografia (che, tanto per citare un caso ragguardevole,
André Chastel ha fatto propria nel suo L’art
italianne del 1982). Più di recente gli si è
preferito il termine “arti visive”, la cui inclusività
semantica riconfermava nella sostanza l’intuizione di
Ragghianti.
E’ di per sé evidente - tanto per rimanere ad un
lessico appunto “visivo” - che in tutte queste espressioni
non vi sia in gioco solo qualcosa di ottico, che riguarda la
facoltà percettiva dell’osservatore inteso come
naturale destinatario di quelle arti che, appunto, “si
offrono allo sguardo” o che “si percepiscono con
gli occhi”.
Se così fosse, dovremmo infatti ammettere l’ipotesi
di arti specificamente legate al diversificarsi del sensorio
umano.
Se oggi parliamo di “arti visive” insomma, non è
per designare un complesso di pratiche i cui risultati ultimi
sono “da guardare”.
Parliamo di “arti visive” perché pittura,
scultura, cinema, fotografia, video e eidomatica possono essere
considerate come altrettanti modi di vedere, come sguardo o
vista - il che implica, in maniera non solo metaforica, un punto
di osservazione, un oggetto da osservare, una capacità
di osservare.
Ora, che cosa vede lo sguardo dell’arte ?
Per molto tempo, questo sguardo ha osservato il mondo, la natura,
le cose, la realtà. Esso ha descritto, rappresentato,
raffigurato, ricordato, immaginato, stabilendo col mondo un
rapporto di specularità. In ciò consisteva il
compito conferito all’arte di “imitazione della
natura”.
Per molto tempo l’arte ha guardato il mondo esattamente
nel modo stesso in cui ci si aspettava che esso fosse : la staticità
figurale della pittura del Duecento, che rifletteva senza dubbio
la concezione tardomedievale del mondo, è stata sostituita
dalla plasticità, dalla concretezza della pittura del
Quattrocento, secolo nel quale non solo nelle arti, ma in tutta
la cultura si apriva ad una dimensione terrena, mondana, fisica,
immanente che qualifica la Modernità.
Del resto è proprio con l’Alberti e Leonardo che
pittura, scultura ed architettura giungono a condividere ambizioni
scientifiche nel loro comune tendere, con la prospettiva, alla
rappresentazione oggettiva della natura e dello spazio.
Tuttavia l’idillio fra arte e scienza è durato
assai poco. Nel secolo del Razionalismo, le attività
speculative divorziano da quelle puramente speculari, le quali
conformemente al trend intellettuale dell’epoca cominciano
a postulare la propria autonomia ed una propria dottrina, che
nel Settecento si chiamerà “estetica”. Senza
mai porre in dubbio, comunque, che il campo applicativo dello
sguardo dell’arte dovesse essere il mondo, la natura.
Senza mai porre in dubbio la referenzialità insomma.
E’ noto ormai che nei poco più di cento anni che
separano l’invenzione della fotografia da quella del cinema
sonoro, ciò verrà invece dall’arte non solo
posto in dubbio, ma perfino ripudiato e in più di una
occasione.
Siamo, come si sa, nell’età detta della riproducibilità
tecnica (Benjamin) o dell’immagine del mondo (Heidegger).
L’età in cui sempre più perfezionati strumenti
ottici consentono di riprodurre il reale in minor tempo, a costi
minori e con risultati maggiori. Chi ha più bisogno,
allora, dello sguardo della pittura?
In realtà, già da tempo pittura e scultura avevano
cominciato a gettare il loro sguardo altrove. Hegel parla, nelle
sue lezioni ad Heidelberg, di un’arte che assume il proprio
passato come oggetto di applicazione, consentendo l’emergere
delle nozioni moderne di estetica come filosofia dell’arte
e di storia dell’arte. Fenomeni ottocenteschi come il
Revival Gotico, il Preraffaellitismo, i Nazareni, ci dicono
come le tesi hegeliane fossero giuste nella pratica, oltre che
nella teoria. L’arte comincia a volgersi su se stessa,
a guardarsi dentro, ad oggettivarsi.
E’ proprio a questo punto che ritorna, forte e prepotente,
la capacità di sguardo dell’arte, che tuttavia
non si applica più alle infinite pieghe del mondo e dell’uomo,
bensì alle pieghe più riposte del proprio essere,
del proprio darsi, del proprio linguaggio. Bandito dal mondo
fenomenico, lo sguardo dell’arte moderna guarda l’opera
come un mondo in sé concluso, la cui prima ed unica modalità
di esistenza è l’autodesignazione e non la referenzialità.
Che ne è allora delle arti visive dopo la fine della
referenzialità, dopo l’esilio dal mondo ?
Cosa guarda oggi la pittura ?
Si potrebbe dire che essa oggi guardi le immagini del mondo
- cos’altro c’è rimasto da guardare, del
resto ? – e che le guarda con capacità di volta
in volta stranianti, trasfiguranti, parodistiche, allusive,
rivelatorie, analogiche, critiche.
Si potrebbe insomma dire che essa continua sì a vedere
il mondo, ma attraverso le sue (del mondo) immagini, attraverso
il filtro o la lente delle sue ridondanti icone, dal punto di
vista della rigogliosa foresta dei suoi segni. E’ tornata
insomma ad applicarsi non al mondo ma alle sue immagini, che
però costituiscono da se stesse un altro mondo, un ambiente
artificiale nel quale tutti siamo calati. Una seconda natura.
Forse è il caso di dire che lo sguardo dell’arte
può poco davanti alla proliferazione dell’immagine
mediale, né del resto potrebbe - o gli converrebbe -
competere con l’ipertrofia visuale odierna. Ma non è
questo il punto.
Il punto è, mi sembra, che in modi discreti ed obliqui,
oggi le arti visive tornano ad applicarsi alla natura, a gettare
il loro sguardo sul mondo, che non è più quello
fisico e concreto della Modernità. E’ un mondo
ormai sul punto di essere consegnato all’artificialità,
alla simulazione, all’esistenza vicaria, all’inautenticità
dell’esperienza.
Preso in questo senso, allora, lo sguardo dell’arte può
avere ancora molto da vedere. Ed il suo vedere è in fondo
anche uno svelare.
Perché se il vedere, come ha scritto Nelson Goodman,
è sempre più antico, è sempre più
originario rispetto a tutto ciò che vede, allora il vedere
dell’arte misura la distanza fra sé e le immagini
gregarie che formano, per dirla con Barthes, il Sociale assoluto.
Ma in questa distanza riecheggia la domanda, antica ed originaria
anch’essa, su cosa esse realmente significhino. |
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