Sviluppato da molti studiosi
della moderna comunicazione, il concetto di ‘determinismo
tecnologico’ inaugurato dal canadese Marshall McLuhan
porta alle conseguenze estreme il rapporto tra medium e
messaggio, tra immagine in quanto veicolo di trasmissione
e significato della rappresentazione, che Gregory Bateson (1904 - 1980), antropologo, psichiatra, studioso di logica
e cibernetica, straordinario nomade della cultura, affronta
da par suo in un libro divenuto un classico, “Verso
un’ecologia della mente”.
Risalendo alla radice dell’analisi, Bateson si interessa
al significato non già del messaggio espresso in
codice, ma a quello implicito nella scelta del codice stesso
(“La mia indagine, dunque, non è sul significato
del messaggio, quanto piuttosto sul significato del codice
scelto.”), attribuendo a questa scelta la capacità
di fornire una ricca serie di informazioni sull’artista
e la sua cultura. Allargando ulteriormente la visuale, scrive
quindi: “Ritengo che sia d’importanza fondamentale
possedere un sistema concettuale che ci costringa a vedere
il ‘messaggio’ (p. es. l’oggetto artistico)
sia come in sé internamente strutturato, sia come
parte esso stesso di un più vasto universo strutturato:
la cultura o qualche sua parte…… [Caratteristiche
dell’opera d’arte / Caratteristiche del resto
della cultura]”, ponendo le basi per una lettura
antropologica dell’arte (o se vogliamo una lettura
dell’antropologia in chiave artistica).
Ma la parte più entusiasmante dell’analisi
di Bateson è costituita dal ribaltamento che, partendo
dalla revisione delle caratteristiche dei procedimenti inconsci,
processi primari senza controllo volontario, egli opera
delle teorie freudiane.
Scrive infatti Bateson: “…… io credo
che buona parte delle prime teorie freudiane fossero capovolte.
A quel tempo, molti pensatori consideravano normale e ovvia
la ragione conscia, mentre l’inconscio era considerato
misterioso, bisognoso di prova e spiegazione. La spiegazione
era data dalla rimozione, e l’inconscio veniva riempito
da pensieri che avrebbero potuto essere consci, ma che la
rimozione e il meccanismo onirico aveva distorto. Oggi riteniamo
misteriosa la coscienza, mentre i metodi di computazione
impiegati dall’inconscio, ad esempio il processo primario,
li riteniamo continuamente attivi, necessari e onnicomprensivi.
Queste considerazioni sono particolarmente pertinenti nell’ambito
di qualunque tentativo per ricavare una teoria dell’arte
e della poesia. La poesia non è un tipo distorto
e ornato di prosa; piuttosto la prosa è poesia spogliata
e inchiodata al letto di Procuste della logica …..”
Citando le ricerche di Adalbert Ames, Bateson scrive inoltre:
"le immagini visive tridimensionali conscie che
costruiamo di ciò che vediamo, sono costruite tramite
procedimenti che implicano le premesse matematiche della
prospettiva, ecc., del cui impiego siamo affatto inconsci.
Su questi processi non abbiamo alcun controllo volontario.
Un disegno di sedia con prospettiva alla Van Gogh offende
le aspettative conscie e porta confusamente alla nostra
coscienza ciò che (inconsciamente) era stato dato
per scontato."
Secondo Bateson, così come la capacità di
costruzione delle immagini tridimensionali, anche la capacità
tecnica e manuale necessaria per produrre l’oggetto
d’arte attraverso la scelta del medium è riposta
negli strati più profondi della mente, la possediamo
inconsciamente, cosicché le radici della creatività
si rintraccerebbero nell'inconscio, nel processo primario
"impulsivo, disorganizzato, incomprensibile al
pensiero razionale, dominato da immagini visive bizzarre
e noncurante del tempo, dell'ordine o della coerenza logica"
secondo una definizione di Peter Fonagy e Mary Target ("Psicopatologia
evolutiva. Le teorie psicoanalitiche", 2005).
Quindi il fatto che l’uomo ‘faccia arte’
non deriva da una sua decisione razionale e cosciente, ma
è il risultato di processi inconsci “continuamente
attivi, necessari e onnicompresivi” e l’opera
d’arte, frutto di un processo primario, verrebbe invece
erroneamente letta come una trasposizione simbolica (visiva
o altro) di concetti razionali.
La frase di Pascal che Bateson cita vuol significare l'indipendenza
del processo primario da ogni relazione con la razionalità.
“……… L’allegoria
– aggiunge Bateson - che nel migliore dei casi
è un genere d’arte sgradevole, è un’inversione
del normale processo creativo. Tipicamente una relazione
astratta, ad esempio tra verità e giustizia, viene
prima concepita in termini razionali; poi viene tradotta
in metafora e agghindata per farla apparire il prodotto
di un processo primario.”
Evidente l’antinomia con le teorie freudiane così
commentate da Ernst Gombrich ("Freud e la psicologia dell’arte",
1973): “……..per Freud l’arte
non è un fatto meccanico e compito dell’artista
dovrebbe essere quello di sublimare, ovvero portare nel
livello preconscio, i meccanismi inconsci, rendendoli comunicabili
e comprensibili allo spettatore. L’inconscio di per
sé non ha alcun valore artistico e Freud cataloga
espressionisti e surrealisti "come matti, perché
sospetta che questi movimenti confondano" gli istinti
primari con l’arte”.
Le teorie di Bateson hanno conseguenze di determinante
portata anche sul nostro rapporto con la realtà visibile e su quella che fino ad oggi è stata considerata
la procedura mediante la quale l’arte la interpreterebbe.
Insomma, sembrerebbe proprio che accada il contrario di
quanto si ipotizzava: mentre pareva che il linguaggio artistico
servisse per veicolare attraverso un linguaggio a-logico
concetti logici e razionali, Bateson afferma invece che
è la ragione ad adoperarsi per relazionare con significati
consci il linguaggio artistico, innato ed inconscio.
Che dire?
Forse “La natura imita ciò che l'opera
d'arte le propone”, come suggerisce Oscar Wilde:
”Avete notato come, da qualche tempo, la natura
si è messa a somigliare ai paesaggi di Corot?
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