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L’importanza del disegno infantile in Twombly e Dubuffet
di Clario Griguzzo
pubblicato il 30/04/2011 |
Un ipotetico confronto tra i due maggiori debitori al disegno infantile nel panorama artistico del dopoguerra. |
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Cy Twombly - senza titolo, 1957 |
In un ipotetico confronto tra i due maggiori debitori al disegno infantile nel panorama artistico del dopoguerra, Jean Dubuffet e Cy Twombly, si nota subito una differenza sostanziale nell’approccio ideologico. Dubuffet ha portato avanti un programma, se non specifico, molto particolareggiato sull’incontaminazione nell’arte, sostenendo con veemenza la sua ideologia anti-culturale e rispecchiandosi in chiunque non possegga una formazione culturale, piuttosto che nella figura dell’artista colto.
Del lavoro di Cy Twombly, invece, si può dire tutto tranne che non viva di influenze culturali, poi tradotte in un linguaggio, sì personale, ma ricco di contaminazioni. Due ideologie creative differenti, maturate in modo e in ambienti differenti, che non escludono punti in comune, soprattutto nella ricerca pittorica (primitivismo, materico, disegno infantile).
Infatti, tralasciando le ideologie e osservando i rispettivi percorsi pittorici, le attrattive del segno “incontaminato” hanno giocato un ruolo fondamentale per entrambi; l’imperfezione formale che però, sostanzialmente, ha qualcosa in più, di più intimo ed immediato, è stata valorizzata da entrambi, anche se in due modi differenti.
Per Dubuffet questa imperfezione è ottenibile tramite un rifiuto della cultura nella sua totalità, abbandonando registri che annacquano la creatività rendendola sterile. Per Twombly invece l’imperfezione è quasi una necessità, perché la comunicazione di un sentimento deve essere colta nell’attimo in cui si manifesta per essere autentica.
L’ autenticità quindi è il punto fondamentale che collega il discorso dei due artisti al disegno infantile, presupponendo nell’atteggiamento creativo dei bambini quelle caratteristiche “genuine” che, con il tempo, si perdono a scapito di una ricercatezza non solo sul piano formale ma anche su quello ideativo; elementi quali simmetria, proporzioni, accostamenti cromatici e margini sono grandemente ignorati dal bambino, così come le influenze che determinano la rappresentazione possono essere tutto fuorché speculazioni o ragionamenti.
È principalmente l’assenza di questi elementi che fa sì che il linguaggio dei bambini si possa definire incontaminato. La liberazione da questi elementi, unita a un’attitudine votata all’immediatezza è prerogativa sia del lavoro di Dubuffet che di Twombly; osservando i rispettivi segni si riscontrano scelte comuni, come quella di una linea quasi sempre incerta, uno degli elementi distintivi del segno infantile.
La linea “tremolante”, sinonimo di una mano ancora insicura che traccia forme certo non pensate prima si collega all’accidentalità del gesto, che caratterizza in modo decisivo l’esito estetico, e che è un altro elemento distintivo del disegno infantile; quell’ideazione improvvisata, “in corso d’opera”, di un linguaggio talmente slegato da riferimenti formali, da essere in tutto è per tutto indecifrabile, e quindi apprezzabile solamente da un punto di vista puramente visivo ed estetico. Queste scelte precise (ideologiche e pratiche), che in entrambi i casi si intrecciano con l’imprevedibilità insita in un linguaggio informale, rimangono le caratteriste più innovative del loro lavoro. A metà strada tra un astrattismo ricercato, nonché in molti casi simbolico, ed un informale gestuale ed imprevedibile.
Non necessariamente anti-culturale è sinonimo di ignoranza culturale.
Anche se l’ignoranza di determinati elementi, perché non ancora acquisiti come nei bambini, o volutamente ignorati, quali proporzioni, margini e simmetria può stabilire registri creativi originali che ben poco hanno da spartire con la cosiddetta cultura. Dubuffet intendeva l’anti-culturale come un atteggiamento, e non necessariamente come uno stato naturale, anche se chi si trova per sua natura non impregnato dalla cultura, o che in buona parte ignora le sue leggi, si trova in una condizione di autenticità creativa che chi ha vissuto sempre a stretto contatto con essa, ha ormai smarrito; e in questi casi l’atteggiamento anti-culturale necessita che venga estirpata, se non la cultura acquisita, che risulta impossibile, almeno la concezione di valore assoluto di questa. È il carattere univoco della cultura che deve essere messo in dubbio, criticato, e combattuto strenuamente.
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Per chi si trova in questo stato di acculturamento, vale a dire chiunque abbia avuto una formazione scolastica, la regressione ad uno stato pre-culturale rappresenta una chimera, e quella condizione di “autenticità” risulta irrecuperabile.
Ma è appunto con una presa di coscienza diretta sull’arbitrarietà della cultura che si può tentare, se non una regressione, almeno un recupero di quegli elementi giudicati negativi dalla cultura ed accantonati perché non rispondenti alle sue regole.
È verosimile accettare che il brutto sia stato accantonato fino al secolo scorso dalla cultura artistica per non mettere in dubbio la plausibilità del bello. |
Jean Dubuffet
paesaggio corsivo/rapido, 1974 |
Ma come si è visto il brutto è tornato a reclamare prepotentemente la legittimità della sua esistenza dalle avanguardie storiche in poi; che poi in molti casi si sia trattato di un brutto ruffiano, o un brutto esteticamente accettabile, è un altro discorso, l’importante è che un meccanismo simile emerga nei singoli soggetti che hanno accantonato, o sono stati costretti ad accantonare, sempre più in là il brutto dalla loro creatività.
Solo reintroducendo gli elementi accantonati perché non rispondenti a regole estetiche universalmente accettate si può ampliare il concetto stesso di estetica; in questo “nuovo” stato di coscienza non è il giudizio ad avere la peggio, ma è il valore del giudizio a perdere di significato.
La reintroduzione degli elementi accantonati dalla cultura, unita alla “nuova” coscienza anti-culturale, è un modo per avvicinarsi a un atteggiamento simile a quello dei bambini con i loro scarabocchi. La pretesa di de-culturarsi rimane quindi una pretesa vana e non riscontrabile praticamente, infatti l’elemento modificabile non è la mano che disegna ma l’atteggiamento; la mano sicura, anche nel momento in cui voglia imitare l’insicurezza della mano infantile, resterà vincolata al pensiero dell’imitazione, e le leggi impostegli dalla cultura non possono essere ignorate; anche se la pratica può far sì che si imiti sempre più fedelmente il segno infantile, non può allo stesso modo rendere naturale il gesto.
Per questo gioca un ruolo fondamentale in questa pratica un atteggiamento anti-culturale a scapito di una velleitaria pretesa di de-culturazione. Se Dubuffet ha delineato i caratteri generali di un’attitudine anti-culturale, Twombly è stato sicuramente l’esempio più fulgido di un grafismo ereditato soprattutto dal segno infantile.
L’ampio utilizzo del segno a matita nei suoi lavori ha favorito lo sviluppo di tale grafismo; segni, simboli e forme, nonché la loro disposizione spaziale, sono riferimenti a quell’immediatezza che non necessita canoni definiti o ordine spaziale per essere comunicata; anzi la forza comunicativa è insita nell’indefinitezza del segno, nella sua imperfezione formale, nella gerarchia apparentemente casuale che colloca spazialmente questi segni e simboli.
La profondità della rappresentazione di questi segni e simboli è data paradossalmente dalla “piattezza” del disegno, che, come quello infantile, non svincolabile dal “bidimensionalismo”, stimola il segno ad ignorare qualsiasi margine per trovare una spazialità non esperibile altrimenti.
Il risultato che scaturisce dall’uso di tale linguaggio è qualcosa difficilmente comunicabile all’osservatore, che può così estraniarsi dalla critica e limitarsi ad osservare tali segni da un punto di vista puramente estetico. E questo che accomuna questo linguaggio, nonostante la ricchezza dei riferimenti mitologici e sentimentali dei simboli adottati da Twombly, a quello dei disegni infantili: non è possibile una critica, se non fuorviante, di tali segni. Le forme indefinite utilizzano un linguaggio proprio, non decifrabile, nato nel momento stesso della loro esecuzione, totalmente svincolate da registri semantici costituiti; questo è anche il maggior pregio del disegno infantile, l’utilizzo di un linguaggio apprezzabile solamente per ciò che è, e non per ciò a cui rimanda, come avviene nell’osservazione delle opere segniche di Twombly.
Perdersi nella decifrazione di questo linguaggio rimane un fuorviante diversivo, che non ha niente a che fare con l’apprezzamento puramente visivo; il fascino di questo linguaggio rimane quindi un fascino prettamente estetico, incomunicabile come il sentimento che porta ad apprezzarlo.
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