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Funk Art
di Vilma Torselli
pubblicato il 20/02/2010 |
Un linguaggio ordinario, banale ed anche un po' stupido, non particolarmente bello nè originale, un'arte repellente, maleodorante,
scioccante e provocatoria che ama il grottesco e l'ambiguo. |
Funk Art è una definizione
coniata da Peter Selz, tedesco di origine ebraica fuggito dal nazismo e rifugiato in America nel 1936, Professor Emeritus della facoltà di storia dell'arte all'Università di Berkeley in California, studioso dell'Espressionismo tedesco, autore di molti testi critici, già curatore del 'Museo di Arte Moderna' di New York e direttore-fondatore del 'Museo d'Arte Moderna' della Berkeley.
Il vocabolo funk, derivato da funky, termine musicale usato nel jazz, viene reinventato ed applicato all'arte visiva per definire le opere presentate in una mostra, nell'aprile/maggio del 1967, tenutasi proprio al Museo di Berkeley.
Il neologismo vuol significare qualcosa di ordinario, banale ed anche un po' stupido, non particolarmente bello nè originale, tanto che circola al proposito questa battuta: il pubblico spesso chiedeva agli artisti, vedendo le opere esposte "e voi questa la chiamate arte?" e loro rispondevano "no, noi la chiamiamo George!" (o qualche altro nome a caso), denunciando già da questo primo approccio il carattere di una forma espressiva che vuol essere innanzi tutto provocatoria, volutamente volgare e sgradevole.
Selz definisce questa forma artistica "calda, impegnata,
bizzarra, sensuale e spesso piuttosto brutta", praticata
da un gruppo di artisti fino ad allora respinti o quantomeno
ignorati.
Dal canto suo, la critica ufficiale non accoglie benevolmente la Funk Art,
così come inizialmente non aveva accolto bene la Pop Art, anche se si tratta
di una forma espressiva tutto sommato non nuova, con radici
culturali tutte americane.
Nulla sfugge alla pesante satira della Funk Art, non la società, o la politica, o il sesso, o la religione, rivisitate in chiave kitsch, con corrosiva ironia, senza censure nè pudori.
In polemica con
la seriosità del contemporaneo Espressionsimo
astratto, in chiaro e non negato rapporto con il Dadaismo, sul piano formale e linguistico la Funk Art utilizza l'oggetto anestetico, l'objet trouvé, quando non recuperi addirittura lo scarto ed il rifiuto (come già aveva fatto, seppure in termini di maggior eleganza, Robert Rauschemberg nei suoi assemblages new dada), prediligendo materiali di scarso valore significativi di una produzione di massa di basso costo e dubbio gusto, la plastica, la finta pelle, il finto legno, la ceramica, nelle versioni più banali e correnti.
Scarti della società moderna, volgari
o raccapriccianti, questi materiali, accanto ad una presa di posizione asociale
netta e dichiaratamente reazionaria, diventano metafora della disumanità
dell’uomo contemporaneo in opere che, attraverso un
linguaggio crudo e volutamente repellente, inducono a riflettere
sulla precarietà dell’esistenza, sulla vita e sulla morte.
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Robert Rauschenberg "Monogram" |
Il gusto sovraccarico, la sovrabbondanza di messaggi, l'intenzionale mancanza del senso della misura della Funk Art rappresentano anche una vivace polemica nei confronti della contemporanea Minimal Art, per certi versi fredda e vuota di contenuti, in dissonanza con la cultura beat della costa dell'american southwest, dove il funk si diffonde: infatti, a differenza del minimal, con la sua purezza impersonale, la Funk Art ama la rappresentazione ad effetto, ha il gusto per il complicato, il grottesco, l'aspetto sessuale implicito o scopertamente esplicito, il lato macabro ed ambiguo della realtà, un filone che contamina anche altri movimenti degli anni '60 (ad esempio Bad Painting, New Neurotic Realism, e in genere la Young British Art).
I mezzi, a volte discutibili, che la Funk Art utilizza hanno lo scopo di ricondurre l'arte sulla via di un certo realismo, andato perduto con l'affermarsi dell'Espressionismo astratto, richiamandola ad assumersi una responsabilità sociale ed in un certo senso "morale" all'interno della collettività.
Il maggior rappresentante della Funk Art è probabilmente
Edward Kienholz, seguito da Robert Hudson, Gladys Nilsson,
Jim Nutt, Richard Shaw, William T. Wiley e parecchi altri
trasgressivi artisti. |
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