Il termine Primordialismo Plastico definisce
un movimento italiano degli anni '30/40 che riunisce un gruppo
di pittori interessati all'aspetto squisitamente tonale del
dipingere, secondo un indirizzo estetico e stilistico nel quale
eccelse, sia per esecuzione che per indagine teorica, Emanuele
Cavalli.
Concetto base è la realizzazione del quadro come rappresentazione
"assoluta" della realtà, nella quale ogni elemento
risulta di valenza universale se reso secondo il suo tono locale,
secondo cioè quella qualità di colore che gli
compete in assoluto in senso platonico, al di là delle
variazioni indotte dai giochi di luce ed ombra: siamo evidentemente
agli antipodi dell'impressionismo.
Scrive Cavalli nel '44: "Importante quello che differenzia
la nostra pittura - si riferisce alla pittura sua e dell'amico
Capogrossi - dalla precedente. Mentre nella nostra il colore
nella sua essenza tonale non dà luce che per accostamenti,
vuol essere vibrante ma direi opaca, nella pittura che ci ha
preceduto la luce riveste e scorre sui colori. Il nostro quadro
risulta meno accidentale e quasi vuoto, a volte scheletrico".
Al'interno del gruppo, Cagli, Capogrossi e Cavalli stringono
un sodalizio di cui Pier Maria Bardi, critico, giornalista
e gallerista, figura chiave in quanto tramite dei rapporti
fra Milano, Roma e l'Europa, scrive nel '33 :"Non si
tratta di tre che dipingono insieme, ma di tre che speculano
insieme, nel senso più tradizionale". Proprio
nell'ottobre del '33 viene redatto il "Manifesto del Primordialismo
Plastico", sottoscritto da Emanuele Cavalli, Giuseppe Capogrossi
e Roberto Melli (Cagli non lo sottoscrive, come anche Franco
Ciliberti, per contrasti che verranno poi risolti), in seguito
adottato da un vasto gruppo di pittori, tra i quali Ceracchini,
Mafai, lo stesso Cagli, Pirandello, Scipione.
Dopo alcune mostre in Italia, a Roma ed a Milano, il gruppo
espone a Parigi, alla Galleria Bojean, ed in quell'occasione
il critico Waldemar George parla per la prima volta di una
'Ecole de Rome', quella Scuola Romana che costituirà
una delle più incisive correnti di pensiero di quel
periodo, in opposizione sia agli intellettualismi ed agli
stereotipi modernisti delle avanguardie sia alla revisione
linguistica in senso classicista promossa dai novecentisti.
Particolarmente innovativa del movimento la concezione spaziale,
collegabile alla dichiarazione di Capogrossi che asserisce
di aver sempre concepito lo spazio come "una realtà
interna alla nostra coscienza", uno spazio einsteiniano, quasi una categoria dello
spirito, uno spazio primordiale nè realistico nè
naturalistico, con forti connotazioni spiritualiste e qualche
deriva esoterica (Cavalli, Cagli), spazio inteso come
dimensione di primordialità mitica e pittura, sostanza
pittorica plastica e concreta intesa come processo alchemico
che raggiunge l'interna armonia strutturale della materia.
Sta scritto, fra l'altro, nel Manifesto: "Dobbiamo cogliere
i rapporti fra il plastico e il principio spirituale del nostro
tempo.... Vogliamo operare per il futuro seguendo l'intuizione
di attività plastiche identiche allo spirito che le
ha mosse in noi: identificare, cioè, la sostanza pittorica
con la natura delle energie spirituali che ci premono; cogliere
la relazione tra il significato della forma e la natura della
sostanza pittorica; superare il colore come espressione naturale;
ricavare da esso un ordine, nella sua intima varietà,
identico alla sostanza della spiritualità moderna".
Entro breve tempo il movimento si scioglie, nel 1949 si scioglie
ufficialmente anche il sodalizio tra Cavalli e Capogrossi,
per il definitivo passaggio di quest'ultimo all'astrattismo,
ponendo fine ad una ricerca tra le più appassionanti
della cultura italiana tra le due guerre.
*articolo aggiornato il 19/08/2012
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