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Parigi, all’Espace Lafayette-Drouot "The World of Bansky”, su 1200 mq. esposte un centinaio di opere del più famoso street artist del mondo. Fino al 31 dicembre 2021.
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La pittura murale
di Vilma Torselli
pubblicato il 27/03/2007 |
"La pittura murale
è pittura sociale per eccellenza. Essa opera sull'immaginazione
popolare più direttamente di qualunque altra forma di
pittura, e più direttamente ispira le arti minori. L'attuale
rifiorire della pittura murale, e soprattutto dell'affresco,
facilita l'impostazione del problema dell'Arte Fascista".
(Mario Sironi) |
Nel periodo del ventennio fascista (1922-1943)
l'arte italiana si orienta verso una poetica di tipo sociale,
a superamento degli impeti individualisti del periodo avanguardista,
nella convinzione che l'arte debba avere una funzione collettiva
e possa svolgere all'interno della società civile un
ruolo comunicativo ed educativo.
In questo clima culturale conservatore e revisionista, viene
rivalutata e largamente impiegata una forma artistica che ha
in Italia radici lontane, la pittura murale, praticata nelle
sue forme più semplici dalle culture preistoriche di
tutto il mondo, trasformatasi nel nostro paese in epoche più
recenti nella tecnica dell'affresco, pittura eseguita sull'intonaco
appena steso ed ancora bagnato (a- fresco), che sfrutta la reazione
chimica della carbonatazione della calce combinata con l'anidride
carbonica dell'aria, oppure secondo la tecnica detta a "fresco
secco" o "secco", intervenendo sulla parete asciutta
con colori a calce o a tempera.
L'esperienza italiana differisce molto dal fenomeno del muralismo
nel resto del mondo, del centro America o dell'America del
nord, caratterizzato da un più spiccato carattere popolare e da un linguaggio sostanzialmente meno intellettualistico,
legato a retroterra culturali assai diversi dal nostro. Il
muralismo fu altrove usato spesso come forma espressiva di
protesta, non tanto quindi a servizio della volontà
di un regime quanto al contrario delle istanze rivoluzionarie
delle popolazioni, mancando spesso, a differenza di quanto
accade in Italia, di precise linee programmatiche.
Qui è il regime al potere a stabilire che si debba
produrre un'arte pubblica di grande impatto popolare, magniloquente,
celebrativa, propagandistica, rapportata alle nuove direttive
razionaliste in materia di architettura, teorizzandola in
un Manifesto della pittura murale che viene pubblicato nel
dicembre 1933 da Mario Sironi e sottoscritto da Carrà,
Campigli, Funi, condiviso da Cagli: in esso si afferma il
tramonto della pittura da cavalletto naturalistica ed ottocentesca
a beneficio di una nuova pittura dallo stile composto ed aulico,
lo stile fascista definito "antico e allo stesso tempo
nuovissimo", dove l'elemento emozionale viene bandito,
una pittura che parli alle masse ed esalti i valori dell'ideologia
al potere, al tempo stesso tendente alla rivalutazione del
ruolo sociale dell'artista.
"La pittura murale è pittura sociale per eccellenza.
Essa opera sull'immaginazione popolare più direttamente
di qualunque altra forma di pittura, e più direttamente
ispira le arti minori. L'attuale rifiorire della pittura murale,
e soprattutto dell'affresco, facilita l'impostazione del problema
dell'Arte Fascista": così recita il manifesto
di Sironi, in assoluta buona fede nella sua adesione
al fascismo, anche se ciò non lo sottrarrà ad
un successivo ostracismo della critica.
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Mario Sironi, "L'Italia fra le arti e le scienze"
Aula magna dell’Università La Sapienza di Roma, 1935 |
La
pittura murale, seppure prodotto di regime, interpreta effettivamente e sinceramente
le tendenze culturali e le istanze di una generazione di italiani, anche se,
tuttavia, dopo la caduta del fascismo viene esercitata una
censura generalizzata e poco obiettiva su questo patrimonio
artistico italiano, mancando ancora, a tutt'oggi, un giudizio sereno
ed un'analisi esaustiva di questa forma pittorica e di questo
periodo storico che produsse senza dubbio una
grande quantità di opere in gran parte di buon livello
qualitativo.
In particolare Mario Sironi è stato condannato ingiustamente
ad una solitaria vecchiaia, isolata da una congiura del silenzio:
è solo degli anni '50 l'inizio di un'analisi critica
più rigorosa ed obiettiva sulla sua opera e la sua
definitiva riabilitazione che scinde giustamente la vicenda
politica da quella artistica (culminando con una retrospettiva
allestita nel '62 alla XXXI Biennale di Venezia).
Sono di Carrà gli affreschi per la Triennale di Milano
del 1933, andati distrutti, e quelli per il Palazzo di Giustizia
nel 1938, di Sironi l'affresco "L'Italia fra le arti
e le scienze" eseguito nel '35 per l'Aula Magna della
Nuova Università di Roma, progettata da Piacentini,
si dedicano alla pittura murale Gino Severini, nel periodo dal 1924 al 1935,
Aligi Sassu che nel 1939 esegue due grandi dipinti ad affresco
di soggetto mitologico, Nivola che realizza attorno al '35 una
serie di pitture murali andate purtroppo perdute: molti altri insigni
artisti italiani si sono cimentati in questa tecnica, contribuendo
alla nascita di nuove forme della pittura celebrativa, che fino
all'avvento del Manifesto di Sironi era legata a farragginosi
simbolismi ottocenteschi.
link:
Il Muralismo
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