Il tema dell'autoritratto compare, nel Rinascimento,
in concomitanza all'affermarsi di una diversa concezione del
mondo che si traduce, per ciò che riguarda gli artisti
dell'epoca, in una modifica della percezione dell'IO: l'artista
acquisisce coscienza del proprio potere creativo e dell'autonomia
del suo operare.
Si tratta di un tema particolarmente stimolante nelle mani di una generazione di artisti chiamati ad interpretare le istanze antropocentriche di un periodo destinato a segnare un discrimine nella storia dell'umanità, specialmente occidentale.
Non a caso Albrecht Dürer (1471-1528), padre storico della cultura visiva tedesca,
molto attivo in vari campi dell'arte avendo prodotto, con differenti
e numerose tecniche esecutive, dipinti, acqueforti, xilografie,
trattati teorici su vari argomenti, trova proprio nel ritratto e nell'autoritratto il mezzo per eccellenza attraverso il quale, in forma allegorica,
unendo a una visionarietà espressiva un minuzioso realismo
grandemente innovativo per la cultura dell'epoca, attingere
ad un messaggio di carattere universale, che prevarica l'uomo
e supera il sè.
Artista, poeta, matematico, letterato, curioso ed aperto (come
un Leonardo da Vinci) a tutti gli aspetti e i problemi della
vita e della natura, Dürer racconta la lotta fra l'uomo del Medioevo
e l'uomo del suo tempo, fra tradizione gotica e umanesimo latino,
rivelando proprio in questa sua posizione di contrasto e di sintesi la sua
grandezza e la sua modernità.
Furono Sigmund Freud ed i suoi allievi ad introdurre lo studio psicoanalitico dell'arte, e più precisamente a spostare
l'attenzione dall'opera d'arte creata all'artista creatore,
ipotizzando e dimostrando che, a partire dall'opera compiuta,
si potevano decifrare sia i problemi e le istanze di carattere
psicologico dell'autore, sia i processi inconsci che quell'opera
avevano generato.
Poichè l'esperienza di noi stessi ha bisogno di rispecchiarsi
nello sguardo di un altro, ecco che attraverso l'autoritratto
si attua un processo non solo cognitivo, ma anche emozionale
e relazionale: infatti la triangolazione occhio-specchio-tela,
necessaria per realizzare qualunque autoritratto, produce
un fisiologico sdoppiamento tra la parte che osserva e quella
osservata, per cui assume grande importanza il punto di vista
esterno di osservazione di sè stessi, la parte dell'io
spettatore nei confronti dell'oggetto-soggetto della rappresentazione.
Ciò avviene non solo nella situazione eccezionale della creazione
artistica, ma anche nella quotidianità e nell'esperienza
di tutti noi quando, nella messa in scena dei sogni o nei
ricordi della prima infanzia, a volte - irrealisticamente,
ma assai significativamente - è come se ci guardassimo
da fuori, arrivando a conoscere meglio noi stessi proprio
mentre ci vediamo come estranei davanti ad estranei.
Questo aspetto della poetica di Dürer, la tendenza a
calarsi nella propria interiorità attraverso la concreta
osservazione di sè stesso nell'autoritratto, denuncia
ante litteram un atteggiamento a carattere soggettivo che
sarà la base del movimento espressionista tedesco,
seppure affrontato e manifestato in modi diversi da artisti
diversi, a conferma che la tradizione espressionistica in
Germania parte da lontano, costituendo una costante che da
Dürer giunge fino alla pittura contemporanea.
Molti artisti dell'Espressionismo "storico" hanno fatto ricorso,
come Dürer, al tema dell'autoritratto: basti
pensare ai numerosi autoritratti di Vincent Van Gogh, l "Autoritratto
con modella", l"Autoritratto in veste di soldato"
di Ernest Ludwig Kirchner, l "Autoritratto con le dita
aperte" e tutta la quasi ossessiva serie di autoritratti
di Egon Schiele, tutte opere nelle quali l'interesse di tipo
ottico-realistico viene sostituito dall'attenzione per tutto
ciò che accade nella sfera dell'interiorità
del "soggetto senziente", in rapporto violentemente
empatico con tutto ciò che percepisce, in questo caso
"l'oggetto sentito", travolto da una soggettività
esasperata che lo altera profondamente.
Si può a buona ragione parlare, quindi, di un Espressionismo
"sovrastorico", inaugurato dall'opera di Dürer,
non necessariamente legato a date e luoghi, ma inteso come
categoria del pensiero e della mente che attraversa tutta
l'arte tedesca a partire dal Rinascimento fino ad oggi.
Etimologicamente derivato dal latino ex-premere, spingere
fuori, il termine Espressionismo viene coniato ufficialmente
solo ai primi del '900 dal critico francese Vauxcelles che
lo adopera per definire la pittura di Matisse, fauve come
Derain, de Vlamink, Van Dongen, prima di venire esteso a quella
pittura tedesca che storicamente verrà poi identificata
come espressionista.
In realtà,
parlare di Espressionismo tedesco può essere estremamante riduttivo,
poiché l'Espressionismo coinvolge tutte le culture
e tutti gli individui, rappresentando l'aspetto dell'interiorità
psicologica più profonda che chiede di venire alla
luce liberando il suo 'grido d'angoscia' - "un solo grido
d'angoscia sale dal nostro tempo. Anche l'arte urla nelle
tenebre, chiama soccorso, invoca lo spirito: è l'Espressionismo
"
così scrive Hermann Bahr all'inizio del '900 - 'ex-pressione'
(è il caso di dirlo) di un sentire universale che contamina
trasversalmente tutta la cultura occidentale.
|