Una delle pagine della storia d'Italia più
tragiche ed oscure riguarda il primo maggio del 1947, data tristemente
famosa per un massacro di braccianti e contadini conclusosi
con 11 morti, fra cui due bambini, e 27 feriti: la folla di
duemila lavoratori radunatasi per festeggiare la riconquistata
libertà dal regime fascista fu infatti bersaglio di una
furiosa sparatoria per mano della banda di Salvatore Giuliano,
forse esecutore per conto di mandanti mai chiaramente identificati,
celati negli intrighi di un periodo storico di transizione segnato
da compromessi, tradimenti e depistaggi.
Nel 1957 Renato Guttuso (1911-1987) realizza "Portella della Ginestra",
un olio su carta intelata di 105x200 cm, oggi custodito nel
Museo Guttuso di Bagheria, per ricordare alla contemporaneità
quella strage contadina buttandole in faccia le immagini
crude di un insensato massacro e ribadire ancora una volta,
a modo suo, quel forte impegno morale e politico che caratterizza
tutta la sua opera di antifascista militante.
Da lì, dalle sue istanze libertarie, dal suo impegno
a fianco del PCI, scaturisce infatti il suo realismo popolare,
in polemica opposizione con le contemporanee tendenze astrattiste
vuotamente formali, ai suoi occhi sintomo di qualunquismo
artistico e disimpegno civile.
L'impianto compositivo è di chiara derivazione picassiana,
mai forse in un dipinto di Guttuso il ricordo di "Guernica"
è stato così presente: nella concitazione dell'insieme,
le masse si contrappongono e si sovrappongono in piani scomposti,
dipartendosi da un forte tema centrale, la coppia di cavalli
caduti, diramandosi poi in un groviglio di figure, alcune
raggruppate a coppie, a rappresentare contemporaneamente tanti
drammi nel dramma, l'uomo steso a terra confortato da una
vecchia china su di lui con gesto pietoso, la donna morente
tra le braccia di un uomo che si guarda alle spalle, cercando
aiuto, la figura centrale con le braccia allargate in segno
di impotenza e di resa. Come sempre, il dipinto esprime da
parte dell'artista una commossa partecipazione che lo lega
empaticamente al soggetto rappresentato, simbolo della sofferenza
dell'umanità tutta.
La simbologia contadina, gli animali, il carretto, l'abbigliamento
delle persone, rendono con il consueto realismo, che per Guttuso
è una sorta di imperativo non già stilistico,
ma etico, l'ambiente popolare della Sicilia degli umili, struggente
ricordo autobiografico che diventa potente narrazione in una
pittura che, tralasciando i toni allegorici, vuol essere una
inequivocabile e ferma denuncia morale ed una condanna senza
appello per tutto un sistema politico.
Fedele al suo realismo di impronta plastica, dalle linee tortuose,
dai colori caldi e decisi, dal linguaggio chiaramente descrittivo,
Guttuso dipinge un altro capitolo di una lunga epopea popolare,
poetica commemorazione alla memoria di tanti eroi sconosciuti,
perché non vengano dimenticati.
link
Renato Guttuso, "Nudo sdraiato"
Renato Guttuso, "Crocifissione"
Renato Guttuso, "Fuga in Egitto"
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