Nella galleria degli inglesi che hanno amato Firenze e la sua arte - galleria che annovera irrequiete “teste romantiche” come Shelley e Byron, i più sobri coniugi Browning, lo scandaloso ma vulcanico D.H. Lawrence e compassati eruditi quali Harold Acton - un posto sicuramente ragguardevole spetta a Sir Dominic Ellis Colnaghi.
Colnaghi fu console generale britannico a Firenze dal 1872 al 1896, ma accanto ai suoi doveri diplomatici coltivò con passione e metodo non comuni intensi e fecondi interessi in campo artistico, egregiamente compendiati nel suo “Dictionary of Florentine Painters from 13th to 17th Centuries”, ristampata nel 1986 dal pronipote Carlo Malvani, responsabile degli Archivi Colnaghi di Firenze.
Si tratta di un’opera unica nel suo genere, che in oltre 1500 voci documenta la vita, le opere e le fortune degli artisti operanti a Firenze dal tardo Medioevo al Manierismo ed alla cui stesura l’autore lavorò per più di trent’anni, praticamente fino alla morte, avvenuta nel 1908. Il “Dictionary” venne infatti pubblicato postumo a Londra vent’anni dopo, in tiratura così limitata da non imporsi nel mercato librario né tantomeno in quello bibliofilo e antiquariale, sebbene il suo valore documentario e storiografico, fosse indubbio.
Negli anni della sua permanenza a Firenze, Colnaghi era stato assiduo frequentatore dell’Archivio di Stato e di altre analoghe istituzioni, presso cui aveva potuto reperire e consultare innumerevoli documenti della Firenze municipale e medicea acquisiti dagli antichi archivi della Compagnia dei Pittori, da quelli dell’Arte dei Medici e degli Speziali e dell’Accademia del Disegno e persino dall’Ufficio delle Tratte.
Il vastissimo materiale raccolto permise all’autore di realizzare un’opera che ha valore soprattutto sul piano storico-biografico: essa infatti registra con concisione e puntualità minute ed apparentemente aride informazioni sulle carriere e le attività dei pittori, sulle commissioni delle opere, sui prezzi pagati dai committenti, fornendo nel contempo notizie indispensabili sulla sorte commerciale e legale delle singole opere. Si tratta insomma di un’opera in cui la storia materiale prevale su quella delle idee e le enunciazioni di ordine teorico o estetico sono ridotte al minimo, il che è del resto in perfetta coerenza con i suoi criteri fondativi, che sono pragmaticamente documentari e informativi. Colnaghi aveva infatti concepito il suo “Dictionary” come un pratico ed agevole punto di partenza per chi volesse addentrarsi in ricerche più specifiche ed erudite. Ma è nella trattazione dei cosiddetti artisti minori che esso rivela la sua indispensabilità, offrendo dati e informazioni stimolanti per far luce su pittori ancora in ombra.
Chi era Dominic Colnaghi? Per rispondere bisogna tornare indietro nel tempo fino alla seconda metà del Settecento, quando il nonno del console, Paul Colnaghi che pure veniva dalla Brianza, si trasferì a Londra da Parigi per intraprendere l’attività di mercante e stampatore d’arte. Grazie alle sue doti ed alla sua competenza si guadagnò la stima dell’allora sovrano Giorgio IV, a cui fornì non pochi consigli per la formazione della nascente Collezione Windsor. Associato all’impresa il figlio Dominic Charles, la “P. & D. Colnaghi” divenne la principale fornitrice di musei e collezioni private, raccogliendo e commercializzando capolavori di ogni epoca e ramificandosi anche nel nuovo continente.
Dominic Ellis Colnaghi, che nacque nel 1834, non partecipò alle attività imprenditoriali della famiglia e a soli diciotto anni intraprese la carriera diplomatica, che lo condusse prima in Grecia, dove si interessò di archeologia classica, poi a Costantinopoli, in Corsica, a Cipro e quindi in Italia, prima a Torino e successivamente a Firenze. Col suo operato di “connoisseur” e ricercatore, Sir Dominic confermò tuttavia l’interesse tipicamente familiare per l’arte, concentrando la sua attenzione di studioso non tanto sulle opere nella loro compiutezza formale, quanto su persone, luoghi, tempi ed eventi, talora circoscritti e perfino banali, che ne avevano fatto da sfondo, confermando il nesso inscindibile, anche se sovente misconosciuto, fra arte e vita materiale, fra ispirazione e necessità, fra ideale e pratica. |