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ARTISTI IN ARMI. Gli Espressionisti e la Grande Guerra
di Alessandro Tempi
pubblicato il
18/11/2015

La guerra, fenomeno naturale di dimensioni tremende attraverso il quale comprendere aspetti nuovi della condizione umana ed incrementare la creatività artistica: un'illusione presto infranta dallo spettacolo di orrore, morte e distruzione dei campi di battaglia e della reale atrocità del conflitto.
Max Beckmann, "Die Nacht", 1918/19
olio su tela, 133 x 154 cm

Ricorda Stefan Zweig che, quando nell’agosto del 1914 scoppiò il primo conflitto mondiale del XX secolo, non si sapeva ancora “nulla della realtà, essa era ancora al servizio di un’illusione, del sogno di un mondo migliore, di un mondo giusto e pacifico”.(1)  In effetti fra gli artisti tedeschi del periodo la coscienza politica era rara e soltanto qua e là vi si era manifestata una qualche vaga tendenza socialista, cui la guerra dette comunque una direzione ed uno obiettivo. Ma nessuno di loro aveva mai vissuto di persona gli orrori di una guerra e nessuno era pronto per quelli che si stavano preparando.
Di fatto, però, come una psicosi di massa, l’interventismo contagiò gli artisti di tutta l’Europa, in particolar modo in Italia con i futuristi ed in Gran Bretagna con i vorticisti. In Germania artisti come Ernst Barlach, Lovis Corinth e Max Liebermann manifestarono inizialmente un vigoroso ed entusiastico patriottismo guglielmino e perfino fra gli espressionisti, che in fatto di politica generalmente si professavano liberali, si diffuse un cieco delirio bellicistico. Non erano pochi a credere che la guerra avrebbe deciso del destino non solo della Germania, ma anche dell’arte tedesca stessa e anche Franz Marc, che come molti altri, si attendeva che dal mito eroico-romantico della guerra una purificazione radicale ma necessaria che avrebbe risanato la società corrotta, si avviò sui campi di battaglia nietzscheanamente convinto dell’ineluttabilità di un “doloroso sacrificio” che catarticamente avrebbe cambiato il mondo.(2)

In tutta Europa, del resto, avvenne per gli artisti un’analoga “chiamata alle armi”. La maggior parte della comunità artistica tedesca accolse il conflitto con grande entusiasmo, anche se per ragioni diverse e fin dalle prime settimane di guerra molti artisti furono indotti a credere onestamente che la guerra avrebbe risanato la profonda spaccatura che si era ormai instaurata fra le élites intellettuali e la gente comune. Che le inquietudini latenti nell’avanguardia potessero venire curate da grossolane e massicce dosi di sentimento nazionale può apparire oggi un’ingenuità o perfino rozzezza, ma bisogna ricordare che in molti pensarono che la guerra potesse offrire l’opportunità unica di superare l’isolamento sociale in cui si era relegata l’avanguardia, per farle incontrare un più largo consenso. Un’opera come Der Racher di Ernst Barlach è a suo modo esemplare di questo stato d’animo, perché simboleggia la congiunzione di un intenso sentimento religioso e di un fervido nazionalismo: non diversamente da altri intellettuali, Barlach si aspettava veramente che la partecipazione allo sforzo bellico avrebbe consentito di trovare nuovi significati e forse anche nuovi orizzonti all’esistenza umana.(3)

Scrittori ed artisti si sentirono subito affascinati dalla guerra, che consideravano, nonostante la sua violenza e la sua brutalità, come un’intensificazione dell’esperienza, vale a dire nel suo valore puramente esistenziale. Molti di loro si arruolarono volontari, ansiosi di sperimentarla direttamente.
Il pittore Max Beckmann, ad esempio, scrisse il 15 agosto 1914 al suo editore Piper che desiderava arruolarsi al più presto. Alla fine si arruolò, quasi un anno dopo lo scoppio del conflitto, in un’unità medica e servì come infermiere in un ospedale da campo prima sul fronte della Champagne e poi in Belgio.
Otto Dix, a 23 anni, si arruolò volontario in artiglieria e prestò servizio in prima linea prima nelle Fiandre e poi in Polonia e in Russia, documentando le sue esperienze di soldato al fronte in una serie di disegni (esposti a Dresda nel 1916) che saranno la base di un ciclo di celebri acqueforti intitolate “La guerra” del 1924.
Entrambi questi pittori, come tanti altri, considerarono la guerra al pari di un fenomeno naturale di dimensioni tremende, che offriva loro la comprensione di aspetti completamente nuovi della condizione umana e quindi nuove possibilità di incrementarne la creatività artistica. Per entrambi, dunque, era necessario essere sul campo di battaglia! Per questo non posero obiezioni alla guerra: non era questo il loro compito come artisti. Max Beckmann ad esempio vedeva la guerra come una forma estrema dell’esistenza umana, una forma di cui era l’arte e non altro a doversi occupare, senza curarsi della violenza e della sofferenza che essa causava. La sua convinzione era che la guerra fosse, in fondo, una “meravigliosa catastrofe”.(4)

La “redenzione tramite la guerra”, come l’ha chiamata Roland  N. Stromberg (5), può suonare inspiegabile alle nostre orecchie di oggi. Tuttavia va ricordato che gran parte dell’esperienza espressionistica tedesca, o almeno quella dell’anteguerra, si svolge nel segno del nichilismo nietzscheano, quel nichilismo che proprio perché rileva per l’uomo l’impossibilità di “starsene fermi al no del giudizio”, propone una via attiva per la quale “l’annichilimento mediante il giudizio” ha da essere assecondato da un “annichilimento mediante la mano”.(6) L’irrazionalismo che serpeggia in tutta l’esperienza espressionistica è probabilmente alla base della partecipazione, più o meno convinta, di molti dei suoi esponenti al conflitto. Ma partecipazione, per essi, non significa sempre adesione a quelle dottrine che interpretano o giustificano il conflitto in chiave di autoaffermazione nazionalistica.
Significa, semmai, risoluzione esistenziale dell’opposizione fra il pathos sinceramente costruttivo che anima l’attivismo degli espressionisti e la fede talora fanatica con cui ricercano un “nuovo inizio” per l’arte e per l’uomo.(7)

Tuttavia la trasfigurazione mistica della guerra durò poco. Di mese in mese quello spettacolo di orrore, morte e distruzione acuì lo sguardo di questi artisti alla vera realtà della guerra. Il fantasma apocalittico delle loro precedenti visioni si dileguò nel fuoco tambureggiante delle battaglie reali.

1) Citato da Roland Marz, Berlino, officina dell’espressionismo, in  Gli Espressionisti 1905-1920, a cura di Magdalena M. Moeller, Mazzotta, Milano 2003.
2) C. Kraus, La Grande Guerra e le arti figurative, in Aquile funeste. Arte, letteratura e vita quotidiana nella Grande Guerra. Fra delirio e dolore, a cura di Siegfried de Rachewiltz Castel Tirolo, 2005, pag. 212.
3) Nel 1915, a 45 anni, Barlach venne chiamato alle armi in fanteria e solo per intervento di alcuni amici riuscì ad essere esonerato dal servizio militare.
4) “Fuori il rumore straordinariamente grandioso della battaglia……ho sentito questa musica singolare, terribilmente grandiosa. E’ come se venissero spalancate le porte dell’eternità, quando risuona una salva di questa portata. Tutto ti suggerisce un’idea di spazio, lontananza, immensità…Ah, questa ampiezza e questa profondità inquietantemente bella!” M. Beckmann, Briefe 1899-1915, 1, Munchen, 1993, pag.136.
5) R.N. Stromberg, Redemption by War. The Intellectuals and 1914, Lawrence, Regent Press of Kansas, 1982.
6) F. Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, in F. Nietzsche, Opere, a cura di G.Colli e M.Montanari, VIII, 2, Milano, 1971, pag.269.
7) All’aperto pacifismo di Ludwig Meidner o di Ludwig Rubiner, all’orrore della battaglia evocato da August Stramm nelle sue lettere, si oppongono in quell’inizio di conflitto il fascino ambiguo che invece proprio la battaglia evoca in Max Beckmann o nel drammaturgo Reinhard Goering, l’arruolamento volontario di Otto Dix, Erich Heckel, Georg Grosz, l’iniziale entusiasmo di Ernst Toller che lo porterà prima ad arruolarsi volontario per poi abbracciare posizioni pacifiste ed umanitarie, fino alle le morti in battaglia dei pittori Franz Marc e August Maacke ed ai tragici postumi che l’esperienza bellica lascerà in Ernst Ludwig Kirchner, Otto Mueller e Wilhelm Lehmbruck. La “devastante tempesta delle potenze cosmiche scatenate da Distruzione e Rinascita” aveva trovato nella prima guerra mondiale il suo più vero compimento.

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