La moderna critica d’arte nasce grazie all’aumento crescente di rubriche d’arte nella stampa a grande tiratura, ma anche alla nascita delle riviste specializzate (1). Entrambe le circostanze determinarono, in Francia a metà del XIX secolo, la richiesta di personale in grado di svolgere l’attività di commento alle mostre d’arte, i cosiddetti “Salons”, che fin dal loro inizio era stata commissionata a letterati del calibro di Diderot e successivamente a Baudelaire (come pure, più tardi, a Zola e Apollinaire). In realtà, ancora al tempo del poeta francese, i critici più in voga, tolto Paul Mantz che era un funzionario del ministero dell’Interno, erano spesso o pittori o disegnatori come Eugene Fromentin, Théophile Thoré, Charles Blanc o letterati come Champfleury, Théophile Gautier, i Goncourt (2).
Se ne può dedurre che, in quel periodo, la critica d’arte fosse in genere un’attività collaterale, sia nel senso che affiancava l’attività ordinaria di personaggi già impegnati in altri campi, sia nel senso che spesso era svolta da amici o compagni di strada degli artisti stessi, di cui condividevano presupposti e finalità.(3)
Tuttavia quelle citate possono dirsi eccezioni di rilievo, in quanto, nell’Ottocento, l’attività critica nella sua generalità era di fatto in mano di professionisti più modesti e scrittori minori.
In Italia, l’epoca della critica militante si apre con Diego Martelli (1839-1896), sostenitore dei Macchiaioli e divulgatore dell’Impressionismo.
Successivamente le ragioni dell’arte moderna troveranno in Vittorio Pica (1864-1930), direttore della rivista “Emporium”, il suo paladino. Ma fin dall’inizio del secolo anche artisti come Carlo Carrà e Ardengo Soffici manifestano un impegno critico diffuso e continuato, anche se nel loro caso non si può parlare tanto di una professione autonoma, quanto di un’attività di promozione del proprio orizzonte artistico.
Nell’Italia dei primi decenni del Novecento, del resto, i critici d’arte militanti sono ancora pochi: il giornalista Ugo Ojetti, la scrittrice Margherita Sarfatti e cattedratici Roberto Longhi e Lionello Venturi. E’ però nel secondo dopoguerra che l’attività critica militante si è intensificata, diversificandosi per interessi, obiettivi ed estrazione professionale.
In larga parte, ancora vi afferivano quanti la svolgevano in modo collaterale alla loro professione principale. Si trattava, ancora una volta, di scrittori e poeti o anche artisti stessi che, più che impegnarsi in letture o più semplicemente recensioni critiche, si producevano in quei testi di circostanza che sono le presentazioni in catalogo, un sottogenere poco più che apologetico nel quale la firma “illustre”, anche se non necessariamente specialista del settore, funziona come una sorta di avallo o di garanzia per dare rilievo all’artista e promuoverlo agli occhi di un pubblico non particolarmente competente. Un costume consueto delle gallerie è stato quello di utilizzare con un certo sussiego questo sottogenere di critica, nell’illusione spesso puramente mercantile che la firma celebre trasferisca parte della sua celebrità all’artista (4), o, al contrario, che per presentare un artista di rilievo ci voglia un letterato di altrettanto rilievo.
Ciò che accomuna i testi di questo sottogenere è il venir meno dell'attenzione propriamente documentaria e informativa e l’emergere di atteggiamento mimetico-competitivo nei confronti della materia trattata: il testo, insomma, come riverbero o continuazione dell’opera. Si tratta insomma di “impressionismo” ecfrastico, che, nel più puro spirito dell’estetismo, trasfonde in prosa poetica o liricheggiante il confronto “titanico” con l’oggetto artistico – atteggiamento inaugurato proprio nell’Ottocento da Sainte-Beuve, Walter Pater e Oscar Wilde.
(1) Come “La Revue indépendente”, di Felix Fénéon, fondata a Parigi nel 1883.
(2) Numerosissimi furono i casi di critici-poeti: oltre a quelli citati, vi furono anche Mallarmé, Valéry, Rilke e Breton. Numerosi anche gli critici-scrittori: Goethe, Stendhal, Huysmans, Balzac, Proust, Henry James, Malraux, Sartre, Butor.
(3) E’ il caso di Apollinaire per i cubisti, o di Breton, Aragon ed Eluard per i surrealisti
(4) Per un certo periodo, in Italia, il quartetto formata dai poeti Libero De Libero, Alfonso Gatto, Leonardo Sinisgalli e Raffaele Carrieri ha praticamente egemonizzato in quel genere della pubblicistica d’arte detto “presentazione in catalogo”, ma, più in generale, si può dire che non vi sia stato scrittore o poeta, in Italia, da Montale a Luzi, da Parise a Comisso, da Raboni a Siciliano, cui non sia stato chiesto un contributo in questo sottogenere, con esiti talora tutt’altro che felici.
|