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Sezione a cura di Alessandro Tempi
INTENDO PER BANANA
di Alessandro Tempi
pubblicato il 10/02/2021
Il compito dell'intellettuale è “esserci”, per suscitare la polemica, porre la questione, insinuare il dubbio, sollevavare l’obiezione, ma anche criticare e, se del caso, compiacere.
In genere, prima di affrontare un qualsiasi argomento in forma astratta, si tende a delineare quale sarà l’ambito in cui si intende operare e si inizia spesso dalla definizione della cosa intorno alla quale si vuole discorrere. È l’approccio alla Spinoza o, se si vuole, alla Kant: intendo per banana quel gustoso frutto ricurvo dalla buccia gialla che cresce su certi alberi…
Qui utilizzerò invece un approccio diverso, vale a dire non definirò alcunché di ciò su cui voglio parlare – gli intellettuali – dando per scontato e per legittimo che ognuno abbia il suo concetto, come lo abbiamo della banana di cui sopra.
Preferisco dunque esordire così: si può essere intellettuali in molti modi, ma sicuramente uno dei più faticosi è di mettersi di traverso al proprio tempo, denunciandone - o denudandone – le illusioni, le ingenuità, le ipocrisie. Rispetto ad altri, questo approccio ha perlomeno il merito di restringere il numero dei meritevoli di quel termine a pochi, pochissimi nomi e nel contempo di evidenziarne un comune denominatore di avversione all’appiattimento e all’omologazione.
Intesi in questo senso, bisogna infatti dire che se ne conterebbero pochi. La mia lista personale avrebbe solo Leopardi, Baudelaire, Pound, Orwell, Pasolini, Sciascia, Chomsky. Ma non è di questa che intendo parlare.


Da noi c’è un verbo che, a seconda di come viene usato, assumere valenze opposte. È il verbo “pettinare” che, nel suo senso figurato o antifrastico, significa rimproverare o criticare aspramente qualcuno. Nel contempo, quando il verbo compare nell’espressione altrettanto figurata “pettinare per il verso del pelo” significa più o meno il contrario, vale a dire adulare, lusingare, assecondare. Se considerassimo gli intellettuali come “pettinatori”, credo che avremmo colto alquanto empiricamente la doppia valenza del loro operare: criticare e compiacere. Le due azioni naturalmente non si escludono a vicenda; possono infatti essere coordinate, concomitanti o addirittura succedanee – tutto sta a che valore diamo a quella e.
Gli intellettuali di oggi – o almeno coloro cui si appunta quel titolo – sanno bene che quella vocale è fondamentale, perché è esattamente ciò che attraverso opportuni e oculati dosaggi consente la loro esistenza, che non è un privilegio castale dato una volta per tutte, ma dipende dalla loro visibilità mediatica, da quanto e come se ne parla sul palcoscenico dei media, le cui luci, come si sa, sono sempre accese.
Cosa produce un intellettuale? Un intellettuale è pagato per “esserci”. Egli suscita la polemica, pone la questione, insinua il dubbio, solleva l’obiezione, pago di esercitare quel ruolo che non la società gli assegna, ma il teatrino mediatico e social-mediatico che si interpone fra il pubblico e l’informazione e che ormai è scambiato sempre più spesso per quest’ultima.
Del resto siamo tutti nell’era dell’esserci e se non ci siamo, non siamo. Perché dovrebbe essere differente per un intellettuale?
Moro Pasolini 1967
Jean Huber, Filosofi a cena 1772
Hogarth Scholars at a lecture 1736

 


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