Nel 1765 gli Uffizi vengono ufficialmente aperti al pubblico (1) da Francesco Stefano di Lorena, ma la frequentazione di questo “museo” non deve far pensare a frotte di visitatori che ne attendono pazientemente in fila l’ingresso per poi invaderne le sale. In realtà, l’ammissione a questo luogo era un fatto pressoché esclusivo, riservato a diplomatici, riconosciuti conoscitori d’arte e visitatori di rango, i soli che potevano condividere quell’interesse specifico per opere d’arte e oggetti rari che prese il nome di collezionismo.
Il carattere ristretto ed elitario di una tale frequentazione è del resto chiaramente rappresentato da un dipinto famoso, appartenente alla Royal Collection britannica e conosciuto col titolo “La Tribuna degli Uffizi” (2) (ill. 1), realizzato intorno 1776 da Johann Zoffany, stimato pittore di corte degli Hannover.
Zoffany, tedesco di origine, a diciassette anni era andato a Roma, dove fu allievo del pittore Agostino Masucci. A ventisette si era trasferito in Inghilterra e nel giro di pochi anni era riuscito a farsi un nome al punto di godere del patronato della famiglia reale. Zoffany comunque continuò a viaggiare molto.
Fu a Vienna, dove per la sua popolarità si conquistò il titolo di “barone” dall’imperatrice Maria Teresa e poi a Firenze. Qui rimase alcuni anni, portando a termine la celebre “Tribuna degli Uffizi” (1772-1778) commissionatagli dalla regina Carlotta per l’allora ragguardevole somma di 300 sterline e un altrettanto famoso ritratto dei granduchi di Toscana (1776), oggi al Kunsthistorisches Musem di Vienna (ill. 2).
Quando alla fine Zoffany tornò a Londra, si avvide che l’accoglienza del quadro commissionatogli non era stata quella sperata. Zoffany lo aveva dipinto come un altro dei suoi “conversation piece”, un genere allora in voga nella pittura inglese, che metteva in scena un gruppo di persone intente in conversazione in uno spazio ben delimitato.
Nel quadro erano ritratte ben 22 figure maschili ben riconoscibili, che facevano parte del milieu britannico nella capitale del granducato e collocati in tre distinti gruppi al centro, a destra e a sinistra della scena; sullo sfondo 22 riproduzioni di quadri famosi della collezione medicea, unitamente a 27 sculture di derivazione classica.
Solo che il numero dei raffigurati - o forse solo alcuni, sebbene personalità di rango - non riuscì gradito ai sovrani. Infatti, per quanto fosse stato vivamente sconsigliato, Zoffany aveva incluso nella sua “conversazione” troppi personaggi e taluni - come sir Horace Mann e Thomas Patch (3) – spiacquero particolarmente, almeno per un dipinto che doveva comparire negli appartamenti della regina.
Il risultato fu che Zoffany perse il suo ruolo di pittore di corte, il che gli fece venir meno anche tutti gli altri committenti che in ragione di quel ruolo gli si rivolgevano.
Decise allora di lasciare l’Inghilterra. La sua idea iniziale fu di imbarcarsi col capitano James Cook, ma poi optò per l’India. Partì nel 1783 assieme al pittore Ozias Humphrey, che era già noto per i suoi ritratti di funzionari della Compagnia dell’India Orientale e di principi indiani e una volta giunto si stabilì a Lucknow, nella regione dell’Awadh (oggi Uttar Pradesh), dove la Compagnia aveva il suo centro e il suo residente.
Fu proprio a Lucknow che Zoffany eseguì uno dei suoi quadri più singolari ed esotici, intitolato “Il combattimento del gallo del Colonnello Mordaunt” (1788, oggi alla Tate Britain, ill. 3), nel quale è rappresentato uno scorcio di vita coloniale, per quanto assai insolito, ma che può essere letto in più di una chiave.
Lungi dal costituire l’ennesimo esempio di “conversation piece”, Zoffany definì questo quadro “pittura storica”, forse per la rappresentazione realistica e a tratti comica di un evento – un combattimento di galli – che in realtà non ha in sé né rimanda ad alcunché di ufficiale o di importante e che anzi per la morale inglese dell’epoca era considerato una bassa forma di intrattenimento.
L’alto numero di personaggi raffigurati – più di novanta – è organizzato secondo una “messa in scena” in cui spiccano i rappresentanti occidentali, mentre i nativi o sono relegati sullo sfondo in maniera del tutto accessoria o sono ritratti, come il Visir Asaf ud Daula e il suo seguito – che pure sono collocati al centro del quadro -, in pose quasi caricaturali. Gli occidentali - fra i quali Zoffany ritrasse anche se stesso e il collega Humphrey - assistono a questo evento col contegno e la curiosità di chi sembra condividere una indiscutibile superiorità culturale, cui fa da icastico pendant l’evidente superiorità del gallo inglese su quello del Visir. Che gli Inglesi fossero destinati a dominare il subcontinente indiano parve insomma a Zoffany una verità inevitabile e self-evident.
1) Costa-Perini, I savi e gli ignoranti: dialogo del pubblico con l'arte (16.-18. secolo), Bologna, Bononia University Press, 2017 pag. 154, 156
2) La Tribuna è una sala di forma ottagonale situata nel corridoio orientale dell’odierna Galleria degli Uffizi. Fu realizzata da Bernardo Buontalenti nel 1584, allorché Francesco I de’ Medici volle trasferire le opere raccolte nello Studiolo di Palazzo Vecchio. Si tratta quindi del primo nucleo museale degli Uffizi concepito per la raccolta delle opere dell'arte della vasta collezione medicea.
3) Il pittore Thomas Patch era stato espulso da Roma per omosessualità. A Firenze si era legato in amicizia al console britannico sir Horace Mann, a cui i sovrani non nascosero mai di preferire George Clavering Cowper, lui pure ritratto nel dipinto mentre ammira la Madonna di Raffaello, che aveva acquistato dallo stesso Zoffany.
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