Le nozioni di arte ambientale o, come si preferisce dire oggi, di arte pubblica, fanno da sfondo concettuale entro cui la manifestazione, che ha chiamato decine di artisti italiani e stranieri a confrontarsi con i luoghi ed i paesaggi chiantigiani, si è mossa negli anni.
La scelta di tale sfondo implica necessariamente un’opzione di principio, che si realizza nel fenomeno di trasferimento dell’opera d’arte - o dell’operare artistico, se vogliamo - dagli spazi convenzionali (i musei, le gallerie) a quelli decisamente non convenzionali come appunto i contesti urbani, ma anche tutte quelle realtà territoriali che configurano il paesaggio. Se questa opzione è chiara, rimane indefinita la teoria che sottende ad essa e che dovrebbe definire le molteplici tipologie oggi operanti sotto l’egida del pubblico o dell’ambientale: dalle mere operazioni di “arredo urbano” o di “decoro architettonico” ad esperienze di coinvolgimento del pubblico nell’evento artistico, dagli interventi site-specific a quelli effettuati direttamente o sul paesaggio o, al contrario, sui luoghi dell’aggregazione (o dell’interazione) sociale.
Il termine arte pubblica, insomma, risulta quanto mai indeterminato. E’ evidente infatti che il fatto che un’opera d’arte sia collocata in uno spazio pubblico non la rende automaticamente un’opera di arte pubblica. Certamente esso contraddistingue la qualità di una collocazione “non deputata”, ma implica anche un preciso slittamento concettuale dalla sfera del privato (museo o galleria, che agiscono nell’ambito della proprietà o comunque della responsabilità individuali) a quella del pubblico (in cui si agisce, anche se in maniera non sempre ben definita, nell’ambito dell’interesse e dell’uso collettivi).
Le questioni che ruotano intorno all’arte pubblica o ambientale non riguardano solo l’orizzonte teorico o estetico in cui collocare correttamente queste pratiche. La sfera del pubblico, in Italia, è quella in cui agiscono gli amministratori politici che costituiscono, in ultima analisi, la cosiddetta committenza. E’ evidente infatti che quello slittamento cui prima si accennava implica la chiamata in causa di un tipo particolare di committenti, che non hanno da rendere conto ad un consiglio di amministrazione od alle proprie tasche, ma ad una collettività locale che, il più delle volte, si mostra disattenta al confronto con le sottili complessità dell’arte attuale ed invece, per altri versi, molto attenta a stigmatizzare le scelte contingenti dei propri amministratori.
Parrà strano, dunque, ma nel campo dell’arte pubblica vi è un solido problema di committenza che frappone non pochi impedimenti, almeno in Italia, a progetti come Tusciaelecta. Se a questo poi si aggiungono le viscosità della burocrazia, le discontinuità degli avvicendamenti politici, le prospettive di corto raggio delle politiche locali ed i calcoli meramente elettoralistici o mediatici dei politici coinvolti, si capisce come le preoccupazioni degli autori siano concrete.
Nonostante tutte queste difficoltà, la questione dello spazio pubblico in rapporto al fare artistico si sta tuttavia imponendo come un tema di grande rilevanza e questo evidentemente non si deve solo al fatto che gli operatori del settore (artisti, curatori, critici) - forse in assenza di altre prospettive - si sono scoperti una vocazione pubblica o sociale o, come si dice oggi, una social accountability da esercitare in quelle aree urbane e suburbane ed in quei tessuti sociali marginali ove le trasformazioni socioeconomiche hanno inciso in maniera più negativa. In realtà, si è ultimamente sviluppata una potente sintonia fra pubblici poteri (in molti casi le amministrazioni regionali) ed operatori del mondo dell’arte che ha dato come esito quella che potremmo definire un’arte sociale o sociologica caratterizzata dall’interazione fra pratiche espressive e azioni di intervento socioculturale e finalizzata, attraverso il coinvolgimento di gruppi di pubblico diversi, ad obiettivi concreti come la riqualificazione urbana, o il facilitare le relazioni sociali in contesti ad alta conflittualità, o il promuovere l’identificazione del singolo negli spazi collettivi.
La conclusione che se ne può trarre, per il momento, è che la nuova committenza dell’arte pubblica sta già cominciando a modificare concetti, metodi e obiettivi dell’operare artistico contemporaneo, infondendo negli artisti una nuova rilevanza sociale, che deriva direttamente dalla tensione del loro impegno. Di certo si stanno profilando nuove forme di fruizione artistica dis-locate non solo dai loro spazi deputati, ma anche dal cosiddetto sistema dell’arte.
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