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Alexander Dorner
di Alessandro Tempi
pubblicato il 28/10/2012

Una nuova concezione del museo come istituzione partecipe della vita dell’uomo e parte integrante o modo di manifestazione per eccellenza del modo di essere di quest’ultimo nel mondo.

Era il 1923 quando Alexander Dorner (1893-1957) fu nominato curatore del Landes Museum di Hannover. Appena due anni dopo diventò il più giovane fra i direttori dei musei d’arte della Germania. Dorner riteneva che la sua formazione, avvenuta all’ombra dell’estetica d’ispirazione riegliana, gli avrebbe permesso non solo di riorganizzare il museo secondo criteri allestitivi più aggiornati, ma anche di rinnovare il modo in cui i suoi concittadini percepivano ed entravano in contatto con le opere d’arte.

Fu tra i primi curatori ad acquisire per la collezione museale opere di arte contemporanea, concentrando le sue scelte su artisti del Piet Mondrian, Naum Gabo, Kazimir Malevich, El  Lissitzky e Laszlo Moholy-Nagy, al quale commissionò la Raum der Gegenwart (Stanza del Presente), uno spazio che oggi definiremmo multimediale (peraltro mai realizzato in pratica) perché prevedeva non solo l’utilizzazione di proiettori di immagini, ma anche una modalità di fruizione radicalmente nuova per gli spettatori, implicati in un’operazione di vero e proprio coinvolgimento fisico-sensoriale.

Le discussioni con Erwin Panofsky (conosciuto a Berlino all’epoca del suo dottorato), Walter Gropius, Kurt Schwitters, El Lissitzky, avvenute nel clima di fermento intellettuale e politico della Repubblica di Weimar, unite ad una coraggiosa e infaticabile determinazione, lo condussero  a formulare una nuova concezione del museo come istituzione in cui l’arte, svincolata dalle idee romantiche ancora dominanti, apparisse come partecipe della vita dell’uomo, e come parte integrante o modo di manifestazione per eccellenza del modo di essere di quest’ultimo nel mondo.

Per realizzare questi obiettivi, Dorner aveva preliminarmente proceduto ad un accurata catalogazione delle opere di proprietà del Landes Museum, che poi aveva ordinato cronologicamente, creando per ciascuna grande epoca un allestimento specifico, affinché il visitatore avesse l’impressione di vivere all’interno di quella visione della realtà che era propria dell‘opera e civiltà (greca, romana, medievale, rinascimentale) che l’aveva prodotta.

Uno dei suoi allestimenti più notevoli fu il al famoso «Gabinetto astratto», commissionato a El Lissitzky, in cui la mobilità dei pannelli e il variare della luce favorivano l’illusione delle nuove dimensioni spazio-temporali di cui l’arte astratta, secondo Dorner, sarebbe allo stesso tempo ricerca ed espressione.

Va detto che Dorner, che non era propriamente un teorico, lo divenne per la mole di riflessione continua profusa  sul suo operato di «direttore» di un museo d’arte. Il museo di Hannover fu la sua grande opera, ad un tempo teorica e pratica: un’opera rivoluzionaria, il primo e forse unico tentativo di un’autentica innovazione nella fruizione dell’arte (vale a dire nel rapporto fra il pubblico e l’opera d’arte) in cui, al posto della contemplazione passiva, si incoraggiava e provocava un interesse attivo nello spettatore, una sorta di esperienza di condivisione dei significati e dei processi conoscitivi implicati dall’opera.

Dimissionario alla’indomani dell’avvento del nazismo, Dorner si trasferì prima in Francia e poi, grazie all’amico Panofsky, che lo raccomandò a Alfred H. Barr, potente direttore del Moma di New York, negli Stati Uniti, dove il pragmatismo di Peirce e di Dewey -  culture filosofiche pressoché sconosciute alla cultura germanica - rinnovarono in lui l’esigenza di dare una base teorica alle sue ricerche e ai suoi esperimenti museografici, fornendogli al contempo nuovi suggerimenti per la costruzione di una filosofia dell’arte che potesse accostarsi e partecipare al grande sviluppo delle scienze naturali proprio del XX secolo.

Nasce da queste riflessioni il suo saggio Il superamento dell’arte, che non è libro di estetica né di pura speculazione teorica. E’ piuttosto molte cose insieme: la storia essenziale dei mutamenti della visione della realtà durante l’evoluzione umana, l’analisi del passaggio dal mondo «adimensionale» primitivo al mondo statico tridimensionale della civiltà occidentale, e da questo a una realtà futura vissuta come divenire e non più come essere ed i cui primi accenni possono essere riconosciuti nelle enunciazioni della fisica moderna, nelle ricerche dell’arte astratta e perfino del «design».

Il superamento dell’arte, apparso per la prima volta nel 1947 col titolo «The Way beyond Art», fu pubblicato in Italia solo nel 1964.


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