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Il Neoplatonismo e le arti visive nella Firenze del quattrocento
di Alessandro Tempi
pubblicato il 25/02/2013

"Non ha l’ottimo artista alcun concetto/c’un marmo solo in sé non circoscriva/col suo soverchio, e solo a quello arriva/la mano ch’obbedisce all’intelletto"


Michelangelo, "San Matteo"

La diffusione del neoplatonismo a Firenze avvenne sotto l’egida di Cosimo de’ Medici, che nel 1462 donò a Marsilio Ficino una villa a Careggi per istituirvi la sede nell’Accademia fiorentina, di impostazione neoplatonica.

Intuendo la prossima fine dell’impero bizantino, già da molti anni personalità come Cosimo de’ Medici si stavano adoperando per accaparrarsi non solo beni e capitali provenienti da Bisanzio, ma soprattutto uomini di cultura. A Venezia Cosimo acquistò una cassa contenente manoscritti antichi di opere di Platone, Senofonte, Diodoro Siculo e Strabone, garantendosi nel contempo la collaborazione di due dei massimi umanisti greci dell’epoca, Giovanni Aurispa (già segretario dell’imperatore Giovanni il Paleologo) e Francesco Filelfo.

Ciò spiega la successiva scelta di Firenze, nel 1439, come sede del Concilio che doveva, almeno nelle intenzioni, riconciliare le due Chiesa della cristianità, quella romana e quella greca.

Nel corso delle sedute del Concilio, che fu caratterizzato da vere e proprie dispute dottrinali, Cosimo si appassionò ad un erudito bizantino, Giorgio Gemisto Pletone, ugualmente dotato nella conoscenza del platonismo che in quella biblica. Animato dall’intento di rompere l’egemonia della Scolastica medievale (di impostazione aristotelica), Cosimo, che vedeva nel Neoplatonismo la sintesi fra l’idealismo greco ed il misticismo orientale, decise di finanziare la traduzione dei dialoghi platonici, cosa che iniziò solo a partire dal 1462, ad opera di Marsilio Ficino, già allievo di Pletone.

Quando, fra il 1464 ed il 1472, Leon Battista Alberti riprese contatto con la vita fiorentina dopo il lunghissimo soggiorno romano, si accorse che molte cose erano cambiate: non solo i Medici erano ormai al potere incontrastati e la vita fiorentina era diventata più fastosa, ma che era cambiato anche il modo di pensare delle classi colte: la cultura fiorentina era ormai dominata dai neoplatonici, guidati da Marsilio Ficino e Pico della Mirandola. Coinvolto nelle loro dispute, Alberti mostrò sempre scarsa simpatia per il neoplatonismo miticizzante dell’Accademia, perché egli credeva soprattutto nel primato della vita attiva e riteneva che il cittadino dovesse impegnarsi a contribuire concretamente al bene della città, mentre era chiaro che il neoplatonismo ficiniano attribuiva maggiore importanza alla vita contemplativa e quindi sostanzialmente disinteressata alle questioni pubbliche o politiche – cosa che senza dubbio doveva apparire enormemente  più vantaggiosa per i detentori del potere fiorentino, che l’Alberti si incaricò di criticare apertamente.

Le dottrine neoplatoniche vennero applicate alla teoria dell’arte solo a partire dal secolo successivo, particolarmente da Michelangelo, il quale ricevette i primi insegnamenti nella cerchia di Lorenzo de’ Medici. La scultura di Michelangelo è pervasa da concezioni neoplatoniche, come l’idea dell’eterna ricerca della perfezione attraverso l’intelligenza,che di fatto si traduce in una continua sofferenza dell’uomo che lotta per avvicinarsi a Dio. Solo attraverso la morte l’uomo riuscirà a liberare il suo spirito ed avvicinarsi a Dio. Questo principio di lotta per la libertà dello spirito è visibile in molte opere di Michelangelo, soprattutto quelle lasciate incompiute, nelle quali è evidente il senso di oppressione dell’uomo imprigionato nella materia che lotta per raggiungere una meta che sa essere irraggiungibile. Per Michelangelo la mano dell’artista che esegue l’opera è un semplice strumento che esegue meccanicamente la volontà dell’intelletto, il quale non può avere nessuna idea che già non esista all’interno del marmo. Scrive lo stesso Michelangelo: "Non ha l’ottimo artista alcun concetto/c’un marmo solo in sé non circoscriva/col suo soverchio, e solo a quello arriva/la mano ch’obbedisce all’intelletto".  Molte statue che Michelangelo scolpirà dopo il San Matteo del 1505, rimarranno tutte incompiute. Il non-finito michelangiolesco ha un significato preciso: il blocco sbozzato lascia solo intravedere l’immagine che l’artista viene liberando dalla materia, mentre l’idea compiuta è irraggiungibile perché è eterna; l’uomo può soltanto lottare per tendere verso quella meta, ma è cosciente dell’impossibilità per lui, finito, di giungere all’infinito. Nel non-finito si concretizza il pessimismo michelangiolesco: la constatazione dell’urto fra l’intuizione dell’eterno e la caducità di tutte le cose, fra la ragione che Dio ci ha concesso e la pochezza dei risultati. Nelle statue incompiute dei Prigioni per la tomba di Giulio II o in San Matteo, l’uomo scolpito cerca di uscire dalla materia con fatica, con sofferenza; tenta di realizzare sé stesso, dar corpo alla propria vita di uomo, senza potervi giungere. 

In realtà, però, l’influenza del neoplatonismo modificò fin da subito e visibilmente il senso dell’umanesimo fiorentino, nel quale arte e scienza risultavano strettamente compenetrate (come in Alberti e Leonardo, ad esempio). Col neoplatonismo, si instaura una sorta di contesa per subordinare le discipline scientifiche alla speculazione mistico-teologica, il che implicava il ritorno ad una concezione spirituale del mondo e ad un atteggiamento contemplativo, distaccato, ascetico rispetto ad una realtà su cui si riteneva di non dovere né potere operare.
Tuttavia anche il neoplatonismo ficiniano portò indubbiamente ad un arricchimento culturale: innanzitutto perché comportò una maggiore conoscenza e diffusione delle opere degli autori greci e latini, su cui si moltiplicano le edizioni ed i commenti. In un intreccio inedito fra filosofia e poesia, fra speculazione ed arti visive, il passato con i suoi miti letterari diventò una fonte di ispirazione a cui attingere liberamente, col risultato che la prospettiva storica degli artisti si andò progressivamente allargando fino a comprendere il pensiero e l’arte di epoche non cristiane, come appunto quella della classicità greco-romana, congiungendosi con essa in un’unica costruzione ideale.

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Riferimenti bibliografici
- Anthony Blunt, Teorie artistiche in Italia dal Rinascimento al Manierismo, Torino, Einaudi, 1966
- Ernest Gombrich, Immagini simboliche. Studi sull’arte del Rinascimento, Torino, Einaudi, 1978
- Erwin Panofsky, Idea. Contributo alla storia dell’estetica, Firenze, La Nuova Italia, 1952
- Jack Lang, Il Magnifico. Vita di Lorenzo de’ Medici, Milano, Mondadori, 2002
- J. Lucas-Dubreton, La vita quotidiana a Firenze ai tempi dei Medici, Milano, Rizzoli, 1985
- L'arte al potere, a cura di D.A.Conci, V.Dini, F.Magnelli, Bologna, Editrice Compositori, 1992
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