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Il caso Schnabel ed il boom della
pittura contemporanea
di AlessandroTempi
pubblicato il 03/02/2007 |
Nel febbraio del
1979, racconta Mary Jane Jacob [1] accadde qualcosa che
sconvolse il mondo dell'arte contemporanea: un giovane pittore
ventinovenne, Julian Schnabel, tenne la sua prima personale
alla Galleria di Mary Boone a SoHo, New York e fu un successo
istantaneo. |
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Tutti i dipinti, prezzati da 2500 a 3000 dollari, vennero
venduti, alcuni ancor prima dell'inaugurazione. Da quel
momento in poi, dice la Jacob, diventò possibile,
per un giovane artista, passare dal più completo
anonimato alle vette della celebrità, chiedere prezzi
altissimi per le proprie opere ed ottenere retrospettive
o grandi mostre personali entro pochi anni dalla sua comparsa
sulla scena.
Il tipo di opere che provocò questa svolta economica
nell'arte era principalmente pittura, un bene particolarmente
adatto ad essere collezionato e che proprio per questo motivo
riprese il sopravvento dopo una decade in cui avevano predominato
la cerebralità e l'algidità dei lavori dell'Arte
Concettuale e Minimale. Nello stesso tempo, anche l'Europa
pareva girare nello stesso senso - e con tempestività
sospetta - con il gruppo della Transavanguardia (Sandro
Chia, Enzo Cucchi, Francesco Clemente, Mimmo Paladino) in
Italia e con i Neo-Espressionisti (Anselm Kiefer, A.R.Penck,
Georg Baselitz, Markus Lupertz, Jorg Immendorf) in Germania.
Il boom della pittura contemporanea coincise con una fase
di espansione dell'economia americana comunemente detta
Reaganomics. In un articolo del 1980 il critico d'arte
del New Yorker Calvin Tompkins scriveva: "Il congiungimento
fra un nuovo tipo di pubblico ed una nuova generazione di
artisti ha reso più febbrile la scena artistica attuale,
provocando un eccitamento nervoso che se è un bene
per gli affari, non lo è necessariamente per l'arte
[2].
Sempre più ampi riconoscimenti e sempre più
elevate vendite andavano in parallelo, nel corso degli anni
Ottanta, per i giovani pittori come Schnabel, David Salle,
Jean Michel Basquiat, Keith Haring, o Eric Fischl.
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La recensione o l'articolo giornalistico sostituivano spesso
la critica vera e propria nella mediazione col pubblico e
la funzione della pubblicità e della promozione, da
parte delle gallerie, divenne condizione fondamentale per
la creazione della reputazione di ogni giovane artista. L'arte,
insomma, era di moda e tutto il suo variopinto circo - artisti,
galleristi, mercanti, collezionisti, critici - era conteso
dalle riviste di informazione e di glamour.
Nel 1986, secondo il Wall Street Journal, il numero
delle compagnie che collezionavano arte contemporanea era
aumentato negli ultimi cinque anni del 50% [3]. Sicuramente
all'inizio esse si erano gettate nell'impresa perché
la nuova pittura era relativamente abbondante ed a prezzi
più contenuti di quella dei maestri dell'Espressionismo
Astratto o della Pop Art, ma nel giro di pochi anni la richiesta
crescente di questo tipo di collezionismo societario fu sufficiente
da sola a sostenere un gran numero di gallerie e di artisti,
dando luogo, come ricorda Calvin Tompkins [4] , ad
un vasto e ricco indotto costituito da professionisti (curatori,
consulenti, esperti) che lavoravano esclusivamente per esso.
Le compagnie non collezionavano arte solo perché era
di moda, ovviamente, ma perché era un'ottima forma
di investimento. Ciò ebbe in molti casi l'effetto pernicioso
di drogare le quotazioni delle opere, costringendo gli artisti
a lavorare in base alla legge della domanda e dell'offerta
[5]. Le conseguenze catastrofiche per questi ultimi
furono evidenti: se prima si era cercato di indirizzare le
opere di maggior valore verso i musei, ora si iniziava a vendere
tutto indiscriminatamente, senza operare alcuna selezione,
col risultato che opere di grande qualità finivano
nelle collezioni private per poi essere rimesse sul mercato
dopo poco tempo a prezzi che nessun museo poteva permettersi.
[1] Mary Jane Jacob, Art in the Age of Reagan
1980-1988, in A Forest of Signs: Art in the Crisis of
Representation, Museum of Contemporary Art, Los Angeles, 1989,
pag. 15.
[2] Calvin Tompkins, Boom, in The New Yorker,
Dec. 20, 1980, pag. 78.
[3] Meg Cox, Boom in Art Market Lifts Prices, Stirs
Fears of a Bust, in The Wall Street Journal, Nov.
24, 1986, pag.1.
[4] Calvin Tompkins, Medicis, Inc., in The
New Yorker, April 14, 1986, pag.87.
[5] Leonhard Emmerling, Basquiat, Taschen, Koln,
2003, pag. 8.
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