Prossima apertura a Palazzo Ducale della mostra dedicata ad Amedeo Modigliani a cura di Rudy Chiappini con Dominique Vieville e Stefano Zuffi, resa possibile grazie alla collaborazione di vari musei europei ed ai prestiti di collezionisti sia europei che americani.
In mostra una trentina di dipinti, acquerelli, tempere e altrettanti disegni, tra i quali un “Nudo accovacciato“, un “Nudo in piedi”, la serie delle “Cariatidi”, opere di grande modernità e di spiccato minimalismo con impronta primitivista, i ritratti di Georges Chéron, di Moise Kisling (1915,1916), del pittore ed amico Chaim Soutine (1916) come lui residente in quel quartiere parigino di Montparnasse dove, all’inizio del ‘900, convergono da più parti d'Europa artisti di tutto il mondo inseguendo il miraggio di entrare nel mondo dell'arte e dare voce alla propria vena creativa: in quel clima euforico di entusiasmo e sregolatezza ha origine il termine ‘bohémien’ per definire un artista ribelle e anticonformista in lotta contro le regole e le vuote convenzioni del mondo borghese.
Siamo all’indomani del Salon d’Autumne che ha portato alla ribalta una congrega di pittori avanguardisti spregiativamente denominati dalla critica Fauves (Henri Matisse, André Derain e Maurice De Vlaminck), mentre in Rue Ravignan, in un fatiscente fabbricato denominato "Bateau Lavoir" dove anche Modigliani sarà brevemente ospitato, si insedia una promiscua e precaria comunità di artisti sconosciuti, ma destinati a divenire protagonisti dell'arte del '900 fra i quali Picasso, Braque, Jacob, Apollinaire, Juan Gris, Léger, Delaunay, Paul Gauguin di ritorno dal suo primo viaggio a Thaiti.
Ma Modigliani, sconosciuto ebreo italiano giunto da Livorno, è in realtà un solitario, alcolizzato, trasgressivo, violento, con precedenti di depressione familiari, e non appartiene a nessuna corrente, anche se in seguito verrà inquadrato dalla critica nella “Scuola di Parigi”.
Vorrebbe fare lo scultore, sente molto l’influenza dell'amico Constantin Brancusi, ma finirà per privilegiare la pittura, come gli consiglia il suo agente polacco Zborowski che addirittura lo esorta a dipingere paesaggi, temi più graditi ai collezionisti del tempo e quindi più redditizi.
Modigliani sceglierà invece di dedicarsi al ritratto e alla figura, facendone il focus della sua produzione, come evidenziano anche i lavori in mostra, importando dalla scultura la solidità della forma, la sintesi volumetrica, il senso plastico dell'immagine, che nella pittura si traducono nella particolare densità cromatica di forme piatte e corpose dai contorni netti e definiti in uno spazio vuoto dove il contesto non conta.
Nei nudi ritroviamo la composta, ieratica solennità dei grandi classici, la nobiltà "manieristica" delle figure rinascimentali, sicché i corpi femminili esposti senza pudore, che tanto scandalizzavano la morale borghese, vengono sublimati da un raffinato senso estetico della composizione, memore della tradizione pittorica italiana in particolare toscana.
Nei ritratti, le linee allungate dei colli esili ed eleganti sono invece un rimando al primitivismo africano, l’art nègre delle statue lignee e delle maschere che tanto aveva intrigato l’amico Brancusi, oltre che de Vlaminck, Picasso, Matisse, e che Modigliani arricchisce di suggestioni arcaiche greche, etrusche, romaniche.
Nei volti, l'enigmatica fissità delle sembianze, l'ambiguità delle pupille sfuggenti e degli inquietanti occhi a fessura sono più che mai specchio dell’anima, quella del personaggio ritratto, costantemente sottratta all’indagine dell’osservatore, o quella dell’osservatore, frustrata dal vano tentativo di violare ciò che non verrà mai svelato. |