Lultima campagna pubblicitaria
sbarcata in internet e sulle pagine di tutti li più diffusi
giornali del mondo con una risonanza assordante ed un vivace
strascico di commenti, polemiche, consensi e dissensi è
indubbiamente quella di "Dove
Pro age", presentata a Milano pochi giorni fa con una mostra
fotografica, intitolata "Pro-age, perché la bellezza
non ha età", (dal 19 settembre al 14 ottobre
2007, in corso Vittorio Emanuele): autore delle immagini è
Gianmarco Chieregato
che ha ritratto tre attrici, Ornella Muti, Dalila Di Lazzaro,
Anna Orso, ed altre sette sconosciute over 50, per niente imbarazzate
dall'esibizione della loro matura nudità.
Marchio storico della Unilever, con questa discussa campagna
Dove si rivolge alle donne over 50, donne vere, mature, plasmate
dalle esperienze della vita, puntando sul concetto che la
bellezza non è soltanto e semplicemente questione di
età, la quale è solo una delle molteplici componenti
della bellezza, così come i segni del tempo non sono
difetti da cancellare, ma caratteristiche del fascino maturo
da valorizzare, o quanto meno da non rifiutare.
Si tratta di una campagna coraggiosa, che infrange i tabù
più radicati di una società del giovanilismo
a tutti i costi anche artificialmente ottenuto ed inaugura
un nuovo punto di vista sulla bellezza femminile, con un approccio
positivo allavanzare degli anni.
Affidata allobiettivo di Annie Leibovitz, in Italia
supportata dal contributo di Gianmarco Chieregato, la campagna
utilizza come testimonial volti noti o perfette sconosciute,
tutte comunque fieramente consapevoli della bellezza matura
della loro nudità naturale, elegante e senza complessi.
In casi come questo, sia per la forza del messaggio che per
l'autonomia creativa dell'esecuzione, limmagine si impone
in sé stessa come linguaggio predominante veicolando
un messaggio puramente ed asetticamente visivo, dimostrando
come la pubblicità possa aspirare a essere uno dei
luoghi privilegiati della creatività moderna, in cui
le strategie formali ed espressive dellarte visiva diventano
indistinguibili da quelle puramente commerciali e comunicazionali.
Si consolida ancora una volta un lungo flirt tra arte e pubblicità
che attraversa tutto il '900, nello spirito di una generalizzata
"strategia commerciale del visivo" (Elio Grazioli,
"Arte e pubblicità", 2001) per cui separare i due
ambiti è oggi sempre più difficile e forse sempre
meno necessario.
Accade così che, per reciproci sconfinamenti come in
questo caso, arte e pubblicità si identifichino nelle
stesse tematiche, nello specifico incentrate sulla necessità
che entrambe, per tutte le implicazioni e le modificazioni
intervenute negli ultimi decenni circa la percezione dellimmagine
della donna, inventino nuovi modi di rappresentazione, allontanandosi
dagli stereotipi di una bellezza immutabilmente ferma al tempo
anagrafico della giovinezza.
Se Dove sceglie di lanciare il suo messaggio affidandolo
alle immagini armoniose e patinate dei suoi fotografi, cè
chi lo ha fatto, con quasi un decennio di anticipo, affrontando
invece il tema dal punto di vista diametralmente opposto.
Lolandese Erwin Olaf è, nel panorama della fotografia mondiale, una delle
personalità più interessanti e innovative: ha tenuto importanti personali in tutto
il mondo (allo Stedelijk Museum di Amsterdam, al Groninger
Museum in Olanda, al Frankfurter Kunsteverein e al Ludwig
Museum in Germania, al Paris Photo, alla Flatland Gallery
di Utrecht, alla Wessel O'Connor di New York ecc.), vincitore
nel 1988 del premio Giovani Fotografi Europei in Germania,
nel 1998 del Leone d'argento a Cannes per la campagna pubblicitaria
della Diesel, nel 2001 per la campagna pubblicitaria della
Heineken.
A seguire, innumerevoli mostre in tutto il mondo, dalla Cina a New York, Londra, Parigi, da ultimo, nel 2019, una personale per l'anniversario del Gemeentemuseum dell'Aia e del The Hague Museum of Photography, sempre all'Aia.
I suoi interventi di rielaborazione digitale sulla fotografia,
spesso volutamente pesanti ed evidenti, sono il mezzo delezione
per declinare in chiave umoristica, satirica o chiaramente
grottesca una sua disincantata visione del mondo della carta
stampata, dalla pubblicità alla moda alla pornografia,
nonché del classicismo e della storia dellarte.
Dice: "Ho sempre cercato di fare dell'ironia sulla
bellezza per cercare di offrire una nuova prospettiva sull'intera
stupida, ipervalutata industria della moda", intesa
non solo come fashion, ma come interpretazione passiva
dei modelli precostituiti ed omologanti che i media ci propongono
quotidianamente ed ossessivamente.
La sua serie fotografica "Mature" del 1999 è una divertita
ed ironica riflessione sul concetto di bellezza e sensualità
femminile proposta dai media di quegli anni, realizzata con
modelle over 65, fotografate
in pose ed abbigliamenti maliziosamente sexy, con nomi che
alludono alle più note top model degli anni 80, come
ad esempio Cindy C(rawford).
E' interessante notare come, seppure per vie diverse ed
a distanza di tempo, si realizzi con approcci opposti una
sostanziale convergenza dei contenuti: limperfetta bellezza
delle mature modelle di Olaf, strizzate in addobbi
da adolescenti al limite del trash, ridicolizza il punto di
vista contemporaneo sullidea di bellezza femminile che
non ammette mutamenti al di là di una giovinezza eterna
e lancia lo stesso messaggio di Dove: serenamente matura
è bello, o 'falsamente giovane è ridicolo',
ognuno faccia la propria scelta!
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