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Testi e commenti di Vilma Torselli su Antithesi, giornale di critica d'architettura. Il più letto in Artonweb: fotografia
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Arturo Ghergo. L'immagine della bellezza
un fotografo ed una mostra
di Vilma Torselli
pubblicato il 22/05/2008
Il fotografo del glamour italiano in mostra a Milano in una grande retrospettiva.
La mostra che Milano dedica ad Arturo Ghergo (21 maggio/29 giugno 2008, “Arturo Ghergo. L'immagine della bellezza” a cura di Claudio Domini e Cristina Ghergo) si inserisce come un prezioso tassello nel filone celebrativo di uno dei nomi più noti e gratificati dal consenso della critica della storia della fotografia italiana.

Il lavoro di trent’anni, dai primi anni Trenta alla fine degli anni Cinquanta, ritratti di volti famosi, del cinema, dell’alta società, della moda e persino della chiesa, documenta lo stile raffinato e sofisticato di un fotografo dotato di straordinario talento, ma soprattutto di grande carisma, in grado di esercitare, come dichiara la moglie-collaboratrice, “un forte ascendente psicologico sulla persona che sta davanti alla macchina fotografica” riuscendo ad ottenere la posa voluta talvolta solo alla fine di sedute di estenuante lunghezza e di particolare disagio per le condizioni del set arroventato dalle luci: era quello il momento magico, quando finalmente “la volontà del soggetto non si oppone più alla volontà del fotografo” e si fa docile ‘oggetto’ ubbidiente al suo Pigmalione.

Nessuna ripresa esterna , Ghergo fotografa in studio, con la persona in posa, disponendo le luci secondo scelte meticolose e precise, avendo bene in mente il risultato che vuole ottenere, curandolo integralmente e personalmente, dalla posizione del corpo o l’espressione del volto al taglio dell’inquadratura alla scelta degli elementi accessori, poche cose di raffinato minimalismo. Tutto è nelle sue mani, scelte estetiche e tecniche, dall’inizio alla fase finale, fino alla scelta della carta da stampa e, particolare importantissimo, al ritocco attuato direttamente sul negativo con insuperata perizia, grazie al quale spariscono ombre non volute, si levigano i volti, si assottiglia la vita, si migliora una postura e si rende più elegante una silhouette.

Arturo Grergo è la persona giusta al momento giusto nel posto giusto, quando l’Italia orgogliosamente fascista scopre la glamour e la fashion photography e decide che Hollywood, dopo tutto, non è l’ombelico del mondo, che possiamo fare da soli e che il divismo è un fenomeno che si può copiare, anzi inventare anche da noi.

I primi cinquant’anni del ‘900, in cui Ghergo vive ed opera, rappresentano in Europa uno dei periodi più turbolenti di tutta la storia dell’arte, dilaniato da due guerre, attraversato dalle intemperie dell’espressionismo, dai voli metafisici del surrealismo, dalle intemperanze del futurismo, è un periodo di destabilizzazione ed opposizione in cui l’arte esce dagli studi dei pittori e scopre la vita.
Roberto Rossellini, Luchino Visconti, Vittorio De Sica, Giuseppe De Santis rivoluzionano il cinema italiano, che abbandona gli studi di Cinecittà per andare nelle strade, fra la gente, per lanciare inediti messaggi sociali attraverso storie di quotidianità, di disagio, di povertà attraverso i volti di attori non professionisti presi dalla strada, lontani anni luce dai divi ritratti da Ghergo: è il neorealismo italiano, fenomeno circoscritto ad un breve periodo della vita di una piccola nazione che, però, diventerà una pietra miliare nella storia del cinema mondiale.

La produzione di Arturo Ghergo passa indenne attraverso questi cataclismi, tutto scivola lieve sui volti levigati dei suoi algidi ritratti, senza appannare sorrisi radiosi, accurate messe in scena, abiti sontuosi, imperturbabili eleganze, senza scalfire minimamente l’allure di perfezione inumana che colloca i personaggi ritratti in un mondo a parte, un olimpo irraggiungibile di semidei.
In quel mondo dorato ed intangibile non entrano le misere banalità della vita normale, Ghergo non le vede, non le sente, non lo toccano, egli persegue, al di sopra delle contingenze, un suo ideale estetico, una sua ‘immagine della bellezza’ quasi metafisica che ha radici nella cultura della tradizione, nei valori del nostro classicismo ripresi parallelamente dai Novecentisti di Margherita Sarfatti, nell’eleganza del liberty italiano, il tutto rivisitato e ripulito alla luce di un suo personale modello di modernità.

Identificato da subito come il fotografo del glamour italiano, Ghergo se ne assume il ruolo fino in fondo, restandovi coerente ed in un certo senso confinato per tutta la durata della sua attività, il che ne fa un fotografo ‘di genere’, seppure ai massimi livelli, e rende inesorabilmente datata la sua produzione.

E’ curioso che tanto talento non lo abbia indotto a sconfinamenti e nomadismi intellettuali in altri campi, forse, data la morte prematura, gliene è mancato il tempo e probabilmente non è un caso che negli ultimi anni della sua vita Ghergo si sia dedicato alla pittura, forse nell’inconscio tentativo di percorrere a ritroso il suo cammino professionale alla ricerca delle sorgenti della sua creatività e scoprirsi ‘semplicemente’ artista. Casualmente fotografo.

Si impone una considerazione su uno degli aspetti più peculiari dell’opera di Ghergo, il suo virtuosismo tecnico e la sua sensibilità artistica (o pittorica) nel ritocco delle immagini.
Egli fa dell’elaborazione fotografica uno dei suoi punti di forza, un intervento importante, dichiaratamente evidente, da esibire senza pudore e senza esitazione, straordinaria prova di abilità tecnica in un'epoca in cui i mezzi tecnologici erano infinitamente più rudimentali di oggi.
Molte immagini sono pesantemente artefatte, e si vede.
Ebbene, c’è da chiedersi quale sarebbe stato il destino di Arturo Ghergo se fosse vissuto ai tempi di Photoshop ….. ma sarebbe un’altra storia, non la sua.


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