Nessuna ripresa esterna , Ghergo
fotografa in studio, con la persona in posa, disponendo le
luci secondo scelte meticolose e precise, avendo bene in mente
il risultato che vuole ottenere, curandolo integralmente e
personalmente, dalla posizione del corpo o l’espressione
del volto al taglio dell’inquadratura alla scelta degli
elementi accessori, poche cose di raffinato minimalismo. Tutto
è nelle sue mani, scelte estetiche e tecniche, dall’inizio
alla fase finale, fino alla scelta della carta da stampa e,
particolare importantissimo, al ritocco attuato direttamente
sul negativo con insuperata perizia, grazie al quale spariscono
ombre non volute, si levigano i volti, si assottiglia la vita,
si migliora una postura e si rende più elegante una
silhouette.
Arturo Grergo è la persona giusta al momento giusto
nel posto giusto, quando l’Italia orgogliosamente fascista
scopre la glamour e la fashion photography
e decide che Hollywood, dopo tutto, non è l’ombelico
del mondo, che possiamo fare da soli e che il divismo è
un fenomeno che si può copiare, anzi inventare anche
da noi.
I primi cinquant’anni del ‘900, in cui Ghergo
vive ed opera, rappresentano in Europa uno dei periodi più
turbolenti di tutta la storia dell’arte, dilaniato da
due guerre, attraversato dalle intemperie dell’espressionismo,
dai voli metafisici del surrealismo, dalle intemperanze del
futurismo, è un periodo di destabilizzazione ed opposizione
in cui l’arte esce dagli studi dei pittori e scopre
la vita.
Roberto Rossellini, Luchino Visconti, Vittorio De
Sica, Giuseppe De Santis rivoluzionano il cinema italiano,
che abbandona gli studi di Cinecittà per andare nelle
strade, fra la gente, per lanciare inediti messaggi sociali
attraverso storie di quotidianità, di disagio, di povertà
attraverso i volti di attori non professionisti presi dalla
strada, lontani anni luce dai divi ritratti da Ghergo: è
il neorealismo italiano, fenomeno circoscritto ad un breve
periodo della vita di una piccola nazione che, però,
diventerà una pietra miliare nella storia del cinema
mondiale.
La produzione di Arturo Ghergo passa indenne attraverso questi
cataclismi, tutto scivola lieve sui volti levigati dei suoi
algidi ritratti, senza appannare sorrisi radiosi, accurate
messe in scena, abiti sontuosi, imperturbabili eleganze, senza
scalfire minimamente l’allure di perfezione
inumana che colloca i personaggi ritratti in un mondo a parte,
un olimpo irraggiungibile di semidei.
In quel mondo dorato ed intangibile non entrano le misere
banalità della vita normale, Ghergo non le vede, non
le sente, non lo toccano, egli persegue, al di sopra delle
contingenze, un suo ideale estetico, una sua ‘immagine
della bellezza’ quasi metafisica che ha radici nella
cultura della tradizione, nei valori del nostro classicismo
ripresi parallelamente dai Novecentisti di Margherita Sarfatti,
nell’eleganza del liberty italiano, il tutto rivisitato
e ripulito alla luce di un suo personale modello di modernità.
Identificato da subito come il fotografo del glamour
italiano, Ghergo se ne assume il ruolo fino in fondo, restandovi
coerente ed in un certo senso confinato per tutta la durata
della sua attività, il che ne fa un fotografo ‘di
genere’, seppure ai massimi livelli, e rende inesorabilmente
datata la sua produzione.
E’ curioso che tanto talento non lo abbia indotto a
sconfinamenti e nomadismi intellettuali in altri campi, forse,
data la morte prematura, gliene è mancato il tempo e
probabilmente non è un caso che negli ultimi anni della
sua vita Ghergo si sia dedicato alla pittura, forse nell’inconscio
tentativo di percorrere a ritroso il suo cammino professionale
alla ricerca delle sorgenti della sua creatività e
scoprirsi ‘semplicemente’ artista. Casualmente
fotografo.
Si impone una considerazione su uno degli aspetti più
peculiari dell’opera di Ghergo, il suo virtuosismo tecnico e la sua sensibilità artistica (o pittorica) nel ritocco
delle immagini.
Egli fa dell’elaborazione fotografica uno dei suoi punti
di forza, un intervento importante, dichiaratamente evidente,
da esibire senza pudore e senza esitazione, straordinaria
prova di abilità tecnica in un'epoca in cui i mezzi
tecnologici erano infinitamente più rudimentali di
oggi.
Molte immagini sono pesantemente artefatte, e si vede.
Ebbene, c’è da chiedersi quale sarebbe stato
il destino di Arturo Ghergo se fosse vissuto ai tempi di Photoshop
….. ma sarebbe un’altra storia, non la sua.
|