Pur essendo la fotografia uno strumento espressivo relativamente recente, è tuttavia divenuta in breve tempo il mezzo d’elezione attraverso il quale veicolare messaggi di effetto immediato, sia pubblicitari che informativi: basta infatti immaginare una pubblicazione senza immagini per capire quanto siano importanti le sensazioni trasmesse dalle fotografie nell’indurci a leggere un testo piuttosto che un altro, quanto ci risulti familiare un prodotto o una faccia se ne avremo visto l’immagine piuttosto che letto il nome, quanto la percezione visiva e la comunicazione iconica producano messaggi rapidi, duraturi, di facile decodificabilità, di perdurante memoria.
Quando, come nel caso di Gianmarco Chieregato, si parla di ritratto o comunque di fotografia di attualità (fotografia di moda, di spettacolo, di pubblicità ecc.), assume particolare importanza la ‘messa in scena’, termine di origine teatrale derivato dal francese mise-en-scène, traduzione visiva di un messaggio attraverso un allestimento scenico che richiede un intervento di regia vera e propria da parte del fotografo: come un regista teatrale parte dalla base di un testo scritto per tradurlo in spettacolo visivo, così il fotografo parte da una intenzione concettuale e la restituisce in immagini.
Abbiamo già affrontato il discorso dello sfondo, dal quale la messa in scena si differenzia per essere un’azione creativa, mentre lo sfondo dipende da una semplice scelta, seppure soggettiva, tra ciò che già esiste: quest’ultimo è più vicino al concetto di location, mentre la messa in scena è più vicina al concetto di set ed implica l’integrazione con attività scenografiche.
In seconda battuta viene la ‘messa in quadro’, termine questa volta mutuato dal cinema, che riguarda i modi della rappresentazione, i contenuti sui quali il fotografo vuole porre l’accento, la visione del mondo che vuole trasmettere, configurandosi tutto ciò come “atto di assunzione dei contenuti” da parte dell’immagine.
Si entra così nell’ambito della ‘foto creativa’, un ‘genere’, secondo la scuola americana di Adams, Stieglitz, Weston ed altri fotografi della metà del ‘900, dove prevale l’interpretazione soggettiva della realtà in una rappresentazione personale e particolare, ma priva di ogni alterazione artificialmente indotta.
Ciò implica scelte tecniche che in realtà rappresentano altrettante scelte espressive, poiché non è la tecnica a fare la qualità di una foto, è il fotografo: inquadrare una scena in campo lungo o un primo piano, frontale, o dal basso, o dall’alto, usare un teleobiettivo o un grandangolo influirà in modo determinante sul risultato formale e sul rapporto soggetto/contesto, modulando secondo effetti diversi il messaggio finale.
Nella foto di questa pagina, il ritratto del soggetto si integra con perfetta sintonia con la messa in scena costruitagli attorno, un ambiente chiuso e poco illuminato dove la tonalità dominante, il nero, si diffonde dai contorni esterni dell'immagine per lasciar emergere, nella parte centrale, un bianco assoluto che ha il compito di portare alla ribalta il vero protagonista della scena: la figura, forte e ben delineata, molto caratterizzata sia nell’abbigliamento che nei tratti somatici, si concentra nel volto e nel nitore della veste, il resto si intuisce, sfumato nel buio dell’ambiente .
E’ un ritratto senza tempo, non ci sono indizi che riconducano ad un luogo o un momento definito e identificabile, quella stanza potrebbe essere dovunque, il soggetto guarda un punto imprecisato che non possiamo vedere e pare assorto in pensieri solo suoi, facendoci sentire quasi intrusi.
Ma la piccola nuvola di fumo che esce dalla sua bocca rivela il palpito dell’attimo e ci dice che stiamo guardando un breve, irripetibile momento destinato a svanire come quell’impalpabile sbuffo di fumo.
Capiamo che la fotografia ha fatto ancora una volta la sua magia, ha fermato il tempo per darci, come sempre, l’illusione di trovarci davanti ad un istante di eternità.
E come sempre è bello lasciarsi ingannare.
Artonweb - Sei d’accordo nel definire il tuo ‘genere’ come fotografia creativa, pur tenendo conto che la suddivisione per generi è scolastica e riduttiva? (fotografia creativa è un termine vago, serve solo a differenziarla dalla foto documentaristica, da quella di cronaca, di reportage ecc.)
Gianmarco Chieregato - Il termine fotografia creativa lo trovo un po' pomposo e presuntuoso, certo se ci deve essere per forza una definizione che specifica una categoria, la definirei "ritrattistica".
Quando mi chiedono che tipo di foto faccio ora rispondo che faccio "ritratti", pensa che brutto sarebbe rispondere "faccio foto artistiche" .... anche se ho sentito molti fotografi dirlo dei loro lavori.
Artonweb - Tu hai cominciato la tua carriera come fotografo di moda: pensi che questo esordio abbia influito sul tuo modo di fotografare, abbia costituito una sorta di imprinting alla base di quella che tu chiami ‘ricerca di armonia’, ancora chiaramente rintracciabile nei tuoi lavori?
Gianmarco Chieregato - Sicuramente tutto quello che si è fatto per anni lascia un segno forte o meglio lascia "esperienza" poi la vita va avanti e come dentro un armadio di casa una volta si prende una maglia blu una volta una camicia bianca, così nel lavoro una volta ritorna una luce, una posizione, una location oppure si cambia tutto, ma se la taglia è sempre quella, se non si è ingrassati o dimagriti troppo si può tornare con piacere ad indossare un vecchio capo magari adattato ad un accessorio nuovo. In fotografia è la stessa cosa (ovviamente per me).
Credo che le foto che faccio, nel bene e nel male, si vede che hanno la mia impronta.
Artonweb - La fotografia di moda, come quella pubblicitaria, deve possedere una bellezza ‘obbligatoria’ che susciti il consenso, deve essere piacevole, accattivante e anche un po’ ruffiana, perché deve vendere un prodotto o uno stile. Questo determina per il fotografo scelte precise che, secondo te, limitano la sua creatività in negativo, impedendone la libertà espressiva, o in positivo, legandolo ad un’idea di bellezza forse un po’ stucchevole e standardizzato, ma di facile presa sul pubblico?
Gianmarco Chieregato - Torno a dirti che non necessariamente ogni foto deve essere un capolavoro, ci sono delle foto oneste che documentano un lavoro onesto.
Ci sono degli art che ti illuminano con la loro sapienza e ti fanno crescere, ci sono altri che ti portano a realizzare delle immagine mediocri, ma questo fa parte del gioco, il mondo del lavoro non è popolato soltanto da geni, grazie a dio esiste anche una sana normalità che non fa notizia, ma permette ai più dotati di mettersi meglio in risalto e ai meno dotati di sopravvivere.
Spesso si pensa che poter essere liberi sia una gran cosa: se fossi libero farei così...... purtroppo mi ha detto di fare cosà...... in realtà la famosa domanda a piacere spesso è una gran fregatura. Quando la creatività c'è si manifesta anche nelle situazioni impensabili, quando non ti assiste ci si può perdere in un bicchiere d'acqua.
Artonweb - Pensi che il fatto di essere architetto influisca sulla tua visione spaziale, che renda più facile o più scontata la gestione del contesto? ("Gianmarco Chieregato nasce architetto e fotografa da architetto” scrive di te Giovanni Terzi)
Gianmarco Chieregato - Studiare architettura aiuta ad aver confidenza con le proporzioni, apre la visione, sviluppa l'attenzione, porta ad avere una percezione maggiore dei particolari, insomma quando si studia molto qualcosa resta, sarebbe drammatico se così non fosse.
Artonweb - Chi è Gianmarco Chieregato, un passionale che segue l’istinto al di là di ogni tecnicismo, un professionista che riesce ancora a divertirsi come un dilettante, un privilegiato che è riuscito a fare di un sogno il suo lavoro?
Gianmarco Chieregato - Un uomo fortunato è quell'uomo che riesce a vivere del proprio lavoro tutta la vita, se poi si diverte nel praticarlo lo è ancora di più perché la fatica diventa sana come nello sport: ancora oggi la fotografia è il mio sport preferito.
Artonweb - Duane Michals diceva che "La gente crede nella realtà della fotografia ma non a quella della pittura; il chè dà un enorme vantaggio ai fotografi. Sfortunatamente, però, anche i fotografi credono nella realtà della
fotografia." Ma era il 1976, oggi, nell'epoca del digitale, i fotografi sono dei bugiardi che sanno di mentire?
Gianmarco Chieregato - ....i fotografi.... sono troppi, alcuni sapranno anche mentire .
Chiuderei il dibattito con le lungimiranti parole di Lewis Hine, sociologo-fotografo statunitense, che mi sembra suggellino inequivocabilmente la frase finale di Chieregato: "La fotografia non può mentire, ma i bugiardi possono fotografare."(conferenza sulla Fotografia sociale, New York, 1909) |