La visione è un fenomeno complesso di
carattere neurofisiologico, mezzo per un processo cognitivo
che, attraverso la vista, coinvolge ampie strutture cerebrali:
è facile dedurre quali vaste ed importanti conseguenze
possano avere le alterate capacità sensoriali degli organi
deputati alla visione, specialmente se parliamo di pittura,
per eccellenza affidata alla attività visiva dell'artista
esecutore dell'opera.
Un caso emblematico su questo argomento, anche per la possibilità
di documentarlo concretamente attraverso l'analisi delle opere,
è rappresentato da Claude Monet, pittore che programmaticamente
portò alle conseguenze estreme gli studi sulla luce
e sul rapporto che con essa hanno la linea e la forma nella
poetica dell'Impressionismo francese, del quale fu il massimo
rappresentante.
La serie dei dipinti dedicati alle 'Ninfee' (specie alcune tavole,
eseguite a partire dal 1917 fino agli ultimi anni prima della
morte) traccia la chiara evoluzione certamente di un linguaggio
espressivo che tende ad una progressiva assimilazione della
forma nella luce, ma anche di una malattia agli occhi, una
doppia cataratta, che modifica la percezione della realtà
nella direzione di un graduale offuscamento delle capacità
percettive delle figure, che diventano per Monet ombre indistinte.
La malattia e l'ispirazione artistica hanno lavorato nella
stessa direzione?
La malattia ha posto le premesse per una diversa elaborazione
prima psicologica e poi visiva della realtà?
Le forme indistinte degli ultimi dipinti indicano una fuga
dalla realtà o l'impossibilità di vederla nitidamente
per difetto di vista?
Forse tutti i fattori in gioco si mescolano in concomitanza,
quel che è certo è che Monet soffrì,
negli ultimi anni della sua attività, di gravi disturbi
visivi, per una cataratta o, come ipotizzato su "Lancet"
nel 1997, per le conseguenze di una distrofia miotonica o
Sindrome di Steinert che provoca una particolare distorsione
della visione con tendenza all'abbagliamento e alla visione
di colori tenui.
Presenti nel 1918, quando alcune versioni delle 'Ninfee' erano
state già realizzate (le prime Ninfee vengono esposte
nel 1909), aggravatisi progressivamente, i disturbi indotti
dalla cataratta diventano insostenibili nel 1923, anno in
cui Monet si sottopone ad un'operazione agli occhi che però
non risolve radicalmente il problema.
Tuttavia egli non smette
di dipingere fino alla morte (avvenuta nel 1926), quasi ossessivamente,
instancabilmente, all'aperto per sfruttare al massimo i vantaggi
della luce naturale, all'interno del suo giardino di Giverny,
divenuto il suo mondo, dove la diversa incidenza della luce
nelle varie ore del giorno gli fa scoprire una realtà
sempre nuova dello stesso soggetto, le 'Ninfee', riproposte
in una sorta di furore creativo, spesso in scala uno a uno,
mille volte mutate nei contorni e nelle sfumature cromatiche
dominanti.
Analoghe considerazioni si possono fare su William Turner,
romantico precursore dell'Impressionismo, che come Monet pone
la luce al centro delle sue ricerche pittoriche ed insegue
ombre indistinte in un mondo atmosferico di vapori sfumati
dove pulsa una natura primitiva ed ignota.
Da un confronto tra le opere giovanili di Turner e quelle
della maturità, a distanza di vent'anni, si nota un
cambio stilistico che corrisponde ad una visione del mondo
radicalmente mutata: negli occhi o nell'animo?
Il consumo per lungo tempo di derivati del digitale per contrastare gli attacchi epilettici è per Van Gogh la causa di un'alterata visione dei colori (specie dei gialli e dei bianchi) che lo conduce progressivamente a scelte cromatiche non si sa fino a che punto volontarie o dettate da condizioni visive fisiologicamente anomale.
Quando, nel 1872, Silvestro Lega scopre di avere una malattia
agli occhi, cade in uno stato depressivo che lo induce ad
una pressochè totale inattività artistica, e
quando in seguito egli riprende in mano i pennelli, esegue
dipinti, paesaggi e ritratti in uno stile decisamente più
drammatico, dove il colore si distribuisce in larghe masse
con insolita sommarietà, sia per la concitazione dell'ispirazione
e la mutata visione del mondo, sia, probabilmente, anche per
la ridotta capacità di analisi dei particolari minuti,
stante i problemi visivi.
Anche in questo caso non si possono fare affermazioni categoriche,
il rapporto tra malattia ed arte è probabilmente reale,
difficilmente dimostrabile, in qualche caso paradossalmente
auspicabile, se anche un banale deficit fisiologico può
contribuire a darci capolavori che sono patrimonio di noi
tutti.
link:
I colori di Vincent
* articolo aggiornato il 22/01/2017
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