Interessante alternativa alla attuale, volatile ricchezza di azioni e titoli di borsa sembra essere oggi il mercato dei beni di lusso, un settore che non conosce flessioni e che anzi può offrire inaspettate occasioni di guadagno speculativo.
New entry in questo campo fino ad oggi agibile da pochi privilegiati e ricchissimi investitori, è il mercato delle opere d’arte: la novità consiste nel fatto che ora, grazie al fenomeno dell'art exchange, esiste una borsa in cui si possono acquistare azioni di opere d'arte o quote di fondi di investimento in arte accedendo anche con un investimento finanziario modesto a beni prima destinati solo al grande capitalismo di istituzioni o privati.
Il progetto ha, se vogliamo, un suo risvolto democratico, dal momento che permetterebbe di condividere un bene artistico anche da chi non potrebbe mai acquisirlo per intero, certo non potrà appendere alle pareti di casa la sua quota partecipativa (per farlo dovrebbe possederne il 100%), ma potrà eventualmente appenderci gli Art Certificates rilasciatigli dalla banca fiduciaria artefice dell’operazione.
Tanto il rumore mediatico prodotto pochi anni fa dalla vendita all’asta da Christie's di un Francis Bacon, ''Study of Portrait II', ceduto per 27,5 milioni di dollari, quello suscitato dall’asta di Sotheby's per un mediocre Picasso, “Il ragazzo con la pipa”, aggiudicato all’incredibile cifra di 104 milioni di dollari, quello della vendita a New York, da Sotheby's di una delle quattro versioni dell’ “Urlo” di Munch per 119,9 milioni di dollari, prezzo tra i più alti mai pagati per un dipinto moderno, superato solo dai 250 milioni di dollari sborsati per “I giocatori di carte” di Cezanne dalla famiglia reale del Qatar, episodi clamorosi che forse avranno finito di stupirci, essendo ormai sempre più evidente la caduta del potere delle grandi case d’aste. Segnale allarmante il calo delle vendite ed il conseguente crollo del 37% della quotazione alla borsa di New York del titolo Sotheby’s.
In Lussemburgo, da sempre paradiso anche fiscale disponibile ad ogni tipo di sperimentazione finanziaria, si sta preparando l'apertura entro il 2014 di una sorta di porto franco azionario con il lancio della prima borsa dell'arte regolamentata, la SplitArtTM, dove sarà possibile acquistare, valutare e monitorare gli investimenti in opere d’arte confrontandone il rendimento con i maggiori indici azionari di borsa.
Negli ultimi 10 anni l'investimento in arte ha avuto performances migliori di quello in azioni di qualsiasi altro tipo, con un 'indice artistico’ di resa del +10,2%, parola di Jianping Mei e Michael Moses, docenti di finanza alla Stern School of Business della New York University, specialisti in art market.
L’arte come asset si sta affermando in tutto il mondo, in Cina già esistono 6 art exchange (il primo aperto nel 2009 a Shanghai) ed altri 30 sono in allestimento, in Europa sono stati creati fondi specializzati ed Eft (Exchange Traded Fund), in America già da tempo le banche d'affari, da Jp Morgan a Citigroup a Bank of America, propongono ai loro clienti questi asset alternativi.
Aspetto negativo, l’investimento in arte è poco liquido, ha costi di transazione elevati, non produce dividendi né cedole, non è in grado di appoggiarsi, per mancanza di statistiche, su dati attendibili circa la durata ottimale degli investimenti. Su questo punto in particolare si sa che l’arte ha avuto rendimenti migliori delle azioni negli ultimi 10 anni, peggiori negli ultimi 25 anni, mentre sul lungo periodo (40/60 anni) gli indici di rendimento più o meno si equivalgono.
Per chi vuole assecondare la teoria del mordi e fuggi o vuole tener conto di una recente indagine di Nomisma secondo la quale il tasso di rendimento annuo del moderno si è attestato sul 4,65% (più del rendimento dell’oro o del mercato immobiliare) oggi sono stati creati anche fondi speculativi a breve termine che puntano sull’arte contemporanea dove è più facile fare trading, specie su artisti come Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Keith Haring e gli emergenti cinesi e indiani.
Case d’aste e galleristi rimpiazzati da advisor, dealer, private banker, collezionisti d’arte trasformati in specullector, opere d’arte vendute a tranci e disperse in collezioni virtuali, arte come vero e proprio bene rifugio........
Non bastasse la confusione linguistica di un’arte autoreferenziale e narcisistica sempre più lontana dal suo pubblico di fruitori, ecco che ne viene codificata la mercificazione con un nuovo strumento finanziario, rendendo tristemente profetiche le parole di Andy Warhol, inventore della business art: “L’arte degli affari sta un gradino al di sopra dell’Arte. ….fare soldi è arte, e gli affari ben fatti sono la migliore espressione d’arte.”
Si completa così l’ultimo tassello di un processo di reificazione che sposta l’arte, oggetto di scambio acquistabile e vendibile, entro gli schemi della logica del mercato e del profitto che governa il villaggio globale entro il quale ci accade oggi di vivere.
Nulla di strano, ogni società ha l’arte che si merita. |