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Il test di Rorschach
di Vilma Torselli
pubblicato il 20/04/2007
Le macchie di inchiostro del test di Rorschach e l'arte astratta, due linguaggi visivi per svelare l'inconscio, con sorprendenti analogie.
"Ci deve essere una certa soglia al di la' della quale la percezione, l'assimilazione senza coscienza dello sforzo assimilativo, diventa interpretazione". (Hermann Rorscharch)
"Qual è il più famoso strumento di valutazione psicologica? Probabilmente il test di Rorschach, all'incrocio tra le strade del mito, della scienza e dell'arte. Le sue figure inquietanti affascinano": così scrive Roberto Casati dello psichiatra svizzero Hermann Rorschach (1884-1922), appassionato di pittura, inventore di un test diagnostico detto "Test delle macchie di inchiostro" (1921), in cui vengono sottoposte all'osservatore figure indefinite e simmetriche ottenute dalla piegatura di un foglio di carta su cui è stata deposta una certa quantità di inchiostro: sono 10 le tavole oggi utilizzate per l'analisi, sulla base delle quali si richiede al soggetto una interpretazione del significato delle figure casualmente derivate da quest'operazione.
Il test di Rorschach è un test proiettivo, basato cioè sul meccanismo psicologico della proiezione, l’attribuzione ad altri di sentimenti, paure, desideri e qualità proprie, mediante un processo inconscio (anche in questo caso dobbiamo a Freud un primato, l'utilizzo con questo significato del termine "proiezione" nel 1896).
E' il test forse più utilizzato in psicodiagnostica proiettiva, in grado di fornire informazioni sugli aspetti complessi della personalità e del suo funzionamento, sia in senso clinico che dinamico che relazionale, sulla base del principio che vede le abilità creative di un individuo inserirsi nella dinamica della personalità.
Non sono tuttavia mancate, specie in passato, le critiche sulla sua attendibilità, ma anche una succesiva riabilitazione nel 1974 ad opera dello psicologo statunitense John Exner.

Pur essendo il Rorschach prevalentemente non una teoria della personalità ma uno strumento diagnostico, dall'analisi e dalla valutazione delle risposte, secondo schemi interpretativi complicati e precisi e secondo criteri oggi scientificamente riconosciuti, lo psicologo ricava informazioni sulla personalità dell'esaminato, sul suo tipo di intelligenza, sulle sue problematiche interiori e sulla presenza o meno di eventuali complessi, devianze, anomalie.

Ho introdotto l'argomento, anche se non è strettamente attinente all'arte moderna, perché la strada che Rorschach traccia per legare l'immagine alla psiche è analoga a quella che percorre l'arte visiva, che parte dalla funzione percettiva e giunge all'individuazione delle caratteristiche psichiche del soggetto, nel caso dell'arte duplice, essendo rappresentato sia dal fruitore che dall'autore dell'opera (come ci ha insegnato Freud): il livello evolutivo ed i meccanismi inconsci individuali, caratterizzati da un ampio margine di variabilità, dipendenti dalle caratteristiche psico-fisiche, dall'esperienza personale e dal vissuto individuale, dal patrimonio culturale e mnemonico di ognuno di noi, diverso per ognuno di noi, inducono un aggiustamento della percezione su parametri soggettivi, addivenendo ad una lettura soggettiva della visione artistica.

Anche Rorschach, si potrebbe dire con una semplificazione certamente eccessiva, ma imposta dai limiti del mio argomento specifico, guarda delle macchie e vede l'inconscio, proprio come fanno l'Astrattismo o l'Informale, o come fa il Surrealismo, che aspira ad indagare il mondo metafisico, e così molti altri movimenti moderni e contemporanei, con una tensione a "guardare oltre" che rappresenta il mezzo per conquistare la libertà dal controllo della ragione, dalla tirannia dell'iconicità, dal condizionamento del reale.
Vale la pena di ricordare anche il movimento italiano dei Macchiaioli che, quantomeno sul piano tecnico, fu anticipatore sino dalla metà dell'ottocento, della pittura 'a macchia' che si proponeva di evidenziare i valori chiaroscurali del dipinto grazie alla contrapposizione di macchie cromatiche scure e chiare.

Leonardo esorta i suoi allievi a lasciar vagare lo sguardo sulle macchie di umidità delle pareti prima di dare inizio ad un'opera, Goya e Rembrandt esprimono tensioni nascoste in misteriose macchie cromatiche fine a sè stesse, Kandinskij realizza il primo acquarello astratto come un dinamico insieme di macchie colorate di predominanza blu e rossa, Jean Dubuffet elogia le "macchie casuali" che "evitano il dominio dell'oggetto", Maurice Denis riconosce nelle macchie di colore su una tela il primo elemento del dipingere con un suo valore autonomo, molti sono i casi in cui la macchia diventa sintomo di importanti significati non esplicitabili, elementi indistinti in cui qualunque osservatore potrebbe proiettare liberamente i propri contenuti mentali, proprio come accade con le macchie di Rorschach.

Il neurobiologo Semir Zeki, fondatore della neuroestetica, che porta avanti interessantissime ricerche sulla visione e sui suoi aspetti neurofisiologici, indaga il rapporto tra funzione visiva del cervello ed arte in un suo libro "La visione dall´interno" del 1999, dove proprio l'arte astratta è messa in relazione con la neurobiologia nella comune ricerca di elementi essenziali di un processo cognitivo primario, all'interno del quale il tema del non-finito stimola l'osservatore a ritrovare i significati taciuti dall'artista affidandosi alle capacità deduttiva del proprio cervello, con un processo sovrapponibile a quello proposto da Rorschach con le sue macchie di inchiostro.

Ancora una volta si può osservare come scienza ed arte, procedimento scientifico ed esperienza estetica, non siano due poli così distanti come il nostro pensiero occidentale cartesiano ci ha portato a credere e come attività emozionale, intellettuale, logica, percettiva o creativa si fondano in un unico processo psico-cognitivo nell'uomo, nella sua esseità complessa ed unitaria.

* articolo aggiornato il 10/01/2017

link:
Greenberg e l'oggettività dell'esperienza estetica
Vedere per credere?


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