“Il ricordo non è mai stato la verità di nessuno”, scrive Augé.
Ognuna di quelle istantanee con cui torturiamo per indigestione le SD delle nostre camere digitali (minacce gloriose di facile accesso) serve appena ad assolvere quell’istinto commemorativo che finisce prima ancora di sentirsi vero.
L’accumulo da stiva di immagini, così come l’ostinazione della memoria a salvaguardare quanti più frammenti possibili le vadano incontro, equivale al seppellimento di tutti i souvenir mentali che ambiscono alla perennità.
La deficienza in affidabilità rende la reminiscenza infruttuosa, incapace di restituire l’onesta captazione dei momenti attraversati. Claude Lévi-Strauss sosteneva in merito che “...un antico particolare insignificante emerge come un picco, mentre interi strati del mio recente passato si cancellano senza lasciare traccia.”.
Se il ricordo diventa la rovina del passato vissuto, ogni suo tentativo figurativo ed ogni sua forma ne annientano l’esclusività, facendo della presunta intimità riportata un bene quasi anonimo e qualunque, condivisibile, come se appartenente ad un vissuto collettivo in random senza data.
Dopo le macerie di Nan Goldin, le nuove demolizioni fotografiche di artisti quali Anna Orlowska, Thibault Brunet o Kristoffer Axén possono fare del tempo un mezzo unanime per dimenticare, che invita tutti a sentirsi lontanamente dentro.
Offro pertanto alcuni dei detriti del mio ultimo viaggio, utili a me quanto a chiunque altro, e propongo la dispersione di ciascun affetto visivo abbiate tentato di archiviare.
Come fosse polvere. |