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Antonio Sant'Elia
di Vilma Torselli
pubblicato il 30/05/2007 |
"..... Le case dureranno
meno di noi. Ogni generazione dovrà fabbricarsi la sua
città. Questo costante rinnovamento dell'ambiente architettonico
contribuirà alla vittoria del Futurismo...."
(Antonio Sant'Elia) |
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La figura di Antonio Sant'Elia (1888-1916) deve probabilmente
gran parte del suo carisma a quel tanto di inespresso e di incompiuto,
che si intuisce tuttavia denso di pregnanti promesse, presente
nella sua opera. La morte precoce ne fa il mito di un rinnovamento
annunciato, seppure non realizzato, o per lo meno non da lui,
nel quale il primo novecento ha fermamente creduto ed in nome
del quale molti hanno indirizzato le proprie aspirazioni, talvolta,
come lui, senza poterle sviluppare oltre i limiti temporali
di una comune sorte avversa.
L'architettura italiana moderna si sta appena affacciando sulla
scena internazionale quando, come Sant'Elia, muoiono prematuramente,
poco più che quarantenni, Giuseppe Terragni, massimo
rappresentante della nostra fase razionalista, e Giuseppe Pagano,
anch'egli razionalista, discusso architetto del Ventennio, e
muore a soli 36 anni Edoardo Persico, straordinario rinnovatore
della critica d'arte e d'architettura, depauperando drasticamente
l'ambiente culturale e troncando sul nascere un dibattito che
invece, nel campo dell'arte visiva, darà esiti di ben
più incisiva influenza: muore infatti appena trentaquattrenne
Umberto Boccioni, anch'egli, come Sant'Elia, redattore di un
Manifesto (della scultura futurista), lasciando però
una vasta produzione pittorica e scultorea in grado di ridefinire
esaustivamente quel concetto di coscienza plastica, com'egli
la chiama, che cambierà per sempre il modo di fare arte,
e non solo in Italia.
Secondo un'estetica che contamina tutte le espressioni visive,
Boccioni dichiara l'intenzione di operare "... facendo
vivere la linea muscolare statica nella linea-forza dinamica.
In questa linea muscolare predominerà la linea retta,
che è la sola corrispondente alla semplicità interna
della sintesi che noi contrapponiamo al barocchismo esterno
dell'analisi [...] la sua nuda serenità fondamentale
sarà il simbolo della severità di acciaio delle
linee di macchinario moderno.", una linea retta "viva
e palpitante" di "nuda severità " che
sotto l'azione di una potente spinta centrifuga si arcua in
piatte curve elastiche, tese, nervose e vibranti.
Successivamente
lo stesso Boccioni propone in una "costruzione spiralica
", un olio su tela del '14, un'idea architettonica dove
l'avvitamento della forma geometrica imprime alla struttura
un movimento simbolicamente teso verso il futuro, e sarà
questa la versione formale adottata nel suo Manifesto dal giovane
Antonio Sant'Elia ("
le linee oblique e quelle
ellittiche sono dinamiche.. "), che trasla nell'architettura
le forti pulsioni innovative del Futurismo, assieme agli aspetti,
se non negativi, certo limitativi di un movimento che brucerà
in gran parte, al fuoco di una dirompente passione, i suoi intenti
migliori.
Paradossalmente, le conseguenze del Futurismo sono più
importanti del movimento stesso, se è vero che "è
giusto negli anni in cui il Futurismo si avvia stancamente verso
la sua seconda fase che in Europa prende corpo un orientamento
diverso in ordine al rapporto arte/tecnologia, un orientamento
che si configura, nonostante la contiguità temporale
con i manifesti futuristi, uno stadio più avanzato del
mutamento culturale nella percezione del fatto tecnico, non
più assunto come mito o simbolo di un'improbabile riforma
estetica, ma come regola universale di ogni possibile produzione
artistica." (Alessandro Tempi, "Il discorso tecnologico
dell'Arte")
Accade anche per Antonio Sant'Elia: seppure limitatamente teorico
e carente di implicazioni attuative, il suo manifesto dell'architettura
futurista assume un'importanza eccezionale non tanto per ciò
che di concreto causerà nell'immediato quanto per le
sue conseguenze storiche, rappresentando una sintesi generale
prodigiosamente profetica di quelle che saranno le direttive
fondamentali secondo le quali si svilupperà tutta l'architettura
moderna seguente.
Bruno Zevi, molto critico nei confronti di Sant'Elia, scrive,
nella sua 'Storia dell'architettura moderna", che di lui
"all'infuori della romantica immaginazione, nulla rimase
nel campo dell'architettura", sintetizzandosi ed esaurendosi
tutto il suo apporto nel celebre Manifesto, un testamento in
otto punti, otto comandamenti "proclamati", precisi,
fermi, categorici come tutte le certezze giovanili, idealistiche
ed utopistiche, incontaminate e cristalline.
Ed in effetti, Sant'Elia realizzò poco, e nulla realizzò
di somigliante ai suoi straordinari disegni avveniristici, veri
e propri capolavori di grafica, più volte ridisegnati,
corretti, integrati, in parte riportando su lucido un complesso
sistema di stratificazioni e sovrapposizioni, scorci di una
metropoli sognata, la Città Nuova, visioni spaziali ed
urbanistiche che egli concepiva in toto, alla maniera di Borromini,
e rendeva con impeccabile istinto per le proporzioni con la
sua matita magica, lui, che con l'espressione scritta e verbale
aveva invece frequenti litigi, spesso risolti ricorrendo al
colorito dialetto comasco.
L'essenza dell'architettura sta nel confronto con la materia,
il suo esito non può essere che cemento, pietra, legno,
ferro, vetro, lo spazio racchiuso "protagonista del
fatto architettonico" al quale la critica moderna,
partendo da Zevi, riconduce l'architettura viene creato e definito
da muri solidi, concreti, reali, così che l'esperienza
finale, il suo scopo, la funzione, la forma, costituiscono la
realtà visibile in cui viviamo.
Anche se andassero perse le tavole di Palladio, o di Borromini,
o di Utzon, o di Le Corbusier continueremmo a fruire delle loro opere, a visitare
San Carlo alle Quattro Fontane, o l'Opera House di Sydney, la
chiesa di Ronchamp, il teatro di Vicenza, patrimonio comune
di un'umanità diversa per storia e cultura, ma tuttavia
in grado di comprendere quel linguaggio basico di valenza universale
che è l'architettura.
Ma quanti ne conoscono le teorie
di base, quanti conoscono, hanno letto, leggeranno, il manifesto
di Sant'Elia?
Che, indubbiamente, costituisce una sbalorditiva summa della
modernità, c'è dentro tutto, il razionalismo dell'Esprit
Nouveau e di le Corbusier, lo strutturalismo di Mies van der
Rohe ("
.l'architettura futurista è l'architettura
del calcolo, dell'audacia temeraria e della semplicità;
l'architettura del cemento armato, del ferro, del vetro
"),
l'architettura organica e l'integrazione ambientale di Wright ("
. per architettura si deve intendere lo sforzo
di armonizzare con libertà e con grande audacia, l'ambiente
con l'uomo
."), il decorativismo strutturale di
Gaudì ("
la decorazione, come qualche
cosa di sovrapposto all'architettura, è un assurdo
.."),
il dinamismo lineare di Gehry ("
.le linee
oblique e quelle ellittiche sono dinamiche, per la loro stessa
natura, hanno una potenza emotiva superiore
.."),
l'ingegnerismo di Calatrava, c'è dentro soprattutto l'avveniristico
concetto di uno spazio architettonico che si dilata in quello
urbanistico, nelle strade della città, attribuendo un
preciso valore progettuale allo spazio aperto.
Ciò che Sant'Elia insegue è un audace sogno di
onnipotenza, di fiducia cieca nelle possibilità creative
dell'uomo, che possono cambiare il mondo, anzi lo possono rifondare
da zero, poiché parole d'ordine della nuova architettura
saranno "la caducità e la transitorietà.
Le case dureranno meno di noi. Ogni generazione dovrà
fabbricarsi la sua città. Questo costante rinnovamento
dell'ambiente architettonico contribuirà alla vittoria
del Futurismo
.".
Sant'Elia propone così un deciso, antistorico, anacronistico
sradicamento dell'architettura moderna dal suo passato, nell'idea
di un'architettura e di una città che mutino con l'uomo
e con l'ambiente, con la società e la tecnologia, che
si rinnovino ad ogni cambio generazionale, che nascano, crescano
e muoiano contemporaneamente all'evolversi della nuova filosofia
del movimento, della velocità e della macchina.
La sua proposta progettuale, che resta sulla carta (nonostante
l'abbondanza di scritti, manifesti, proclami, il Futurismo non
produce infatti una vera e propria architettura futurista),
non sfugge tuttavia a connotazioni classicheggianti chiaramente
monumentalistiche, matrici di quella che sarà l'estetica
restauratrice di un grande filone del nostro razionalismo, il
più contestato dalla critica moderna, mentre la stratificazione
dei livelli stradali e dei piani funzionali della città
futura, ripresi anche da Le Corbusier, tradiscono il legame
addirittura con le concezioni leonardesche: non a caso, con
implicita contraddizione, Sant'Elia esordisce "Dopo
il '700 non è più esistita nessun architettura",
riconoscendo per via indiretta l'esistenza di una tradizione
di riferimento, seppur lontana.
E' evidente la componente utopistica, l'atteggiamento sostanzialmente
ingenuo e sognatore di un pensiero entusiasta che, come tutti
i movimenti avanguardisti del '900, affida l'affermazione della
modernità alla distruzione della tradizione passata e
recente, concetto sul quale Edoardo Persico, con intelligenza
premonitrice, cerca di mediare verso posizioni meno radicali.
In questa cruciale presa di posizione sta la debolezza e l'immaturità
del discorso di Sant'Elia.
Perché la modernità non nasce nel deserto, nasce
dall'implicito confronto con il passato, sulla traccia di un
percorso del non-ritorno che non si può né si
deve ripercorrere una seconda volta, ma lungo il quale l'architettura
resta, a costituire la narrazione della storia di un popolo.
Vi è una inevitabile dinamica tra modernità e
tradizione, mediata dal tradimento, due vocaboli che hanno la
stessa radice etimologica, il verbo latino 'tradere', che vuol
dire consegnare: la modernità necessita del tradimento,
dell'abbandono dell'ultima "consegna", necessita della
tradizione, quand'anche rifiutata e negata, "tradìta"
o meglio "tràdita" e proprio per questo sempre
presente, anche nella dialettica più marcatamente oppositiva,
con tutto il suo tesoro di conoscenza ed esperienza.
Certo viene da chiedersi se le utopie di Sant'Elia siano state
davvero sprazzi visionari irrealizzabili o se non siano state
invece splendide verità premature in un mondo che non
era pronto ad accoglierle.
L'utopia sta a monte della progettazione, e "la realtà
del progetto le subentra grazie alla tecnica, in mancanza della
quale, è bene aggiungerlo e sottolinearlo, l'idea di
utopia realizzabile non sarebbe neppure nata": a distanza
di più di mezzo secolo, lo spirito futurista ricompare
nelle parole di Yona Friedman, il visionario autore di "L'Architecture
Mobile" e di "La Ville Spatiale", il grande vecchio
dell'architettura dell'utopia che ancora vive e lavora nel terzo
millennio, che non ha mai smesso di credere nelle "Utopie
realizzabili", così le chiama in un suo celebre
libro del 1974, possibili e necessarie, perché l'uomo
ricordi che non bisogna mai smettere di sognare e di credere
che i sogni possano diventare realtà.
Forse questo messaggio è l'eredità più
preziosa che il manifesto di Antonio Sant'Elia tramanda alle
nuove generazioni, che non si stanchino mai di tentare di
costruire una vita migliore.
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