"I quattro libri dell'architettura"
di Andrea Palladio (1508-1580), stampati a Venezia nel 1570, sono il primo
grande successo editoriale dall'invenzione della stampa, certamente
giustificato dal fatto che l'opera, una sorta di testamento
architettonico, è di rilevanza straordinaria e spazia
in tutto lo scibile del suo tempo, dal formulario per gli ordini,
alle misure degli ambienti, alla progettazione delle scale,
agli esecutivi dei particolari, sulla scorta degli studi classici
del suo autore circa la tipologia dei templi romani.
Il colpo di genio, che assicurerà a questo architetto
una attualità di eccezionale durata, sta nel secondo
e nel terzo libro, nel quale egli pubblica una retrospettiva
dei suoi progetti relativi a palazzi, ville, ponti reticolari,
in tal modo autopromuovendo la sua attività di progettista.
Andrea Palladio unì a straordinarie capacità di
sintesi organizzativa su base solidamente razionale un'inventiva
geniale scevra da condizionamenti (a lui si deve l'invenzione
di nuove tipologie architettoniche, per esempio la villa di
campagna progettata in funzione del contesto naturalistico) affiancata, specie nella maturità, da una capacità
di indagine inquieta e drammatica derivata dallo studio delle
architetture michelangiolesche, delle quali seppe cogliere quelle
che Bruno Zevi definisce anticipazioni della poetica barocca.
La mai placata volontà di ricerca, la sua curiosità
intellettuale si esprimono fino all'ultima opera, rimasta incompiuta,
il Teatro Olimpico di Vicenza, dove il riferimento archeologico
si trasfigura in esiti del tutto nuovi e personali.
"I quattro libri dell'architettura" e la tipologia
architettonica di Palladio hanno avuto in Inghilterra ed in
America un seguito straordinario, non solo negli Stati Uniti,
ma anche nell'America del sud, dove gli architetti della Compagnia
del Gesù introdussero nell'architettura importata dai
dominatori spagnoli le varianti manieristiche di quella palladiana.
Innanzi tutto la causa è da ricercarsi nel fatto che,
per la prima volta da quando, nel 1454, Johann Gutenberg realizza
con caratteri mobili la prima Bibbia, viene dato alle stampe
un testo di architettura chiaro, organico, intelligente, con
disegni riprodotti in scala, con tavole grafiche quotate nelle
piante e negli alzati, insomma un vero e proprio manuale tecnico
di facile consultazione che offusca definitivamente i libri
di Sebastiano Serlio (1537), il più autorevole riferimento
immediatamente precedente.
E' forse il primo esempio di come una comunicazione efficace
e ben costruita e una valida operazione di marketing possano
determinare il buon esito di un'iniziativa: sull'onda del successo
editoriale, si determina infatti il successo dello stile palladiano,
che si diffonde innanzitutto in Inghilterra attraverso l'opera
di Inigo Jones, cui seguiranno John Webb, Christofer Wren, i
fratelli Adam, James Gibbs e molti altri.
Il trattato di Andrea Palladio viene tradotto in inglese nel
1716 e, sulle navi dei coloni britannici, giunge nel Nuovo Continente
dove da circa duecento anni si è avviato un processo
di colonizzazione che, in campo architettonico, ha posto il
contrasto "tra la capanna indiana e gli splendori europei",
poiché gli immigrati derivano i loro modelli culturali
dalla madrepatria, la vecchia Europa.
Con la nascita di una società ad economia agricola strutturata
con eterogenei apporti inglesi, olandesi, francesi, spagnoli,
la promiscua immigrazione religiosa di cattolici, ugonotti,
quaccheri, l'esigenza di una elaborazione culturale a livello
generale, ha origine un'architettura coloniale di chiara derivazione
anglosassone, e quindi palladiana, nella quale solo parecchi
anni dopo gli americani sapranno introdurre elementi propri,
allontanandosi dai prototipi iniziali.
Generazioni di architetti americani edificano secondo lo stile
coloniale, in una cronologia puramente ed astrattamente formale,
frutto del "paludamento culturale dietro il quale si
cela quel complesso di inferiorità che gli psicanalisti
definiscono ricerca di una paternità spirituale"
(Bruno Zevi, 'Storia dell'architettura moderna').
Dall'ottocento in poi, si alternano vari periodi in cui, ad
un'architettura di complesse citazioni sintetizzate in un linguaggio
abbastanza libero e caratterizzato, si sostituisce un manierismo
romanizzante, poi neoellenistico, poi neogotico, anch'esso di
derivazione inglese, che si involve rapidamente in una sorta
di medioevalismo grottesco e decorativo.
È' lo sbandamento completo in un periodo, la fine ottocento,
in cui "i dollari possono comprare ogni stile".
La cultura americana è tanto carente sul versante filosofico
quanto ricca di inventiva pragmatica ed empirica applicata alla
vita pratica, con una disarmante capacità di semplificazione
di cui gli europei non sono capaci, condizionati da un retaggio
culturale dal quale non sanno prescindere.
Agli inizi del novecento l'architettura americana trova modi
espressivi organici che cercano di unire in una convincente
simbiosi l'aspetto formale e quello tecnico, nei limiti che
le sono propri, con prodotti corretti, funzionali, intelligentemente
semplici, suscitando l'interesse della cultura europea e dell'ambiente
razionalista di Gropius e Mendelsohn, dello stesso Le Corbusier,
che, per la verità, poi ritrattò in parte i suoi
giudizi positivi, e oggi la critica più moderna ha ormai
attribuito la giusta prevalenza alla corrente funzionalista
americana rispetto a quella europea.
Lo sviluppo di caratteri architettonici autonomi si consolida
attraverso l'opera di geniali architetti quali Frank Lloyd Wright,
Henry Hobson Richarson, i componenti della Scuola di Chicago,
Henry Sullivan e molti altri, fino ai giorni nostri, in cui
la cultura americana si è aperta ad una visione umanistica
che le ha permesso di superare in parte il secolare complesso
di inferiorità nei confronti delle istituzioni e della
tradizioni europee.
Quando Wright lancia una sua 'Dichiarazione di Indipendenza'
e chiede "Indipendenza dal classicismo, nuovo e vecchio,
e da ogni atteggiamento di devozione ai cosiddetti classici"
prende una posizione categorica ed integralista a favore di
un'architettura nuova, legata al proprio ambito culturale, territoriale
e sociale, la sua architettura organica, che esprime "una
società organica".
E' la stessa posizione che pochi anni dopo assumeranno i pittori
dell'espressionismo astratto, Kline, Tobey, Mark Rothko e soprattutto
Jackson Pollock, rivendicando l'autonomia di una cultura autenticamente
americana, con la gestualità liberatoria e trasgressiva
dell'action painting che simbolicamente cancella ogni traccia
del passato.
Quello di Wright è un discorso di rottura fortemente
rivoluzionario, che ha i limiti di ogni posizione criticamente
eccessiva e che farà scontare a Wright con un relativo isolamento il
suo coraggio, tant'è che ancora oggi lo stile palladiano,
espressione del tradizionalismo più accademico, manieristico
e deteriore, sembra essere una presenza imprescindibile della
realtà urbanistica americana.
Nonostante le lacerazioni prodotte da un rapporto di tipo colonialista,
teso ad affermare con orgogliosa consapevolezza una "superiorità"
della cultura europea nei confronti dell'ethnos americano, le
sopraffazioni di una mentalità incapace di instaurare
con altre civiltà relazioni non distruttive, la incapacità
di elaborare ex novo equilibrati rapporti di conoscenza del
"diverso da sé", l'Europa resta, nell'immaginario
di ogni americano, la depositaria della cultura e del sapere
umanistico.
Tenendo conto delle sostanziali differenze psicologiche tra
americani ed europei e della carenza di "principi"
nella cultura americana in ogni ambito, credo che l'opera di
Palladio rappresenti un confortante riferimento storico e tipologico
consolidato, preciso, rassicurante, al quale delegare una ipotetica
"paternità spirituale", una piattaforma di
principi coerenti e codificati, un collegamento con sorgenti
culturali estranee ma autorevoli, da adottare "sulla fiducia",
in definitiva il modo per conferire una storicità allo
sviluppo non solo architettonico della cultura americana.
Un individuo ha bisogno di rileggere la sua vita per decifrarne
il senso, un popolo ha bisogno di ripercorrere la sua storia
per recuperarne le radici, magari trovandole in Andrea Palladio,
straniero, europeo, italiano, veneto.
PS:Nel 2010 il Congresso degli Stati Uniti d'America, con una “Concurrent Resolution” che ha visto il voto unanime del Senato e della Camera riconosce ufficialmente “l’immensa influenza di Palladio sulla architettura degli Stati Uniti” ed esprime la propria gratitudine “per l'arricchimento che la sua vita e la sua carriera hanno conferito all'ambiente costruito della Nazione americana”. Nelle premesse la Risoluzione 259 ripercorre gli aspetti salienti della influenza palladiana degli Stati Uniti, definendo i “Quattro Libri dell'Architettura”, il trattato che Palladio pubblicò nel 1570, come la più importante pubblicazione in materia d’ogni tempo.
*articolo aggiornato il 3/3/2010 |