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Günter Behnisch
di Vilma Torselli
pubblicato il 2/06/2007
Rivisitazione della tipologia del grattacielo in chiave post-romantica, memore della visionarietà espressionista di una nazione che è stata la culla dell'espressionismo storico, radicato nell'antica matrice gotica.

In Germania i grattacieli, seppure numerosi soprattutto come sedi delle grandi banche, non godono in genere di molta approvazione, probabilmente per le esperienze negative degli anni '60, in cui sono stati edificati nelle grandi città e soprattutto a Berlino, con destinazione prevalentemente residenziale dimostrandosi, nel tempo, un fallimento progettuale.
Sarà per questo che lo studio Behnisch und Partner, Günter padre (1922-2010) e Stefan figlio, stanno da qualche anno sperimentando un approccio nuovo a questo tipo di struttura, rivisitandone la tipologia in chiave si potrebbe dire post-romantica, memore della visionarietà espressionista di una nazione che è stata la culla dell'espressionismo storico, radicato nell'antica matrice gotica, base di tanta cultura tedesca anche moderna.
E' un germe che da tempo covava nel lavoro di Behnisch, e di cui già si vedono i chiari sintomi nell'innovativo stadio di Monaco, del '72, dove una tensostruttura mossa ed ondulata, di grande eleganza dinamica, di ardita soluzione strutturale (firmata da Otto Frei), disegna una serie di leggere curve tese e piatte, fatte di una maglia di acciaio e vetro, integrando al paesaggio collinare circostante quello che altrimenti sarebbe rimasto un corpo estraneo e definendo uno dei temi fondamentali del procedere progettuale di Behnisch: la convivenza e la sintesi tra struttura ed ambiente, tra tecnologia ed ecologia.

Questa intenzione si rintraccia anche nell'edificio della Norddeutsche Landesbank ad Hannover.
L'imponente volume che sviluppa 40.000 metriquadri di superfici calpestabili e che potrebbe facilmente costituire una insormontabile barriera urbanistica tra le zone nord e sud della città, attualmente un mix di vecchie e nuove costruzioni nel complesso anonime, si pone invece, nelle intenzioni dei progettisti, come trait-d'union fra di esse, mediante la realizzazione di un esteso piano terra aperto e liberamente accessibile al pubblico, permeabile su tutti i lati ed usufruibile come estensione della superficie urbana, che ne risulta qualificata.
Il concetto non è nuovo, è quello dei pilotis di Le Corbusier e della sua idea di città a circolazione libera, non a caso anche per lui abbinata al concetto di costruzione in verticale, "partendo da quel grande evento costruttivo che è il grattacielo americano".
Qui il piano libero è definito e connotato da una serie di funzioni integrate alla destinazione principale di edificio per uffici, è "riempito" e disegnato nei suoi percorsi planimetrici da funzioni terziarie accessorie (commercio , cultura, tempo libero) che incanalano i flussi di traffico collegandoli con i dintorni.
In sintonia con gli intenti progettuali, le soluzioni tecnologiche dell'intero complesso, estremamente sofisticate mirano alla ottimizzazione dei livelli di comfort, con approfonditi studi sul microclima, senza l'impiego della tradizionale aria condizionata, in una gestione "intelligente" delle disponibilità energetiche che riduca i consumi ed assicuri il massimo rispetto dal punto di vista dell'ecologia e dell'inquinamento ambientale.
L'edificio vero e proprio, un punto di riferimento distinguibile e caratterizzante nello skyline di una città che non ha edifici degni di nota, è una massa verticale decostruita di venti piani fuori terra, che ruota asimmetricamente attorno al proprio asse in sbalzi arditi di calcestruzzo e cristallo con improvvisi cambi di direzione dei blocchi orizzontali, lasciando intuire una soluzione anche statica nuova ed audace.
L'uso pressoché totale del vetro e dell'acetato, insistendo sul tema della trasparenza, denuncia l'attenzione attribuita alla luce naturale, importante elemento di benessere psicofisico solitamente trascurato in queste tipologie, che attraverso la permeabilità delle pareti, amplificata al piano terra da bacini artificiali d'acqua che la riflettono, raggiunge tutti i punti dell'edificio: sensori diurni rendono cangiante il colore delle facciate a seconda dell'incidenza dei raggi luminosi, adattandosi al mutare della luce solare, mentre di notte migliaia di diodi inseriti nel cristallo stratificato trasformano l'edificio in una torre di luce perennemente accesa.
Vale la pena di ricordare Mies van Der Rohe, uno dei primi ad affrontare il tema del grattacielo in Europa (proprio in Germania, in un concorso del 1922, per un edificio nella Friederichstrasse a Berlino), che per primo sperimenta le possibilità di utilizzo dei materiali da costruzione per le loro intrinseche potenzialità espressive, ponendo particolare attenzione alle proprietà riflettenti delle superfici vetrate, in diverse condizioni di luce, ed alla possibilità di lasciare a vista gli elementi strutturali dell'edificio grazie alla trasparenza del curtain-wall di chiusura.

Si deve a lui un nuovo concetto di volume, dove l'effetto plastico dei giochi di luce ed ombra viene sostituito dal gioco di riflessi introdotto dal vetro, che cambia illusionisticamente la morfologia dell'architettura.
Quella che va pienamente valutata, guardando all'opera di Behnisch, è la sua capacità di evoluzione, che lo ha portato da una prima serie di progettazioni ad impronta organica, con una composizione piuttosto geometrica e rigida dei volumi, a questo risultato, un insieme di forme discontinue che si immettono nello spazio con apparente casualità compositiva, in libero dinamismo, con disinvolta informalità, conciliando due poli opposti: una creatività sciolta da riferimenti dogmatici ed una rigorosa capacità di controllo sugli aspetti tecnologici, impiantistici, strutturali e funzionali, particolarmente importanti in opere di questo livello e nella moderna realtà delle tecnologie avanzate.

Guardando la Norddeutsche Landesbank, vien da pensare che oggi, forse, si potrebbe definire una nuova categoria spaziale che magari Sigfried Giedion potrebbe trovare interessante: quella di uno spazio polivalente, dove il reciproco rapporto spazio interno-spazio esterno venga sovvertito dalla mediazione della superficie trasparente che assottiglia fino ad annullarlo il confine tra dentro e fuori, tra contenuto e contenente, cosicché in un gioco dialettico tra concavo e convesso, tra pieno e vuoto, si frantumi definitivamente ogni distinzione, instaurando nuovi rapporti tra edificio e paesaggio a favore di uno spazio unitario, passando "da una concezione di spazio come organo………a una concezione di spazio come sistema" (Antonino Saggio, "Spazio come sistema").
In questo concetto di reticolo continuo interno-esterno si realizza una sintesi spaziale, aspirazione della moderna architettura, che ha però come prezzo l'indefinitezza che i significati non solo architettonici vanno gradatamente assumendo in un mondo sempre più a-specifico, indifferenziato e confuso.

Certamente sul piano urbanistico, come denunciano sperimentazioni di questo tipo, va sparendo un'idea di "acropoli" o "centro urbano", che fino a pochi anni fa, in una sistemazione gerarchizzata, costituiva il cuore pulsante della vita sociale, politica ed amministrativa delle città, per un decentramento delle funzioni sempre più capillare (che, in una progressiva frantumazione, sta arrivando al singolo computer di casa) tendente ad una omogeneizzazione del territorio mediante la definizione di molteplici poli di aggregazione per una sintesi finale tra urbanistica ed architettura.

*articolo aggiornato il 19/08/2012


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