In Germania i grattacieli, seppure numerosi soprattutto
come sedi delle grandi banche, non godono in genere di molta
approvazione, probabilmente per le esperienze negative degli
anni '60, in cui sono stati edificati nelle grandi città
e soprattutto a Berlino, con destinazione prevalentemente residenziale
dimostrandosi, nel tempo, un fallimento progettuale.
Sarà per questo che lo studio Behnisch und Partner, Günter
padre (1922-2010) e Stefan figlio, stanno da qualche anno sperimentando
un approccio nuovo a questo tipo di struttura, rivisitandone
la tipologia in chiave si potrebbe dire post-romantica, memore
della visionarietà espressionista di una nazione che
è stata la culla dell'espressionismo storico, radicato
nell'antica matrice gotica, base di tanta cultura
tedesca anche moderna.
E' un germe che da tempo covava nel lavoro di Behnisch, e di
cui già si vedono i chiari sintomi nell'innovativo stadio
di Monaco, del '72, dove una tensostruttura mossa ed ondulata,
di grande eleganza dinamica, di ardita soluzione strutturale
(firmata da Otto Frei), disegna una serie di leggere curve tese
e piatte, fatte di una maglia di acciaio e vetro, integrando
al paesaggio collinare circostante quello che altrimenti sarebbe
rimasto un corpo estraneo e definendo uno dei temi fondamentali
del procedere progettuale di Behnisch: la convivenza e la sintesi
tra struttura ed ambiente, tra tecnologia ed ecologia.
Questa intenzione si rintraccia anche nell'edificio della Norddeutsche
Landesbank ad Hannover.
L'imponente volume che sviluppa 40.000 metriquadri di superfici
calpestabili e che potrebbe facilmente costituire una insormontabile
barriera urbanistica tra le zone nord e sud della città,
attualmente un mix di vecchie e nuove costruzioni nel complesso
anonime, si pone invece, nelle intenzioni dei progettisti, come
trait-d'union fra di esse, mediante la realizzazione di un esteso
piano terra aperto e liberamente accessibile al pubblico, permeabile
su tutti i lati ed usufruibile come estensione della superficie
urbana, che ne risulta qualificata.
Il concetto non è nuovo, è quello dei pilotis di Le Corbusier e della sua idea di città a circolazione
libera, non a caso anche per lui abbinata al concetto di costruzione
in verticale, "partendo da quel grande evento costruttivo
che è il grattacielo americano".
Qui il piano libero è definito e connotato da una serie
di funzioni integrate alla destinazione principale di edificio
per uffici, è "riempito" e disegnato nei suoi
percorsi planimetrici da funzioni terziarie accessorie (commercio
, cultura, tempo libero) che incanalano i flussi di traffico
collegandoli con i dintorni.
In sintonia con gli intenti progettuali, le soluzioni tecnologiche dell'intero complesso, estremamente sofisticate
mirano alla ottimizzazione dei livelli di comfort, con approfonditi
studi sul microclima, senza l'impiego della tradizionale aria
condizionata, in una gestione "intelligente" delle
disponibilità energetiche che riduca i consumi ed assicuri
il massimo rispetto dal punto di vista dell'ecologia e dell'inquinamento
ambientale.
L'edificio vero e proprio, un punto di riferimento distinguibile
e caratterizzante nello skyline di una città che non
ha edifici degni di nota, è una massa verticale decostruita
di venti piani fuori terra, che ruota asimmetricamente attorno
al proprio asse in sbalzi arditi di calcestruzzo e cristallo
con improvvisi cambi di direzione dei blocchi orizzontali, lasciando
intuire una soluzione anche statica nuova ed audace.
L'uso pressoché totale del vetro e dell'acetato, insistendo
sul tema della trasparenza, denuncia l'attenzione attribuita
alla luce naturale, importante elemento di benessere psicofisico
solitamente trascurato in queste tipologie, che attraverso la
permeabilità delle pareti, amplificata al piano terra
da bacini artificiali d'acqua che la riflettono, raggiunge tutti
i punti dell'edificio: sensori diurni rendono cangiante il colore
delle facciate a seconda dell'incidenza dei raggi luminosi,
adattandosi al mutare della luce solare, mentre di notte migliaia
di diodi inseriti nel cristallo stratificato trasformano l'edificio
in una torre di luce perennemente accesa.
Vale la pena di ricordare Mies van Der Rohe, uno dei primi ad
affrontare il tema del grattacielo in Europa (proprio in Germania,
in un concorso del 1922, per un edificio nella Friederichstrasse
a Berlino), che per primo sperimenta le possibilità di
utilizzo dei materiali da costruzione per le loro intrinseche
potenzialità espressive, ponendo particolare attenzione
alle proprietà riflettenti delle superfici vetrate, in
diverse condizioni di luce, ed alla possibilità di lasciare
a vista gli elementi strutturali dell'edificio grazie alla trasparenza
del curtain-wall di chiusura.
Si deve a lui un nuovo concetto di volume, dove l'effetto plastico
dei giochi di luce ed ombra viene sostituito dal gioco di riflessi
introdotto dal vetro, che cambia illusionisticamente la morfologia
dell'architettura.
Quella che va pienamente valutata, guardando all'opera di
Behnisch, è la sua capacità di evoluzione, che
lo ha portato da una prima serie di progettazioni ad impronta
organica, con una composizione piuttosto geometrica e rigida
dei volumi, a questo risultato, un insieme di forme discontinue
che si immettono nello spazio con apparente casualità
compositiva, in libero dinamismo, con disinvolta informalità,
conciliando due poli opposti: una creatività sciolta
da riferimenti dogmatici ed una rigorosa capacità di
controllo sugli aspetti tecnologici, impiantistici, strutturali
e funzionali, particolarmente importanti in opere di questo
livello e nella moderna realtà delle tecnologie avanzate.
Guardando la Norddeutsche Landesbank, vien da pensare che
oggi, forse, si potrebbe definire una nuova categoria spaziale
che magari Sigfried Giedion potrebbe trovare interessante:
quella di uno spazio polivalente, dove il reciproco rapporto
spazio interno-spazio esterno venga sovvertito dalla mediazione
della superficie trasparente che assottiglia fino ad annullarlo
il confine tra dentro e fuori, tra contenuto e contenente,
cosicché in un gioco dialettico tra concavo e convesso,
tra pieno e vuoto, si frantumi definitivamente ogni distinzione,
instaurando nuovi rapporti tra edificio e paesaggio a favore
di uno spazio unitario, passando "da una concezione
di spazio come organo
a una concezione di
spazio come sistema" (Antonino Saggio, "Spazio
come sistema").
In questo concetto di reticolo continuo interno-esterno si
realizza una sintesi spaziale, aspirazione della moderna architettura,
che ha però come prezzo l'indefinitezza che i significati
non solo architettonici vanno gradatamente assumendo in un
mondo sempre più a-specifico, indifferenziato e confuso.
Certamente sul piano urbanistico, come denunciano sperimentazioni
di questo tipo, va sparendo un'idea di "acropoli"
o "centro urbano", che fino a pochi anni fa, in
una sistemazione gerarchizzata, costituiva il cuore pulsante
della vita sociale, politica ed amministrativa delle città,
per un decentramento delle funzioni sempre più capillare
(che, in una progressiva frantumazione, sta arrivando al singolo
computer di casa) tendente ad una omogeneizzazione del territorio
mediante la definizione di molteplici poli di aggregazione
per una sintesi finale tra urbanistica ed architettura.
*articolo aggiornato il 19/08/2012
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