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Potsdamer Platz
di Vilma Torselli
pubblicato il 2/06/2007 *
A 30 anni dalla caduta del Muro, Potsdamer Platz, uno dei luoghi-simbolo della Berlino divisa, rappresenta un discutibile intervento di riqualificazione urbanistica.
Berlino è una metropoli che soffre dei problemi comuni a tante altre, qui più acutamente evidenti per il suo recente passato storico che ne ha forzato la crescita in direzioni illogiche. Le cause: una sistematica fuga dei residenti verso l'immediato hinterland, un accelerato processo di terziarizzazione, la presenza di aree dismesse all'interno del tessuto urbano (vecchie fabbriche abbandonate, magazzini, palazzi per uffici ormai obsoleti ecc.) e di vaste aree libere, soprattutto nelle zone del Muro, in grado di risucchiare all'interno della città una sorta di effetto periferia caratterizzato da degrado e fatiscenza.

Potsdamer Platz, area urbana con un glorioso passato storico, è rimasta per molti anni una vasta e desolata terra di nessuno, prima per i bombardamenti bellici dei raid alleati che la ridussero in macerie, poi a causa del Muro che, dal 1989, separava il territorio controllato dagli americani da quello sotto il controllo del blocco sovietico, tagliando in due una piazza che era prima il luogo-simbolo della vita sociale e culturale di Berlino e dei suoi abitanti, poi della Berlino distrutta e divisa.
Il 9 novembre 1989 cade il muro di Berlino e nel giro di poco tempo si dà inizio alla ricostruzione ed al ripopolamento dell'area, un consorzio d’investitori internazionali incarica i più grandi architetti al mondo come Renzo Piano, Helmut Jahn, Richard Rogers, Arata Isozachi e Rafael Moreno di tracciare le linee guida urbanistiche e l’anno seguente si indice il concorso per la presentazione del progetto di realizzazione di Potsdamer e Leipziger Platz, che desta interesse e competizione tra i principali studi di architettura del mondo e che vede la vittoria dello studio Heinz Himmler e Christoph Sattler, di Monaco.
Molti i progettisti in lizza per aggiudicarsi le prestigiose committenze, molte le multinazionali che vogliono un posto rappresentativo in quella storica piazza, come Daimler-Benz e Sony e oggi, a lavori conclusi, la ricostruita Potsdamer Platz è in realtà diventata una zona di confluenza di tre distinte aree, Daimler City, o Area Daimler Chrysler (1998), Sony Center (2000) e Besheim Centre (2004).

La conversione e la riqualificazione di questi terrains vagues per una soddisfacente integrazione con il restante tessuto cittadino costituiscono per Berlino un ricorrente problema urbanistico, che è stato risolto inventando per queste aree nuova utilità e nuovi significati sociali, caricandole di attribuzioni e di funzioni che colmino una sorta di "horror vacui" indotto dall'eccedenza di spazio resosi inaspettatamente disponibile dopo il crollo del Muro.
Per Potsdamer Platz, davanti ad un "vacuum" così evocativo ed eloquente, si è scelto di dimenticare, optando per un'operazione di urban renewal dedicato alla sospensione della memoria storica.
In che modo? Adottando una soluzione di carattere simbolico (e demagogico) che dia di Berlino l'idea di una metropoli del mondo, ostentatamente non nazionalista, immagine della rinascita di una Germania moderna e aperta, globalizzata, affidandone la progettazione a professionisti di più paesi, lottizzando equamente la volumetria tra varie multinazionali, realizzando mastodontici monumenti al consumismo in tutte le sue varianti in una sorta di delirio di grandezza progettuale.

Vergangenheitsbewältigung definiscono i tedeschi la riflessione critica sul proprio passato ed inevitabilmente sul nazismo e sull’olocausto, un confronto che percorre l’architettura e l’arte della moderna Germania con posizioni alterne ed antitetiche tra negazionismo ed ammissioni di colpa. Negli anni ’90, sbandierando un generico internazionalismo mai stato nelle corde del popolo tedesco, si sceglie di esorcizzare un passato scomodo rinnovando l’immagine della capitale con interventi architettonici che la Germania di oggi ha messo già in crisi cercando nuove vie per una progettazione urbanistica che si riproponga come punto di riferimento e di identità, saldatura tra passato e futuro di un popolo maturo e consapevole che si vuole riappropriare della propria cultura anche attraverso la pianificazione del territorio e forse vuole riaffermare in chiave post-romantica la visionarietà espressionista che ha fatto della Germania la culla dell'espressionismo storico, radicato nell'antica matrice gotica di tanta cultura tedesca anche moderna.

In Potsdamer Platz l'impressione finale è che ognuno dei pur validi progettisti abbia in effetti espresso se stesso ed il suo committente, in apparente mancanza di un comune coordinamento, dotando i Berlinesi di una realizzazione urbanistica che sembra non tenere in alcun conto né i cittadini né la loro identità culturale, per effetto di una scelta politica che privilegia obiettivi estranei alla città.

Destinato ad abitazioni private, commercio, affari e tempo libero, con una progettazione talvolta frammentaria e disomogenea, il complesso della Potsdamer Platz, che si prefigge di assumere un ruolo di riferimento e di coagulo per l'intera città, emblema delle direttive urbanistiche del nuovo millennio, rischia, come tanti interventi progettuali a più mani, di restare un insieme di progetti parziali più o meno integrati, complessivamente anonimi e privi di identità urbanistica, storica, culturale, specchio delle contraddizioni proprie della moderna società.
Contraddizioni che l’architetto deve essere capace di scovare e ricomporre diventando un cacciatore di tracce, un segugio che scopre i segni lasciati dalla gente nell’ambiente senza neppure rendersene conto, spontenei e derivati dall’uso e dalle abitudini di una comunità, deve trovarli, analizzarli, decifrarli e canalizzarli in un progetto nel quale, in qualche modo, quelle vecchie tracce siano recepite e identificabili diventando memoria.
Forse in Potsdamer Platz questo non è sempre avvenuto.

In alcuni parchi giapponesi, le pavimentazioni dei percorsi pedonali vengono posate sulle tracce lasciate dal calpestio dei passanti sull'erba, piccolo esempio di grande integrazione tra progettazione pubblica ed esigenze della comunità: forse la Potsdamer Platz doveva essere calpestata da migliaia di Berlinesi prima di finire in mano ai suoi progettisti, chissà, magari la lettura delle loro tracce avrebbe fornito utili indicazioni.

* articolo aggiornato il 08/04/2019

Iniziative in memoria dei 30 anni dalla demolizione del Muro di Berlino

A Berlino, dal 4 al 10 novembre 2019, stanziati 10 milioni di euro per una serie di eventi gratuiti ospitati in più punti della città,  installazioni artistiche, stazioni audio, conferenze e concerti con la collaborazione di artisti, architetti, designer e varie associazioni. Alexanderplatz, Gethsemanekirche, Brandenburger Tor, Bornholmer Brücke, Kudamm e Breitscheidplatz sono i luoghi già programmati per questa grande “mostra all’aria aperta”, una grande festa ricca di ricordi e celebrazioni.

* Museum in der Kulturbrauerei , dal 14 febbraio al 25 agosto, 800 reperti e 200 documenti, film e registrazioni audio in una mostra fotografica sul post-muro.

* Ephraim-Palais Museum dall’11 maggio al 9 novembre, la mostra “Half a Capital” sulla storia della "capitale della RDT" dalla fine degli anni '60 fino alla riunificazione della città nel 1990. La mostra si concentra sulla vita di tutti i giorni a Berlino Est.

* Martin-Gropius-Bau Berlin, dal 12 settembre 2019 al 12 gennaio 2020 ”Walking Through Walls” per fare il punto dell’arte nelle società divise da muri.

Per gli sportivi, il 17 e 18 agosto "100 Miles Berlin", una corsa popolare lungo l'ex Muro.
Per i giovani, dal 15 al 17 marzo "Berlin Graphic Days" con i graffiti dell'East Side Gallery e il Parco del Muro. 

A Lipsia, città della Rivoluzione Pacifica del 1989, il 9 ottobre 2019 si celebra il Festival delle Luci


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di Pietro Pagliardini


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