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Testi di Vilma Torselli su "Antithesi", giornale online di critica d'architettura.
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Il Piano Nobile
di Vilma Torselli
pubblicato il 3/06/2007
Dal Piano Nobile al grattacielo, una sfida vittoriosa sulla forza di gravità.
“Nunca perdais contacto con el suelo;
porque solo asi tendreis una idea
aproximada de vuestra estatura”

(Antonio Machado).

Quando nella progettazione architettonica si sono invertiti i rapporti gerarchici tra i piani bassi ed i piani alti degli edifici e quando i livelli superiori sono divenuti i più apprezzati dagli utenti e dal mercato?
Per rispondere al quesito è necessario fare un rapido excursus sull’evoluzione della tipologia edilizia più diffusa nelle nostre città, il palazzo: partiamo dall’alto, dal sottotetto, la zona interposta tra il solaio di copertura dell’ultimo piano abitabile e la copertura esterna dell’edifico, che nasce come spazio tecnico privo di valore immobiliare, con funzione di isolamento termico per i locali sottostanti.
Caldo d’estate e freddo d’inverno, il sottotetto è una superficie inabitabile per la quale non viene definita alcuna regola igienico-edilizia, neanche quando, attorno al ‘400, l’uso corrente ne stabilisce la pertinenza alla servitù ed a vari locali di disimpegno, collegandolo al piano sottostante con scale a chiocciola di ridotte dimensioni a scopo puramente funzionale.

Mentre la tipologia distributiva del palazzo muta nel tempo assecondando i cambiamenti dei costumi pubblici e privati, il sottotetto mantiene immutate le sue caratteristiche, conservando un ruolo di assoluto subordine e di minima importanza nel generale impianto distributivo della costruzione: bisognerà infatti aspettare la metà del ‘600 e la genialità inventiva di François Mansard perché il sottotetto divenga un piano abitabile a tutti gli effetti.

Nel Rinascimento, in concomitanza al diffondersi dell’uso delle carrozze, status symbol obbligatorio in una società con forti differenze di classe, si consolida per il palazzo di città una tipologia standard che prevede al piano terreno, a livello della strada, spazi destinati al ricevimento ed alla sosta dei veicoli a cavalli con aree di manovra accessibili attraverso portoni che diventano allo scopo più ampi e monumentali. Contemporaneamente, gli spazi del piano terra adiacenti all’ingresso vengono destinati a funzioni accessorie, alle scuderie, alla manovalanza ed ai magazzini.

Il primo piano è il cuore dell’edificio, facilmente accessibile ma protetto, il più riservato, luminoso e silenzioso, tanto da meritarsi l’appellativo di Piano Nobile: è lo spazio di rappresentanza, il living di oggi, che viene decorato con affreschi e stucchi, sontuosamente arredato ed esibito ai visitatori in occasione di feste o ricevimenti (contiene un vero e proprio 'Salone delle feste') come simbolo di ricchezza e buon gusto, filtro tra la zona pubblica del piano terreno e la più intima zona notte, al secondo piano, dove si collocano le camere da letto, in genere di dimensioni limitate e disposte senza un razionale schema distributivo. Spesso, tra il piano terreno ed il primo, si inserisce, quando necessario, un piano ammezzato destinato alla servitù ed a locali di servizio, così detto da “ammezzare”, poiché ricavato dalla suddivisione a metà in senso verticale di uno spazio di maggior altezza.

Per una struttura multipiano si pone ovviamente l’obbligo di efficienti collegamenti verticali, le scale, che finiscono per connotare anche l’importanza logistica e rappresentativa delle superfici d’accesso, dalle anguste scale a chiocciola del sottotetto alle semplici rampe rettilinee del piano terra, allo scalone di ingresso al Piano Nobile, che sempre più acquisisce importanza non solo funzionale, ma anche architettonica, divenendo uno dei soggetti più importanti all’interno della progettazione degli edifici. Allo scalone è affidato infatti il primo impatto visivo per chi entra, perciò deve essere sontuoso, scenografico, di grandioso effetto architettonico, deve essere una sfarzosa esibizione della ricchezza della dimora e dei suoi abitanti e spesso dell’abilità progettuale dell’architetto.

Il barocco si sbizzarrisce in un’infinità di varianti di grandiosi scaloni a pianta policentrica, circolare, elicoidale, trovando nel tema della salita, sviluppato secondo complesse linee sinuose, lo spunto ideale per esprimere il movimento ascensionale con l’esuberanza teatrale e l’inventiva fantastica che contraddistinguono questo irripetibile momento della storia dell’architettura.

L’architetto francese François Mansard progetta per la copertura del palazzo una struttura dal profilo inclinato e progressivamente arretrante rispetto al filo di facciata, che per la prima volta delimita e connota il vano sottotetto con una sua inconfondibile tipologia, ancora oggi detta “a mansarda”, dal cognome del suo inventore (anche se in verità il primo a realizzare qualcosa di simile fu Pierre Lescot).
Si tratta di una tipologia che avrà nel tempo molta fortuna anche perché costituisce un intelligente escamotage per aggirare i regolamenti edilizi che fissano limiti massimi per l’altezza delle gronde su strada e recuperare così cubatura commercialmente utile.

Nasce un sottotetto più moderno e confortevole, che resta comunque un’abitazione modesta ed umile, corredata di un alone romantico, faticosamente raggiungibile attraverso ripide scale, che ripaga la fatica dell’utente con una spettacolare vista sui tetti della città: è l’alloggio dei bohemien, dei poveri, di chi ha pochi soldi e molta fantasia, dove vive Modigliani, dove lavora Soutine, dove si stabiliscono gli artisti di Montmartre e Montparnasse.
Questa abitazione così vicina al cielo coltiva il sogno di Icaro che è dentro ciascuno di noi: volare per andare in alto, per guardare il mondo da una inusuale prospettiva, per giungere dove mai nessuno è arrivato….
Bisogna però conciliare l’audacia con il comfort, rendere i piani alti comodi e facilmente accessibili, per assicurarsi un mercato florido ancora tutto da inventare, ma ricco di promesse.
Un’aspirazione che, a metà ottocento, grazie al progresso tecnologico, non pare più irrealizzabile.

Elisha Graves Otis costruisce il primo ascensore per uso non industriale nel 1853, ed anche se l’invenzione fatica ad affermarsi soprattutto perché il pubblico diffida dei sistemi di sicurezza, peraltro sempre più affidabili, nel 1857 la ditta Otis installa con successo in un luogo pubblico, un Grande Magazzino di New York, il primo ascensore per passeggeri.
Da allora è un crescendo di perfezionamenti e di nuovi brevetti, si escogitano ascensori con motore a vapore, elettrico, idraulico, oleodinamico, gli architetti, dal canto loro, inventano una nuova tipologia, il grattacielo, che permette un più intensivo utilizzo del suolo e che conosce un immediato consenso specie in America, culla di un capitalismo che ha posto tra i propri obiettivi anche il massimo sfruttamento delle potenzialità volumetriche del terreno.
Si può dire che comincia allora, alla metà dell’ ‘800, una vera e propria corsa ai piani alti, una gara di progettazioni, innovazioni tecnologiche e sfide all’ultimo metro che non è ancor oggi terminata, grazie alla continua evoluzione di una tecnologia delle strutture e dei sistemi di elevazione che permette di superare altezze sempre maggiori.

L’ultimo esempio di sfida vittoriosa sulla forza di gravità è il progetto di Libeskind per la ricostruzione di Ground Zero, scelta tutta americana che rimuove la memoria di una tragedia con una clamorosa esibizione di potenza, 1776 piedi di altezza in ricordo dell’anno di proclamazione dell’indipendenza Usa, 541 metri, più di mezzo chilometro di cemento che svetta verso l’alto….

Come il suo antenato di milioni di anni fa che per primo si eresse sulle zampe posteriori scoprendo una impensata vastità di orizzonti, così oggi l’inquilino dei piani alti spinge uno sguardo affascinato su inattese lontananze, inebriato da uno spettacolo vertiginoso ed assolutamente unico. Lontano dagli odori e dai rumori del traffico sottostante, fuori dai coni d’ombra delle vicine costruzioni, i piani alti, paradiso metropolitano ottenuto a caro prezzo, conquistano luce, sole, silenzio e purezza, sempre più lontano dalla terra.

Lontano dall’humus, il limo nero dove hanno radici l’humanitas e l’humilitas, senza le quali non esisterebbe una società, lontano dal suolo dimenticato, laggiù, ai piani bassi: “….. Conoscete la leggenda di Ercole e Anteo, il lottatore gigantesco, dalla forza incredibile, finché fosse rimasto coi piedi sulla terra? Ma quando Anteo fu tenuto da Ercole sospeso nel vuoto, senza radici, egli perì facilmente. Se in questa leggenda non c’è un insegnamento per noi di questi tempi, in questa città, oggi, allora vuol dire che sono del tutto pazzo.
(“Fahrenheit 451”, Ray Bradbury, 1953)


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