Se si parla del Partenone (480 a.c.), si deve parlare dello
spazio, di quello che rappresenta per l'uomo e di come l'uomo
ne abbia introdotto il concetto nell'architettura, che è
la concretizzazione dell'idea che di spazio hanno avuto nel
tempo le diverse civiltà.
Il nostro corpo fisico è la prima esperienza che abbiamo
di un volume nello spazio, che si espande nelle stesse direzioni
dell'architettura, in alto o in basso, davanti, dietro, a destra,
a sinistra, secondo la nostra struttura anatomica, in una perfetta
e geometrica simmetria di proporzioni delle parti opposte che
sarà la base dei canoni scultorei, ma la percezione dello
spazio come entità cosmica, astratta e simbolica è
istintiva ed incosciente, non è una consapevolezza storica
o filosofica.
Abbiamo anche la percezione del vuoto, non inteso come il nulla,
come vuoto assoluto, ma come antitesi del pieno, e dal momento
che il nostro pensiero occidentale cartesiano è dominato dal dualismo tra gli
opposti, il vuoto in architettura è uno spazio non occupato
dalla struttura, ma delimitato da essa, è uno spazio
interno, definibile nei suoi limiti e nella sua forma volumetrica,
una massa d'aria racchiusa da un involucro.
Questa concezione dello spazio, che comporta la realizzazione
di strutture adatte a racchiuderlo e delimitarlo, sarà
tipica dell'architettura romana, nella quale il concetto di
spazio architettonico praticamente coinciderà con quello
di spazio cavo, spazio interno, dominato e sequestrato dalle
volte e dalle cupole della Domus aurea, del Pantheon, della
Villa Adriana.
Il tempio greco, invece, è pura espressione plastica,
non presenta spazi racchiusi, non c'è nessuna gerarchia
tra spazio esterno e spazio interno, l'architetto greco non
vuole conquistare lo spazio fisico, lo vuole dominare intellettualmente,
non lo possiede, lo attraversa, lo penetra, lo misura e lo organizza
secondo le sue regole.
Con una espressione stupenda Giedion dice: "Il tempio
greco si libra come un cristallo nello spazio", si
mette in rapporto con il cosmo, è un oggetto scultoreo
che si rivolge al di fuori di sé, qualificando lo spazio
esterno con la sua sola presenza, determinando un contesto ambientale,
o, più modernamente, urbanistico.
Non oggetto nello spazio, ma cristallizzazione nello spazio
di leggi della geometria, della matematica, della simmetria,
costruito secondo lo studio minuzioso delle misure e delle proporzioni
reciproche, ricorrendo all'uso di multipli, della sezione aurea,
della rigorosa tessitura di ricercati rapporti all'interno di
un semplice sistema costruttivo trilitico a colonne verticali
e trabeazioni orizzontali, il Partenone è la più
alta espressione del tempio dorico.
Struttura "assoluta, brutale e intensa", essenziale,
massiccia, ha il fregio composto da un'alternanza di metope
e triglifi che obbligano ad una visione spezzettata, lenta,
con brevi pause dell'occhio tra in bassorilievo e l'altro, colonne
scanalate prive di basamento, un semplice echino come capitello,
gonfiate ad un terzo dell'altezza da un'entasis che esprime
la forza, la potenza ed al tempo stesso la fatica della struttura,
la sua funzione statica, la compressione per effetto della gravità.
Rivelando una straordinaria conoscenza delle leggi della percezione
visiva e della distorsione ottica, i progettisti posizionano
obliquamente le colonne, inclinandole verso l'esterno ed incurvano
leggerissimamente la struttura agli spigoli, correggendo così
l'illusione di schiacciamento dato dalle linee di fuga rette,
perché la visione prospettica dal punto di vista di un
normale osservatore non risulti deformata, in modo da fornire
l'impressione di una assoluta perfezione geometrica, quand'anche
antinaturalistica.
Il tempio parla lo stesso sublime linguaggio delle statue di
Fidia - Phidiam clarissimum esse per omnes gentes, quae Iovis
Olimpii fama intellegunt, nemo dubitat - anch'esse modellate
secondo l'applicazione della sezione aurea e dei canoni di uno
schema matematico predefinito in un organismo edilizio dal
perfetto equilibrio fra tutte le parti, dove nulla è
superfluo, un sistema unitario fatto di elementi autonomi, un
apparente paradosso che indurrà, nei secoli seguenti, ad una lettura separata delle varie parti, dando origine al
concetto di ordini architettonici come componenti tipologiche
a sé stanti.
Come nelle statue di Fidia, la luce lambisce in controllate
modulazioni le superfici che si animano di effetti materici,
di sfumature chiaroscurali e, in una calibrazione perfetta tra
misure geometriche esatte ed ispirazione libera, tra materia
e spirito, tra ragione e sentimento, l'architettura si tramuta
in scultura.
E' l'accesso ad un concetto di scultura allargato e simbolico,
scultura in quanto oggetto nello spazio, scultura per definire tutto ciò che prende forma per
mano dell'uomo e per l'azione dell'umana intelligenza, scultura
intesa come purezza della forma, fisica o metafisica, una statua,
un tempio, non c'è differenza, scultura come ricerca
di un'immagine, del riflesso di un'idea, forma plastica che
si estende nello spazio e che ingloba la dimensione del tempo.
Il risultato è un prezioso equilibrio tra intellettualismo
socratico e libertà creativa, nomos e physis, riposto
in quell'unica parola, tekné, che indica la capacità
di "fare", di produrre "architettura", un
termine, quest'ultimo, derivato dalla fusione di arché
e técton con il duplice significato di impresa e di attività
creativa: "nascitur ex fabrica et ratiocinatione",
così dice dell'architettura Vitruvio, dalla capacità
pratica unita a regolamentazione teorica.
Questo intendeva Le Corbusier quando parlò di "jeu
savant, clair et magnifique des volumes sous la lumière"
individuando nello spirito matematico che percorre come una
costante tutta l'architettura greca le stesse radici della sua
architettura razionalista, quella che Flaminio Gualdoni definisce
"l'architettura pensata e agita in forma plastica
..
interprete massima del pensiero dello spazio".
link:
Scolpire l'architettura
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