Non si spiegano, infatti, al confronto
con l'architettura dell'epoca, la straordinaria sobrietà
decorativa, l'essenzialità delle scelte formali, la pulizia
delle linee, la modernità dell'intera concezione progettuale:
si spiega, invece, come abbia potuto diventare l'alibi morale
che l'occidente cercava per proporre un'estetica nuova, costruita
sulla essenziale razionalità che ci darà le opere
di Le Corbusier, Walter Gropius, Mies Van Der Rohe, la rigorosa
semplificazione pittorica dell'astrattismo di Piet Mondrian e la metafisica intransigenza filosofica di "De Stijl".
La storia, forse un po' romanzata, dice che la Villa fu "scoperta"
agli occhi dell'occidente, nel 1933, da Bruno Taut, architetto
di matrice post-romantica, tedesco, europeo, occidentale,
abituato a leggere l'architettura in chiave evoluzionistica
con quella tendenza alla storicizzazione che è propria
della nostra cultura.
A Katsura si trova al cospetto di una tipologia architettonica
atipica, inclassificabile sia cronologicamente che stilisticamente,
è disorientato ed affascinato da quello che chiama
"un arcano senso di totalità", e finisce
per leggere la struttura nei termini di un'analisi funzionalista
e modernista che indirizza verso una serena contemplazione
le sue visionarie utopie espressioniste e lo introduce al
raffinato concettualismo dello spirito zen.
Poi, i rapporti di Taut con van Doesburg, teorico di "De
Stijl", amico di Mondrian, con Walter Gropius, fondatore
della Bauhaus di Weimar, ed altri intellettuali dell'epoca
permetteranno una circolazione osmotica delle idee e le conseguenti,
molteplici adesioni, istituendo in breve nella cultura occidentale
un grosso debito nei confronti di quella orientale e giapponese in particolare.
Per la verità già Frank Lloyd Wright, vedendo
una riproduzione della Villa all'Expo di Chicago del 1893
(visiterà per la prima volta il Giappone solo nel 1905),
ne aveva captato il messaggio fortemente innovativo, così
come le arti figurative europee, l'impressionismo per primo,
avevano già denunciato il proprio interesse per le
teorie estetiche orientali, nelle quali il concetto taoista
di un mutamento libero e continuo, senza schemi fissi né ordini
precostituiti, si traduceva formalmente in una nuova asimmetria della composizione - e la Villa di Katsura presenta un'accentuata
asimmetria strutturale - entro uno spazio vuoto che non separa,
ma collega gli elementi della rappresentazione.
E' proprio il vuoto, lo spazio non occupato dalla struttura
ma delimitato da essa, l'indispensabile contrappunto dialettico
alla materia in un'architettura concepita come un "interno",
un continuum in cui gli uomini vivono ed agiscono, lo spazio
vuoto inteso come "categoria interpretativa dell'architettura",
secondo la lezione di Bruno Zevi.
"Il vuoto come siamo abituati a pensarlo noi, confluisce
nel nichilismo. Mentre dall'altra parte è la condizione
di possibilità di tutti gli eventi, di tutte le cose.
Il vuoto in questo senso è il massimamente pieno. Questa
è la grande idea che ha avuto il buddhismo. È
il punto che lo fa incontrare con il taoismo in Cina e produce
lo zen." (Antonio Gnoli): allora, viene da dire,
o conosciamo lo zen o non capiamo l'anomalia di Katsura,
perché lì le innovazioni radicali non sono solo
architettoniche, sono prima filosofiche, religiose, culturali,
frutto di una visione del mondo che per l'occidente è
in gran parte incomprensibile.
infatti l'occidente coglierà,
di tutto il discorso di Katsura, ciò che vuole cogliere
e vedrà ciò che vuol vedere, filtrato dalla
struttura logica della propria mentalità analitica.
Perciò è forse più semplice partire
dalla fine e capire cosa l'occidente recepisca ed interpreti,
innestandolo sulle proprie preesistenze culturali, dell'esperienza
di Katsura.
E' il caso di ricordare che, già alla fine
dell' '800, la grafica giapponese assume determinante importanza
nella definizione del linguaggio estetico dell'occidente -
si ricordi come Wright ne fosse appassionato - una volta giuntavi
grazie alla diffusione dei mezzi riproduttivi tipografici
ed entrata di prepotenza nelle arti visive attraverso i dipinti
di Toulouse-Lautrec, Klimt, Gauguin, Degas, Masson, il Liberty e l'Art Nouveau.
Ma l'incontro con la Villa imperiale è un'esperienza
interiore profonda e raffinata, perché il razionalismo
funzionalista dell'Europa più colta e sofisticata vi
riconosce sé stesso.
Mondrian, con il rigore morale
del suo purismo calvinista, dalle pagine di "De Stijl"
invoca il recupero della bidimensionalità della pittura,
alla ricerca di una stilizzata semplificazione formale, che
diviene francamente astratta nella definizione lineare del
piano in geometriche partiture ortogonali: è puntuale
il riscontro nelle nitide superfici della Villa, giocate su
una griglia modulare ricca di significati simbolici, mossa
da essenziali differenziazioni materiche.
Con la rinuncia all'illusionismo prospettico, la linearità
che abolisce le suggestioni plastiche della materia, l'affermazione
delle possibilità grafiche e cromatiche del piano,
da Katsura viene la risposta architettonica alla sintesi astrattiva
della forma che il neoplasticismo persegue con la scarna austerità
di un discorso disciplinato oltre i limiti dell'umano, di
una assolutezza che non richiede alcuna chiave interpretativa.
Mondrian è un sottile intellettuale tendente ad un
ascetismo spesso sconfinante nel cerebralismo, è un
pittore rigido, ripetitivo, per certi versi noioso, che dice
"Nell'arte si cerca la bellezza, l'armonia, che mancano
o si inseguono invano nella vita e nell'ambiente", mostrando
così di focalizzare la sua analisi sulle corrispondenze
tra istanze spirituali e soluzioni formali, in una sintesi
di limpido ordine geometrico - con richiami al cubismo - senza
alcun intervento soggettivo.
In effetti ogni quadro di Mondrian
è frutto di un progetto dal rigore architettonico di
estrema misura compositiva, sintetizzato nei suoi rettangoli
e nelle precise campiture di colori primari.
Certamente le analogie formali con gli spazi rarefatti della
Villa, con la levigata piattezza delle sue superfici sono
evidenti, ma restano soprattutto, appunto, formali.
Mondrian - e con lui tutto il razionalismo europeo - non
sembra cogliere appieno il fascino che in quella struttura
deriva dalla equilibrata fusione degli opposti, il linguaggio
tradizionale colto e gli accenti più francamente popolari,
lo spazio interno nitidamente definito eppure libero di sconfinare
confondendosi nell'esterno, l'armonica relazione tra costruito
e naturale, la "pienezza" di significato del vuoto.
E mentre il razionalismo europeo, che non prescinde dal dualismo
cartesiano presente ancor oggi in tutti gli ambiti della cultura
occidentale, insegue l'incorruttibile bellezza dell'armonia
matematica e progetta nei termini di un evidente, totale controllo
della ragione non solo l'edificio, ma anche lo spazio esterno,
l'architettura delle case e dei giardini giapponesi nasconde
sotto una apparente, spontanea naturalità il discorso
filosofico della compenetrazione dei contrari e della loro
confluenza, in virtù del mutamento, in un unitario
ordine superiore.
E' lo spirito dell'oriente o, come dice Antonino Saggio,
" È un sentire opposto a quello della nostra
infanzia greca: alla permanenza, immobilità e solidità
si sostituisce il mutamento: la sola legge eterna, pare insegnare
l'arte e l'architettura giapponese". Da questo punto
di vista, quello che ha tratto dalla conoscenza dell'architettura
domestica giapponese - tempio di suprema pulizia ed
essenzialità - dalla disarticolazione degli spazi
scanditi dal gioco dei piani nella Villa di Katsura l'essenza
più pregnante e nascosta resta Frank Lloyd Wright.
Con la sua intelligenza onnivora capace di assimilare ed
elaborare ogni cultura, Wright capisce subito che la linearità,
l'orizzontalismo, la simbiosi con la natura esterna, la flessibilità
distributiva, la mobilità spaziale priva di organizzazione
prospettica, continuamente rinnovata dallo scorrimento delle
pareti, racchiudono in nuce i concetti base della sua architettura
organica, di quell'idea dell'abitare che ha in testa e che
pone al centro della progettazione, nella quale le proporzioni
devono essere "umane in modo libero", le esigenze
dell'uomo ed i suoi bisogni nel confronto con la natura, esplorandone
tutte le possibilità di rapporto ed integrazione attraverso
sapienti relazioni tra interno ed esterno.
La cultura razionalista occidentale, così come era
impreparata a riconoscere appieno il messaggio di Katsura,
così sarà impreparata ad accogliere quello dell'architettura
organica, ma si potrebbe dire che la Villa rappresenti un
anello di congiungimento nel quale le due correnti hanno intrecciato
in parallelo i loro percorsi, sia pure per esiti diversi.
A Katsura l'occidente ha scoperto la magia dell'archetipo
senza tempo e senza luogo, nel quale tutte le diversità
si possono riconoscere, la magia di un'architettura che va
oltre i suoi confini ed è fatta con lo spazio che configura,
l'architettura che, per chi sa guardare , svela sempre "
una novità del vecchio e un'archeologia del nuovo",
metafora del ciclo dell'esistenza e del suo eterno rimando
tra mente e natura, tra conoscenza ed amore, tra scienza e
poesia.
* articolo aggiornato il 23/10/2012
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