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Villa imperiale di Katsura
di Vilma Torselli
pubblicato il 31/05/2007
Un'anomalia architettonica con molti punti di contatto con la rigorosa semplificazione pittorica dell'astrattismo di Piet Mondrian e la metafisica intransigenza filosofica di "De Stijl".
La Villa Imperiale di Katsura, nei pressi di Kyoto, iniziata nel 1617, è un'anomalia architettonica non solo al confronto con la cultura occidentale, se si pensa che nel '600 l'Europa parlava il complesso linguaggio barocco, ma anche nell'ambito della contemporanea cultura giapponese, dalla quale la separa una distanza stilistica sotto molti aspetti inspiegabile.
Non si spiegano, infatti, al confronto con l'architettura dell'epoca, la straordinaria sobrietà decorativa, l'essenzialità delle scelte formali, la pulizia delle linee, la modernità dell'intera concezione progettuale: si spiega, invece, come abbia potuto diventare l'alibi morale che l'occidente cercava per proporre un'estetica nuova, costruita sulla essenziale razionalità che ci darà le opere di Le Corbusier, Walter Gropius, Mies Van Der Rohe, la rigorosa semplificazione pittorica dell'astrattismo di Piet Mondrian e la metafisica intransigenza filosofica di "De Stijl".

La storia, forse un po' romanzata, dice che la Villa fu "scoperta" agli occhi dell'occidente, nel 1933, da Bruno Taut, architetto di matrice post-romantica, tedesco, europeo, occidentale, abituato a leggere l'architettura in chiave evoluzionistica con quella tendenza alla storicizzazione che è propria della nostra cultura.

A Katsura si trova al cospetto di una tipologia architettonica atipica, inclassificabile sia cronologicamente che stilisticamente, è disorientato ed affascinato da quello che chiama "un arcano senso di totalità", e finisce per leggere la struttura nei termini di un'analisi funzionalista e modernista che indirizza verso una serena contemplazione le sue visionarie utopie espressioniste e lo introduce al raffinato concettualismo dello spirito zen.

Poi, i rapporti di Taut con van Doesburg, teorico di "De Stijl", amico di Mondrian, con Walter Gropius, fondatore della Bauhaus di Weimar, ed altri intellettuali dell'epoca permetteranno una circolazione osmotica delle idee e le conseguenti, molteplici adesioni, istituendo in breve nella cultura occidentale un grosso debito nei confronti di quella orientale e giapponese in particolare.

Per la verità già Frank Lloyd Wright, vedendo una riproduzione della Villa all'Expo di Chicago del 1893 (visiterà per la prima volta il Giappone solo nel 1905), ne aveva captato il messaggio fortemente innovativo, così come le arti figurative europee, l'impressionismo per primo, avevano già denunciato il proprio interesse per le teorie estetiche orientali, nelle quali il concetto taoista di un mutamento libero e continuo, senza schemi fissi né ordini precostituiti, si traduceva formalmente in una nuova asimmetria della composizione - e la Villa di Katsura presenta un'accentuata asimmetria strutturale - entro uno spazio vuoto che non separa, ma collega gli elementi della rappresentazione.

E' proprio il vuoto, lo spazio non occupato dalla struttura ma delimitato da essa, l'indispensabile contrappunto dialettico alla materia in un'architettura concepita come un "interno", un continuum in cui gli uomini vivono ed agiscono, lo spazio vuoto inteso come "categoria interpretativa dell'architettura", secondo la lezione di Bruno Zevi.

"Il vuoto come siamo abituati a pensarlo noi, confluisce nel nichilismo. Mentre dall'altra parte è la condizione di possibilità di tutti gli eventi, di tutte le cose. Il vuoto in questo senso è il massimamente pieno. Questa è la grande idea che ha avuto il buddhismo. È il punto che lo fa incontrare con il taoismo in Cina e produce lo zen." (Antonio Gnoli): allora, viene da dire, o conosciamo lo zen o non capiamo l'anomalia di Katsura, perché lì le innovazioni radicali non sono solo architettoniche, sono prima filosofiche, religiose, culturali, frutto di una visione del mondo che per l'occidente è in gran parte incomprensibile.
infatti l'occidente coglierà, di tutto il discorso di Katsura, ciò che vuole cogliere e vedrà ciò che vuol vedere, filtrato dalla struttura logica della propria mentalità analitica.

Perciò è forse più semplice partire dalla fine e capire cosa l'occidente recepisca ed interpreti, innestandolo sulle proprie preesistenze culturali, dell'esperienza di Katsura.
E' il caso di ricordare che, già alla fine dell' '800, la grafica giapponese assume determinante importanza nella definizione del linguaggio estetico dell'occidente - si ricordi come Wright ne fosse appassionato - una volta giuntavi grazie alla diffusione dei mezzi riproduttivi tipografici ed entrata di prepotenza nelle arti visive attraverso i dipinti di Toulouse-Lautrec, Klimt, Gauguin, Degas, Masson, il Liberty e l'Art Nouveau.

Ma l'incontro con la Villa imperiale è un'esperienza interiore profonda e raffinata, perché il razionalismo funzionalista dell'Europa più colta e sofisticata vi riconosce sé stesso.
Mondrian, con il rigore morale del suo purismo calvinista, dalle pagine di "De Stijl" invoca il recupero della bidimensionalità della pittura, alla ricerca di una stilizzata semplificazione formale, che diviene francamente astratta nella definizione lineare del piano in geometriche partiture ortogonali: è puntuale il riscontro nelle nitide superfici della Villa, giocate su una griglia modulare ricca di significati simbolici, mossa da essenziali differenziazioni materiche.

Con la rinuncia all'illusionismo prospettico, la linearità che abolisce le suggestioni plastiche della materia, l'affermazione delle possibilità grafiche e cromatiche del piano, da Katsura viene la risposta architettonica alla sintesi astrattiva della forma che il neoplasticismo persegue con la scarna austerità di un discorso disciplinato oltre i limiti dell'umano, di una assolutezza che non richiede alcuna chiave interpretativa.

Mondrian è un sottile intellettuale tendente ad un ascetismo spesso sconfinante nel cerebralismo, è un pittore rigido, ripetitivo, per certi versi noioso, che dice "Nell'arte si cerca la bellezza, l'armonia, che mancano o si inseguono invano nella vita e nell'ambiente", mostrando così di focalizzare la sua analisi sulle corrispondenze tra istanze spirituali e soluzioni formali, in una sintesi di limpido ordine geometrico - con richiami al cubismo - senza alcun intervento soggettivo.
In effetti ogni quadro di Mondrian è frutto di un progetto dal rigore architettonico di estrema misura compositiva, sintetizzato nei suoi rettangoli e nelle precise campiture di colori primari.
Certamente le analogie formali con gli spazi rarefatti della Villa, con la levigata piattezza delle sue superfici sono evidenti, ma restano soprattutto, appunto, formali.

Mondrian - e con lui tutto il razionalismo europeo - non sembra cogliere appieno il fascino che in quella struttura deriva dalla equilibrata fusione degli opposti, il linguaggio tradizionale colto e gli accenti più francamente popolari, lo spazio interno nitidamente definito eppure libero di sconfinare confondendosi nell'esterno, l'armonica relazione tra costruito e naturale, la "pienezza" di significato del vuoto. E mentre il razionalismo europeo, che non prescinde dal dualismo cartesiano presente ancor oggi in tutti gli ambiti della cultura occidentale, insegue l'incorruttibile bellezza dell'armonia matematica e progetta nei termini di un evidente, totale controllo della ragione non solo l'edificio, ma anche lo spazio esterno, l'architettura delle case e dei giardini giapponesi nasconde sotto una apparente, spontanea naturalità il discorso filosofico della compenetrazione dei contrari e della loro confluenza, in virtù del mutamento, in un unitario ordine superiore.

E' lo spirito dell'oriente o, come dice Antonino Saggio, " È un sentire opposto a quello della nostra infanzia greca: alla permanenza, immobilità e solidità si sostituisce il mutamento: la sola legge eterna, pare insegnare l'arte e l'architettura giapponese". Da questo punto di vista, quello che ha tratto dalla conoscenza dell'architettura domestica giapponese - “tempio di suprema pulizia ed essenzialità” - dalla disarticolazione degli spazi scanditi dal gioco dei piani nella Villa di Katsura l'essenza più pregnante e nascosta resta Frank Lloyd Wright.

Con la sua intelligenza onnivora capace di assimilare ed elaborare ogni cultura, Wright capisce subito che la linearità, l'orizzontalismo, la simbiosi con la natura esterna, la flessibilità distributiva, la mobilità spaziale priva di organizzazione prospettica, continuamente rinnovata dallo scorrimento delle pareti, racchiudono in nuce i concetti base della sua architettura organica, di quell'idea dell'abitare che ha in testa e che pone al centro della progettazione, nella quale le proporzioni devono essere "umane in modo libero", le esigenze dell'uomo ed i suoi bisogni nel confronto con la natura, esplorandone tutte le possibilità di rapporto ed integrazione attraverso sapienti relazioni tra interno ed esterno.

La cultura razionalista occidentale, così come era impreparata a riconoscere appieno il messaggio di Katsura, così sarà impreparata ad accogliere quello dell'architettura organica, ma si potrebbe dire che la Villa rappresenti un anello di congiungimento nel quale le due correnti hanno intrecciato in parallelo i loro percorsi, sia pure per esiti diversi.

A Katsura l'occidente ha scoperto la magia dell'archetipo senza tempo e senza luogo, nel quale tutte le diversità si possono riconoscere, la magia di un'architettura che va oltre i suoi confini ed è fatta con lo spazio che configura, l'architettura che, per chi sa guardare , svela sempre " una novità del vecchio e un'archeologia del nuovo", metafora del ciclo dell'esistenza e del suo eterno rimando tra mente e natura, tra conoscenza ed amore, tra scienza e poesia.

* articolo aggiornato il 23/10/2012

link:
L’ultimo tassello di Mondrian

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