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Teotihuacán
di Vilma Torselli
pubblicato il 5/06/2007
Un impianto urbanistico grandioso, prototipo di tutte le successive città-santuario delle civiltà mesoamericane.
Teotihuacán, "Luogo degli Dei", gigantesca città sacra situata nella valle del Messico, dall'impianto urbanistico grandioso, giocato sull'asse del Viale dei morti e sul posizionamento strategico delle due piramidi dedicate al Sole ed alla Luna, prototipo di tutte le successive città-santuario delle civiltà mesoamericane: argomento affascinante e complesso, sia per una lettura prevalentemente tecnica, sia per le molte implicazioni fantastiche, esoteriche e leggendarie.
Iinfatti il mistero che avvolge sia l'origine che la fine della città induce ad un atteggiamento ambivalente che se da una parte stimola la curiosità, per altri versi condiziona l'indagine razionale, collocandosi questo luogo nei limiti dell'immaginario, in un altrove che compete forse alle divinità, agli extraterrestri, ad una stirpe di giganti, per citare le principali ipotesi che il mito, più che la storia, ci propone.

La primigenia culla dell'architettura è la Mesopotamia, la valle dell'Eden, il luogo in cui l'uomo, per la prima volta, dà una forma (architettonica) al suo desiderio di contatto con la divinità e costruisce il primo tempio della storia.
E' l'inizio di un rapporto stabilito con il sovrumano, un dialogo che l'uomo articolerà attraverso manifestazioni spettacolari, volumi massicci posizionati nello spazio, di dimensioni fino ad allora inconcepite, in grado di stupire e di sfidare : sono la ziggurat e la piramide, monumenti per l'eternità, prime architetture in pietra, prima documentazione di un preciso intento progettuale, al di fuori di ogni ciclo temporale, eterne, illimitatamente durature, in grado di dialogare alla pari con il divino: :"Grazie al suo vertice con cui simbolicamente tocca il cielo la piramide, costruita dall'uomo, si fonde ed anzi compete con l'eternità........" (Siegfried Giedion, "L'eterno presente: le origini dell'architettura", 1969).

Le costruzioni di Teotihuacán sono molto simili alla ziggurat mesopotamica, che Giedion definisce "la scala degli dei".
Tutti gli edifici piramidali hanno la loro origine nella primitiva forma dell'altare a gradini, sopraelevato rispetto al piano circostante secondo una precisa tendenza alla linea verticale ('culte en hauteur', come lo definisce Pierre Amiet), simbolo del potere dominante, principio di organizzazione spaziale che riflette il processo evolutivo dello spirito umano, la linea verticale che si dirige verso l'alto, aspirando ad un contatto con il cosmo, e verso il basso, come la forza di gravità, la caduta della pioggia e dei raggi del sole.
Le grandiose costruzioni di Teotihuacán, nate dal bisogno di uno spazio cerimoniale corrispondente alle esigenze organizzative di una classe sacerdotale detentrice di un potere che deve anche essere esibito, sono concepite come mimesi dell'altura naturale, della montagna che emerge dal caos, sulla quale innalzare il tempio o l'altare per renderlo più vicino al cielo. Terrazzate, sono accessibili e praticabili grazie alle volate monumentali di gradoni che scompongono il possente volume policromo e lo rendono penetrabile ai giochi chiaroscurali della luce, accentuati dall'uso della tecnica del talud-tablero, sono edifici dei vivi, determinanti nell'organicità urbana, fatti per essere frequentati, luoghi di richiamo e di raccolta.

Niente di più lontano dalla piramide egizia a cui solitamente vengono accostate tramite l'antica leggenda di Atlantide, mitica terra di cui parla anche Platone nel Timeo, mistero geografico o metafora dell'altrove, continente reale o mentale di pregnante significato simbolico.
La piramide egizia è, al contrario, una struttura solitaria, enigmatica, che non denuncia la sua funzione, che con le sue lisce superfici granitiche allontana, proclamando la sua inaccessibilità, non è praticabile, non è fatta per salirvi, è una costruzione per i morti.
Senza alcuna apparente continuità con la precedente architettura templare e le ziggurat, essa si afferma come presa di coscienza del principio di verticalità in termini astratti e concettuali, espresso con una purezza formale che non ha eguali nella storia dell'umanità, consapevole rinuncia ad ogni concessione estetica e decorativistica in nome della spoglia essenzialità di un'idea assoluta, la totale compressione dello spazio interno a favore di un pesante volume compatto immesso nello spazio esterno.

Le piramidi di Teotihuacán con i loro blocchi gradonati sono invece parte integrante di un percorso sacro che prende significato grazie alla loro presenza ed alla loro collocazione, rigorosamente e geometricamente definita, planimetricamente analoga a quella delle piramidi egizie (pare esistere un preciso disegno planetario che mette in rapporto Egitto e Messico, Giza e Teotihuacan), il che, certo, farebbe deporre per il fatto che queste antiche popolazioni avessero entrambe sofisticate e complesse conoscenze astronomiche e che le abbiano cristallizzate nella costruzione di grandi opere: ma le analogie sono abbondantemente superate da profonde diversità se parliamo di architettura, di urbanistica, di rapporti con l'intorno ed il paesaggio.

Vale la pena di ricordare ancora una volta che ciò che conta, in architettura, è la capacità di definire uno spazio entro il quale l'uomo colloca se stesso e le sue azioni, uno spazio interno: è una tesi magistralmente costruita nel secolo scorso da Bruno Zevi, l'inventore di questa chiave di lettura dell'architettura di tutti i tempi, uno spazio che, in senso lato, può essere anche uno spazio urbanistico, definito non da pareti ma da altri elementi, "ciò che interessa - dice Zevi - è la loro funzione come determinante di uno spazio racchiuso".
Da questo punto di vista, sicuramente Teotihuacán è uno straordinario esempio di architettura e di urbanistica, espressione di una creatività spaziale che permea la materia espandendosi dal suo interno (ove l'uso del pilastro come elemento costruttivo determina cavità ampie ed ariose), secondo una concezione spaziale centrifuga, divenendo creatività figurativa e definendo così la tipologia architettonica mesoamericana che influenzerà tutta la cultura seguente, non solo in America latina: da lì parte Frank Lloyd Wright quando concepisce la Ennis-Brown House di Los Angeles pensando al tempio maya, con evidenti richiami formali entro un complesso vocabolario tecnologico ed un sistema ornamentale basato su un pesante pattern scultoreo di blocchi di calcestruzzo, sia all'interno che all'esterno dell'edificio.

A Teotihuacán , la ricchezza della decorazione genera volumi di grande potenza plastica che modellano lo spazio e lo affidano ad un'urbanistica essenziale, fatta di angoli retti ed intersezioni geometriche in un ambiente dalle forti caratteristiche rituali, traccia di una visione cosmologico-ideologica che tutto riassume, uomini e cose, materia, spazio, urbanistica, architettura: la corrispondenza dell'urbanistica e dell'architettura a fenomeni astronomico-calendariali, tipica di ogni centro della Mesoamerica è dunque la logica conseguenza di una concezione universale che presume una profonda interconnessione fra tutti i diversi piani del reale.
E', questo, un concetto di straordinaria modernità se, come dice Antonino Saggio, anche due architetti contemporanei, uno statunitense del Missouri, progettista dell'Art Museum di Tacoma, appena inaugurato, l'altro, messicano nato in Polonia, autore delle opere più emblematiche del suo paese, "Antoine Predock e Abraham Zabludovsky ripensano al sacro dialogo tra paesaggio e costruzione dell'architettura mesoamericana".

A Teotihuacán questo dialogo si intreccia con una concezione di spazio urbanistico dove l'impronta monumentale delle costruzioni piramidali riecheggia con perfetta sintonia l'intorno ambientale, un suggestivo paesaggio di orizzonti montagnosi e di vegetazione spoglia, dai profili massicci ed imponenti.
Giunge da lontano, quindi, da un passato in parte oscuro ed ignoto, l'attenzione che la moderna progettazione pone nella configurazione degli spazi interni in relazione a quelli esterni, legati da una dialettica fra compresenze interagenti in un sistema globale in cui il paesaggio diviene la "metafora fondamentale dell'architettura": il percorso architettonico di Teotihuacán diventa così una sorta di in-between in cui il paesaggio costruito si insinua in quello naturale sintetizzando una identità ambientale, un paesaggio antropico in cui va in scena la storia.

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