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Art Decò District di Miami
di Vilma Torselli
pubblicato il 31/05/2007 |
Scenografica interpretazione
delle Arts Dècoratifs nell'Art Decò americano
di Morris Lapidus. |
Parlare di Art Dèco (o Arts Décoratifs) in America vuol dire,
ancora una volta, parlare di un fenomeno culturale di importazione
europea che trova nel nuovo continente immediato favore ed efficienti
canali di diffusione.
E' un successo di popolarità che si verifica anche in
Europa, dove il Liberty, o stile floreale, o Art Nouveau, o
Jugenstil, o Sezession comunque lo si definisca a seconda della
nazione in cui si sviluppa, attraversa indenne le istanze funzionaliste,
percorre trasversalmente tutte le arti visive e addirittura
genera ex-novo forme d'arte minori, attente alle tematiche della
modernità e della contemporaneità: sono la grafica,
l'arredo, il disegno dell'oggettistica e del prodotto di serie,
che determineranno la nascita del moderno concetto di design industriale (proprio dal negozio di oggetti di design a Londra,
"Liberty & Co" questo stile deriva il suo nome).
Per trovare un significativo precedente dobbiamo rifarci alla
figura dell'intellettuale inglese William Morris (1834-1896), preoccupato
dal livellamento del gusto estetico indotto dall'industrializzazione,
sostenitore della coralità del prodotto artistico, anche
architettonico, frutto di lavoro socialistico e collettivo,
ed ai movimenti tardo-ottocenteschi inglesi 'Arts and Crafts', che vogliono
sostituire ad un concetto di storia come continuità interrotta
dall'azione di geni ed eroi solitari che ne sconvolgono il corso,
il concetto di fenomeno che si sviluppa per l'opera di forze
collettive, anonime, indifferenziate e coordinate.
E' la rivalutazione del lavoro artigianale, della figura dell'operaio-esecutore,
dell'umile lavoratore, artefice e non artista, lo stesso che
siglava il capitello della cattedrale gotica o firmava il basamento
di una colonna romanica (la cattedrale gotica è un esempio
perfetto di lavoro corale, e infatti Morris deriva le sue teorie
dal medioevo, dal romanico e dal gotico).
Era quindi necessario ripristinare un legame con la tradizione
dell'artigianato e delle arti decorative, per giungere poi ad
una soddisfacente mediazione tra artigianato e nascente industrializzazione attraverso un nuovo stile, il Liberty, appunto.
In funzione di un equivoco evoluzionistico dei cicli artistici,
il Liberty è visto spesso, preconcettualmente, in funzione
della sua relazione con il periodo razionalista che lo seguirà,
quasi una fase di preparazione alla nascita della nuova, vera
architettura moderna, atteggiamento tanto diffuso quanto antistorico,
perché nella storia non vi sono infanzia e vecchiaia,
ma continua evoluzione culturale.
In verità la sofisticata creatività liberty rappresenta
una rivoluzione estetica che va ben al di là del suo
carattere decorativistico e formale ed è sintomo di profonde
trasformazioni sociali che l'Espressionismo porterà alla
luce in modo drammatico, segnando traumaticamente uno dei passaggi
più conflittuali della storia non solo dell'arte.
Se in Italia il Liberty privilegia una raffinata ricerca estetica
in un clima borghese sonnolento e immobilista, al contrario
in Austria la Secessione viennese è un movimento artistico-culturale
vitale, vasto e potente, all'interno di una società colta
e decadente che da lì a poco crollerà nel baratro
della dissoluzione dell'impero austro-ungarico, in Francia ed
in Belgio l'Art Nouveau sviluppa un complesso linguaggio formale
che esaspera drammaticamente elementi di ispirazione naturalistica
nei progetti di Victor Horta, Henry Van de Velde, Charles Mackintosh,
in Spagna, dove si parla di Modernismo, Gaudì crea le
sue straordinarie architetture impregnate di Espressionismo.
L'Art Dèco in America deve fare i conti con due importanti
filoni culturali, un pionierismo tendente allo sperimentalismo
e un pragmatismo utilitaristico incurante di inutili formalismi
("form follows function"), che ritroveremo nell'architettura
organica di Frank Lloyd Wrigt, la vera risposta americana al
Liberty europeo.
Sono queste, seppure brutalmente sintetizzate, le importanti
premesse di cui si deve tenere conto nel valutare il fenomeno
della diffusione del Liberty non solo in America.
Dai primi anni del novecento in poi, le Esposizioni Internazionali
sono una straordinaria vetrina ed un insostituibile punto di
incontro per la cultura del tempo, come dimostra la partecipazione
di Alvar Aalto, Eero Saarinen, Le Corbusier e tanti altri artisti,
e proprio in una simile circostanza, alla grande Exposition
Internationale des Arts Dècoratifs et Industriels, a
Parigi, nel 1925, gli architetti e i designers americani si
incontrano con il Liberty europeo, ribattezzato più genericamente
Art Dèco.
All'epoca l'America si definisce già come sede di una
cultura tecnicistica e industrializzata che sa usare materiali
nuovi come l'acciaio (già sperimentato nella ricostruzione
di Chicago dopo l'incendio del 1871) ed il vetro, di cui conosce
le tecniche di fabbricazione per trarne prestazioni impensabili:
così il Dèco europeo diventa Dèco americano,
ripulisce le linee, che diventano più essenziali e geometriche,
le adatta ai nuovi materiali, ai nuovi processi produttivi e
le rivisita alla luce della originaria cultura meso-americana.
Sono in stile Art Dèco molti edifici statunitensi, a
Chicago, a New York (il celebre Chrysler Building, inaugurato
nel 1930), a Denver, a Phoenix, a Seattle, a Los Angeles e a
Miami Beach.
Questi i motivi di carattere generale ai quali si deve il fatto che Miami sia la città a più alta concentrazione
di edifici Art Dèco, con esiti del tutto eccezionali
sul piano urbanistico, architettonico, ambientale.
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L'Art Deco District' di Miami, costruito alla fine degli anni
'30, ha la caratteristica di essere stato concepito come un
progetto di pianificazione molto omogeneo, sia perché
realizzato nel suo complesso in termini di tempo relativamente
brevi, sia perché scaturito dall'opera di pochi architetti
stilisticamente affini e in gran parte dall'opera di un solo
architetto, Morris Lapidus, nato a Odessa, figlio di ebrei estoni e polacchi emigrati a New York poco dopo la sua nascita, a cui si devono gli edifici più
significativi, in genere sontuosi hotels come l'Eden Roc.
L'attività di questo discusso architetto,
che periodicamente si è cercato invano di riabilitare,
si adegua perfettamente al motto che egli stesso ha usato per
definirsi, "troppo non è abbastanza", in ironica polemica con il "Less is more" di Mies van der Rohe.
La sua interpretazione dell'Art Dèco è scenografica,
espressa in elementi fantastici, aperture casuali, pareti curvate
e colonne sagomate, illuminazioni teatrali e artificioso decorativismo.
E' normale che ogni manifestazione culturale di importazione
venga innestata sulle preesistenze autoctone per giungere ad
una sintesi e ad una elaborazione originali, però, in questo caso, l'originaria matrice europea è stata abbondantemente
travisata in una rivisitazione certo personale, in parte kitsch,
per certi versi folkloristica, fantasiosamente ibrida, seppure
piacevolmente fiabesca e vagamente surreale.
Gli architetti di Miami colgono quella che Wright chiama "l'occasione
moderna dell'America" nella imitazione superficiale degli
stilemi di una cultura estranea, senza capirne le motivazioni
profonde e apparentemente senza capire appieno neppure le istanze
tecnicistiche e funzionalistiche della loro stessa cultura.
L'obiettivo certamente raggiunto è stato quello di trasformare
"la spiaggia da un posto per nuotare ad un posto da
vedere", con una attenzione squisitamente professionale
alla destinazione d'uso di una città particolare, aperta,
ospitale, che privilegia le strutture ricettive e commerciali.
Va rilevata un'attenzione specifica alla paesaggistica, al rapporto
architettura-ambiente valutato con particolare
sensibilità, con risultati di felice integrazione anche
cromatica nella scelta di una gamma di colori pastello audaci e 'zuccherosi' che risulterebbero assurdi in qualunque altra città del mondo, contribuendo a fare di Miami una città fortemente attrattiva per il turismo di tutto il mondo, dando ragione a Lapidus che diceva: "I critici odiavano il mio lavoro, ma la gente lo amava".
* articolo aggiornato il 17/06/2013
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