Se la possibilità di riprodurre
facilmente e fedelmente in immagini la realtà è
stata la rivoluzione più radicale che abbia sconvolto
la cultura del ‘900, se la nostra società, dopo
l’invenzione della fotografia e con l’avvento
di internet, si è gradualmente ed inevitabilmente connotata
come la ‘società dell’immagine’,
non era tuttavia prevedibile che anche l’architettura
imboccasse questa strada impadronendosi di una strategia che
sembrava appannaggio della sola arte visiva.
Un mare di immagini che chiedono attenzione ed invadono i
nostri occhi e le nostre menti senza chiedere alcun sforzo
di decifrazione, pretende ed ottiene di raccontaci una realtà
inevitabilmente parziale, manipolata, interpretata, scelta
per noi, senza darci alcuna possibilità di dibattito,
perché , come dice ancora Christian de Portzamparc,
“Non possiamo discutere con un’immagine. Non
possiamo ragionarci.”.
L’utilizzo dell'immagine attiene alla struttura stessa
dell'esercizio di ogni potere e non rappresenta un fatto accessorio
o occasionale, il potere ha bisogno dell’immagine per
comunicare una precisa ‘immagine’ di sè,
così l’immagine dell’architettura di oggi
tutela l’immagine di un potere di recente affermazione
in rapida crescita: quello dell’archistar.
Proprio il primato dell’immagine, infatti, assieme ad
una sempre più diffusa interdisciplinarità che
determina inevitabili contaminazioni e reciproche influenze
tra architettura, arte, design, moda, pubblicità e
media ha reso possibile la nascita della figura dell’archistar,
un personaggio a metà tra l’artista e l’architetto,
tra l’intellettuale e il manager, tra il progettista
e l’uomo di spettacolo, un protagonista dello showbusiness al quale si è indecisi se assegnare il Pritzker Prize
o il premio Oscar.
L’archistar infatti usa gli stessi linguaggi comunicativi
e gli stessi espedienti spettacolari del cinema, non a caso
Frank Gehry affida alla macchina da presa nientemeno che di
Sydney Pollack la produzione di un raffinato spot pubblicitario
che lo riprende al lavoro: ''Frank Gehry: Creatore di
Sogni''.
Il fatto che oggi il mondo, per l’affermarsi di una
aristocrazia anziché di una democrazia globale, sia
politicamente ed economicamente organizzato (o globalizzato)
in modo che relativamente pochi centri di potere, in relativamente
poche città del mondo, possano determinarne il destino,
ha parallelamente favorito il diffondersi di un’architettura
dal significato totemico concretizzata in un linguaggio che
per essere di valenza universale deve anche essere inevitabilmente
generico.
E’ quella che Marc Augé definisce architettura
della “singolarità intesa come produzione
di opere uniche, ma anche in quanto lavori firmati da artisti-architetti.
Una singolarità che si pone come estranea al contesto
locale e che genera un fenomeno turistico planetario in cui
le persone si muovono non verso le città, per una loro
specificità, ma verso la singolarità dell'operato
di artisti-architetti”, le archistar, appunto,
che progettano in ambiti non specifici la loro architettura
autoreferenziale e decontestuale, vivente di vita autonoma.
Per quanto si tratti di un fenomeno legato alla surmodernité,
per la verità ci sono già state altre isolate
ed autorevoli archistar, Oscar Neymaier, che ancora adesso
fa notizia con le sue clamorose esternazioni, Frank Lloyd
Wright, grande comunicatore, prolifico autore di numerosissime
opere (pare circa mille progetti) e di una marea di scritti
al limite della logorrea, o l’insospettabile Le Corbusier che al suo arrivo in America si dispiacque parecchio per la
scarsa presenza di giornalisti ad accoglierlo, tuttavia erano
tempi in cui l’architetto diventava famoso per il risultato
prodotto, che importava assai più del suo artefice:
non era ancora nata l’architettura d’autore.
La quale trae dalla rappresentazione per immagini (fotografiche
o da sofisticati processi di rendering) il massimo vantaggio
perché è, prima di tutto, un’architettura
da guardare, un’architettura narcisistica ed autorappresentativa
che riflette sé stessa, un’architettura spesso
vuotamente estetizzante che dirige il suo potenziale comunicativo
inter e sovra-culturale a “cittadini del mondo”,
anche di quello più geograficamente lontano, nei quali
produce emozioni che non hanno nulla a che vedere con quelle
degli abitanti locali, non condividendone il contesto e la
storia.
“Tutto ciò ha dato vita a un’estetica
della distanza, un’estetica capace di restituirci un’immagine
nuova del mondo. Infatti, la costruzione di grattacieli e
la possibilità di scattare delle foto satellitari,
per esempio, ci hanno permesso di osservare il mondo da lontano
…..” (Elisa Paltrinieri su Cultframe, “Marc
Augé, L’immaginario della città, dalla
storia alla globalizzazione”).
Viviamo infatti. in un mondo in cui, grazie alla tecnologia,
è radicalmente cambiato il modo di rappresentare lo
spazio costruito ed abbiamo la possibilità di vedere
l’architettura, o meglio la sua immagine, come mai l’abbiamo
vista e come mai la vedrebbe chi la abita, la usa, la occupa,
la fruisce, un mondo in cui come osserva Augé, “….
emerge un'abitudine crescente a guardare alle cose dall'alto
o dalla distanza, il che spesso falsa la percezione di ciò
che sta nell'immagine, per cui anche cose molto brutte possono
apparire belle…...”
Oggi l’altrove è sempre meno distante, luoghi,
città, eventi e uomini, catturati in tempo reale dal
monitor del computer, dallo schermo cinematografico, dal display
dei cellulari, si fanno prossimi e familiari, mentre il tempo
e lo spazio della lontananza si azzerano grazie alla magia
dell’immagine.
C’è una sostanziale differenza tra architettura
ed immagine dell’architettura, un irrisolto conflitto,
per parafrasare Jacques Herzog/Jeff Wall, tra immagini d’architettura
e architettura d’immagini, tuttavia ciò che pare
certo è che l’architettura rischia di diventare
l’interfaccia tra vita reale e vita virtuale, anziché
fungere da tramite tra mondo naturale e mondo antropico, ruolo
che la storia le assegna da sempre.
Abitanti involontari di uno scintillante Truman Show, ci stiamo
dimenticando che l’architettura ha memoria e vissuto,
ma anche corpo, suono, colore, odore, durezza, trasparenza,
fisicità: " ..... è solo quando ci
troviamo fisicamente nel luogo che possiamo avere esperienza
della verità del luogo……." ,
una verità sperimentata e toccata con mano, che l'immagine
non saprà darci mai.
link:
Uno
spettro si aggira per l'Europa......
Architettura da amare
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