L’urbanistica moderna, specie in
territori come quello italiano ricchi di preesistenze di
pregio, fortemente caratterizzanti la struttura planimetrica
e l’insieme architettonico-ambientale-paesaggistico,
si trova nella duplice difficoltà sia di rispettare
l’esistente, sia di esprimersi in modo autonomo e
adeguato ai tempi.
Il primo approccio alla lettura dell’ambiente urbano
si focalizza solitamente sulla ricerca dell’ordine
e del bello, riconosciuti come valori prioritari da individuare
e rispettare, tracciando in modo restrittivo e categorico
i binari di ogni ricerca preliminare. Ciò comporta
quasi sempre un tentativo costante di omologazione per ricavare
dall’osservazione dell’esistente i criteri formativi
ricorrenti e svilupparli ulteriormente in una progettazione
conforme.
Ora, a giudicare dalle difficoltà e dagli errori
che da questa pratica derivano, si può a buona ragione
pensare che la via da seguire sia un’altra, non quella
della conoscenza, sulla quale ci ha fino ad oggi sospinto
il nostro razionalismo cartesiano, ma quella dello smarrimento,
dell’abbandono consapevole di un percorso ragionato
a favore di una deriva sperimentale e spontanea, di una
esplorazione emozionale degli spazi urbani percorsi secondo
direzioni accidentali, osservati nei particolari spesso
dimenticati, alla scoperta dei complessi rapporti tra ambiente
e psiche. E lasciarsi andare non più, o non solo,
lungo i percorsi viari, il tragitto noto tra casa e ufficio,
casa e scuola ecc., ma perdersi su inedite rotte inesplorate,
come se ci si trovasse in una città sconosciuta senza
le informazioni necessarie per muoverci.
Di questa visione situazionista dell’urbanistica ci
sono inequivocabili echi nelle teorie di Augé, di
Bauman, di Baudrillard, di Ritzer, nelle elaborazioni di
Koolhaas e Tschumi, di quanti, nell’analisi dell’ambiente
antropico, si muovono secondo i tracciati irrazionali della
psicogeografia, alla ricerca di indizi, connessioni e corrispondenze
tra psiche e territorio, scardinando ogni rapporto passivo
tra individuo e città a favore di un rapporto attivo
e creativo nel quale l’ambiente urbano si può
leggere come un insieme di segni diversi, ma in grado, tutti
nel complesso, di instaurare una comunicazione lessicale
e ideografica.
E’ chiaro come una lettura emozionale dell’ambiente
urbano sia in grado di superare frammentarietà e
contrapposizioni linguistiche e stilistiche, poiché
non si regge su regole canonizzate che possono essere contraddette
o adottate, ma sul "bouleversement" dei
luoghi (il Manifeste pour le bouleversement de l’architecture
di Isidore Isou viene pubblicato nel 1968), dépaysement
e détournement indotti dalla ‘deriva’,
una sorta di passeggiata libera e casuale senza fisso itinerario
che apre alla fisicità percettiva non solo dell’esistente,
ma anche dell’immaginario e dell’ideale, ad
una fruizione sensoriale ed estetica dell’ambiente
in cui si muove il corpo.
“…… Detournement è la libera
appropriazione delle creazioni altrui. Detournement è
decontestualizzazione. Va da sé che uno non è
limitato al correggere lavori esistenti o integrare diversi
frammenti di lavori scaduti in una nuova opera: si può
altresì alterare il significato di questi frammenti
in qualunque modo, lasciando gli imbecilli al loro profuso
mantenimento delle "virgolette"…..”
(da Bauhaus immaginista, Alba, 1955, su Antitesi, "Debord
e la Psicogeografia")
Una città senza ‘virgolette’, senza ‘specialisti’
della cultura, critici, esperti, senza classificazioni,
senza adesioni stilistiche e tipologiche, dove non esistono
le categorie di antico e moderno, vecchio e nuovo, conservazione
e antitradizionalismo, per un’urbanistica entropica
a identità variabile, che si sottrae all’ordine
e trova il suo instabile equilibrio nelle bio-diversità
compatibili delle intelligenze, della potenzialità
e della creatività degli uomini.
Senza barattare il progresso con la tranquillità,
con tutti i rischi che questo comporta, perché "Noi
non vogliamo un mondo dove la garanzia di non morire di
fame si scambia contro il rischio di morire di noia"
(Raoul Vaneigem)
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Di seguito un ampio commento
a questo scritto da parte di Pietro
Pagliardini |