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Un commento di Pietro Pagliardini
Tu mi inviti a formulare una mia opinione sulla tua ipotesi di città e mi spingi in un campo a me ignoto ed anche ostile, quello della psiche che rimanda poi, alla fine, all’inconscio.
La tua lettura situazionista della città mi lascia nella nebbia, come sempre mi accade quando non vedo in una “situazione” una via d’uscita, uno sbocco nel reale, un appiglio ad un comportamento o ad una azione.

Tu citi Roberto Grandi e io sono andato a leggere quel testo. E c’è scritto, ad un certo punto:
"Sono cinque le “aporie urbane” evidenziate da Acebillo: la localizzazione determinista dello zoning (che irrigidisce le possibilità insediative), l’impatto negativo delle infrastrutture pesanti (che andrebbero allontanate dalle città o celate), la bassa densità (che equivale alla difficoltà di ottimizzare i servizi, all’autoritarismo territoriale), il grande spreco d’energia (dovuta anche al malfunzionamento urbano), l’incompatibilità manifestata tra le infrastrutture ed il disegno urbano (da cui le difficoltà d’intermodalità). Altri aspetti critici appaiono, sempre secondo il relatore, l’abuso della storia nella contemporaneità (che fa preferire di gran lunga la conservazione sulla trasformazione del patrimonio), l’abuso dell’high-tech (che rende alteri gli interventi architettonici, mentre sarebbe da preferire una tecnologia si sofisticata ma ben dissimulata), il “paesaggismo epidermico semplicistico” (che vede il territorio come soggetto romantico da preservare in maniera a-critica nei confronti della contemporaneità), il concettualismo a-funzionale (che tende a rendere indifferenti gli interventi architettonici sia al contesto che al contenuto)."
Detta così sottoscrivo tutto. Come sottoscrivo la trovata della lettura ipertestuale dei luoghi, probabilmente, anzi sicuramente, in un’accezione diversa dalla tua.

L’ipertesto ti consente di fare collegamenti in ogni direzione e di “saltare di palo in frasca”, detta alla buona. E’, al pari del situazionismo, come ho letto poco fa su Wikipedia, una forma di lettura veloce, un modo consumistico, dico io, di conoscere un po’ di tutto del reale, la deriva insomma, ed è contemporaneamente un modo collettivo di azione, compiuta da soggetti diversi. Non a caso, c’è scritto sempre su Wikipedia che Wikipedia stessa è una forma di situazionismo, visto i contributi volontari e controllati dal basso, anzi orizzontali, di accumulo di conoscenza.

Se trasferisco questo concetto alla città, non addentrandomi nello “smarrimento, dell’abbandono consapevole di un percorso ragionato a favore di una deriva sperimentale e spontanea, di una esplorazione emozionale degli spazi urbani percorsi secondo direzioni accidentali, osservati nei particolari spesso dimenticati, alla scoperta dei complessi rapporti tra ambiente e psiche.”, riesco a intravedere una città composta, anzi scomposta, di frammenti diversi, ognuno capace di suscitare emozioni, sensazioni, percezioni diverse. Intravedo, cioè, una città spontanea non solo nella fruizione, che è fatto individuale, ma nella sua formazione e crescita, che è fatto collettivo.
Vedo in questo, più che intravedere, qualcosa di molto simile alle nostre città contemporanee ma con la grande, sostanziale differenza che ogni edificio dovrebbe essere significativo, dovrebbe essere un’architettura, dovrebbe, fammelo usare questo termine, bello non nel senso dell’estetica classica ma nel senso che ognuno di questi dovrebbe essere la rappresentazione di una ricerca, se non di un risultato, di qualcosa capace di suscitare emozioni.

Un’interpretazione o meglio una speranza intrigante e utopica. Ma direi anche non realizzabile perché presuppone, contrariamente alle apparenze, una società omogenea e orientata tutta in una direzione, cioè una società organica (un’organicità fondata sulla ricerca, sulla scienza, sulla tecno-scienza), cioè una società a mio avviso terribile ma ordinata, cioè terribile perché intrinsecamente e spontaneamente ordinata e, aggiungo di mio, ordinata verso un fine che porta ad una fine, alla morte dell’umanità (nel senso di essere uomo). Ma la nostra società non è affatto organica, è anzi caotica, disomogenea, fluida, direbbe Baumann (ti scavalco a sinistra, come vedi) e allora, sempre come dice Baumann, è necessario che l’architetto lavori alla piccola scala, che è quella che ha speranza di dominare, e lavori (e questo non lo dice Baumann) con la coscienza critica, con l’intenzionalità e non con la spontaneità. Di qui il progetto.

Come vedi, secondo questo ragionamento, non c’è via d’uscita: o si guarda indietro o ci teniamo quello che c’è ora, cioè una città piena di sorprese ma tutte molto sgradevoli e molto poco stimolanti, salvo poche eccezioni, perché nella società aperta la spontaneità è solo disordine e il tecnico, l’esperto è colui che è capace di ricreare un ordine intenzionale.
Ma l’ipertesto è anche la capacità di poter procedere in un luogo senza indicazioni precise, come dici te, cioè è la possibilità di girare a vuoto per la città senza conoscerla, senza sapere cosa ti aspetta dietro l’angolo, ma di non perdersi, perché c’è sempre il tasto Home: questa è la caratteristica della città storica che ad ogni passo ti mostra qualcosa di nuovo e diverso anche se con caratteri di omogeneità con quello di due passi prima, che non ti lascia mai in un vicolo cieco ma sempre ti consente, per la sua spontanea permeabilità, di ritornare allo stesso punto. E’ una città figlia di una società organica per ragioni sociali ma soprattutto per una visione unitaria dell’universo. Quelle condizioni sociali non esistono e non sono riproducibili, ne è però riproducibile il risultato che, per l’appunto, consente l’uso della città come in un ipertesto.

Torno ora a Roberto Grandi che, verso la fine, dice:”Il Rinascimento ha rappresentato un’esperienza di lavoro sulla città formidabile: si sono ricostruite e riqualificate le città provenendo da un lungo periodo di forte crisi, semplicemente sovrapponendosi al passato, procedendo per stratificazioni, e questo dovrebbe essere preso a modello per i processi di trasformazione che ci aspettano”.
E anche questa è affermazione teoricamente condivisibile. Se non fosse che commenta questa frase con questa foto:
E allora qui ritorna in campo la psicanalisi ed esco dal campo io.
Come posso commentare queste foto dell’albergo fallico che però l’autore stesso nega essere un fallo!
Sarà lui un bugiardo oppure ha veramente avuto un’infanzia problematica?
E come si fa a saperlo? Chi è capace di portare sul banco dei testimoni l’inconscio e farlo condannare o assolvere?
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