Se invece, con visione eminentemente
storicista, si considera l’habitat come una realtà
già consolidata, anche se per certi versi astratta,
con sue peculiari caratteristiche, ogni nuovo intervento
deve trarre le sue direttive dall’esterno, dal contesto,
dall’intorno, inserendosi nella storia dei luoghi
e rispettandone le preesistenze.
Operare una scelta impone all’architetto moderno il
compimento di un’analisi dello stato di fatto e la
formulazione di un’ipotesi sul metodo di intervento,
al fine di tracciare le ‘regole’ di una progettazione
che sia la migliore delle progettazioni possibili, sapendo
che un’opzione escluderà l’altra, ma
sapendo anche che ciò che è destinato all’uomo
non si può inquadrare in dicotomie drastiche e che
ogni uomo è diverso dagli altri e non tutti i valori
sono condivisibili, a maggior ragione oggi, nell'epoca della
'liquidità' sociale.
L’arte moderna, ancora una volta, dà un indiretto
apporto al dilemma e lo fa con una interessante analisi
dello stato della cultura globale nell’epoca dell’informazione
negli scritti di Nicolas Bourriaud ("Postproduction.
Come l'arte riprogramma il mondo", 2004).
“gli artisti programmano le forme più che
comporle” scrive Bourriaud, e l’arte della
postproduzione è in realtà una sorta di riappropriazione
di oggetti già esistenti reinventati a nuovi usi,
è riciclaggio, détournement, hacking che svuotano
il concetto dell’originalità ad ogni costo,
della creazione obbligatoria, ricorrendo ad una pratica
artistica che pare l’unica in grado di contrastare
la confusione della cultura globale nell'era dell'informazione.
Ri-editando linguaggi estetici e teorici di diversa provenienza,
l’arte perviene così ad una ‘interpretazione’
anzichè ad una ‘produzione’ di nuove
forme, elaborando “protocolli alternativi per
rappresentazioni e strutture narrative già esistenti“
(Stefano Chiodi, Alias n.31 / 08-2005).
L’architettura moderna sta dimostrando che il nuovo
ad ogni costo, la singolarità, il prodotto personalizzato
non fanno che incrementare il livello del caos, disperdendo
in un indifferenziato babelismo il patrimonio culturale
esistente che abbiamo a disposizione. Non è assurdo
pensare, invece, che l’architetto moderno debba compiere
una sorta di navigazione culturale, essere ciò che
Bourriaud definisce “semionauta”, un
esploratore dei segni della cultura perché “ogni
opera deriva da uno scenario che l’artista proietta
sulla cultura, considerata a sua volta come cornice narrativa
che produce nuovi possibili scenari in un movimento senza
fine.”
I luoghi della vita, e l’architettura è uno
di questi, sono scenari narrativi abitati da forme, che
possiamo interpretare, smontare, rimontare per “rivelare
le strutture invisibili dell’apparato ideologico”,
decostruendo i 'sistemi di rappresentazione' del mondo che
ci circonda, perché “ciò che abbiamo
l’abitudine di chiamare “realtà”
è un montaggio, e ci si chiede se, quello in cui
viviamo, sia l’unico possibile …….
“
Bourriaud ci esorta a non chiederci “che fare
di nuovo”, ma “che fare con quel che
abbiamo a disposizione”, nella consapevolezza
che nulla ha un senso definitivo, che la realtà stessa
non è definitiva, che i significati non sono permanenti,
che si può inventare un dialogo con la storia e recuperare
'tutti i nostri ieri', per un ritorno al futuro o ad un
“Futuro passato” (Reinhart Koselleck
, Per una semantica dei tempi storici, 2008) per
capire che ogni evento si colloca in un tutto e cogliere
l’indissolubile dialettica che lega passato e futuro
nella definizione di ogni momento della nostra vita.
Di seguito "Remix
2", un articolo di Pietro Pagliardini
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link:
Arte
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