Durante lo svolgimento di una tavola rotonda,
definita dagli interessati “tavola ispirata”,
Giulio Calegari, poliedrica figura di architetto, artista,
responsabile della sezione di Paleontologia del Museo Civico
di Storia Naturale di Milano, in un suo suo ‘momento
performativo’ sul tema ‘ubicazioni transitorie’
, rilasciava ad alcune persone tra il pubblico presente
all’evento un certificato di presenza sulla Terra,
documentando il fatto con rilevamento satellitare GPS di
quel luogo.
Ecco, devo ammettere che mi piacerebbe avere un attestato
di presenza in quel particolare luogo della terra che è
Piazza del Campo a Siena, Toscana, Italia, per ripetermi,
tutte le volte che lo rivedessi, “io c’ero,
in quel momento ero in quel luogo”.
Ma cos’è un luogo? E' una realtà geografica o psicologica, materiale o astratta ed emotiva? E' uno spazio
fisico o culturale, antropico o naturale? E perché
un luogo è migliore di un altro?
Può essere d'aiuto ricordare Heidegger che rileva
come “ il significato originario di Ort –
la parola tedesca per dire ‘luogo’ – rinvii
alla punta di una lancia …… Il Luogo è
quel punto di convergenza, di riunione e di raccoglimento
[Versammlung] in cui, come nella punta acuminata di una
lancia, in virtù di una irresistibile attrazione,
lo spazio si concentra….. Il Luogo dunque custodisce
e salvaguarda il soggiornare dell’uomo sulla terra
….. ” (Caterina Resta , La
perdita del luogo).
Molti sono i luoghi che custodiscono le tracce del passaggio
dell’uomo su questa terra, molte, specie in Italia,
le piazze belle, più o meno antiche, più o
meno conservate, contornate da pregevoli architetture, espressive
dei rapporti umani della comunità che le ha costruite
nel tempo, coerenti con l’intorno, il territorio,
i materiali del luogo ecc., che non hanno tuttavia la magia
di quella piazza, il suo potere attrattivo.
Perché? Che ci sia sotto lo zampino del solito genius
loci o il solito giochetto della sezione aurea, la geometria
dei frattali, la sectio divina.......
Basterebbe? No, credo, altrimenti non sarebbe così
difficile fare una bella piazza.
“ ….. l'estetica è la madre dell'etica.
Le categorie di buono e cattivo sono, in primo luogo e soprattutto,
categorie estetiche che precedono le categorie del bene
e del male... “, così almeno la pensa un
letterato premio Nobel, Iosif Brodskij.
Rovesciando il concetto
ed ammesso che mutando l’ordine dei fattori il risultato
non cambi, si potrebbe provare a dire che quella piazza
ha un contenuto etico, intendendo con ciò l’aderenza
massima e totale all’ethos degli abitanti,
talmente elevato da risultare automaticamente bella.
Ma anche questo non basterebbe.
Si potrebbe provare anche a dire che quella piazza materializza
una sorta di categoria dello spirito, una pura astrazione,
una "metafora epistemologica" , una delle forme
ideali (in senso platonico) in cui lo spirito dei tempi si manifesta e nella quale, al di là del mutare dei
contesti socio-culturali, l’uomo, quello di ieri come
quello di oggi, si confronta e si riconosce.
Potrebbe essere una risposta, anche se facile, se persino
un turista giapponese che venisse portato con gli occhi
bendati in quella piazza, ignorando la nostra cultura, le
caratteristiche ambientali della Toscana, le tradizioni,
gli usi e i costumi, appena in grado di vedere rimarrebbe
comunque ammirato da tanta bellezza, trovando, seppure straniero
avulso dalla nostra storia, dentro di sé e del suo
solo essere uomo le motivazioni di quell’ammirazione
Tutte queste considerazioni non soddisfano tuttavia pienamente
la domanda iniziale: perché proprio quella piazza?
Ancora una volta, come tutte le volte in cui i processi
razionali si dimostrano insufficienti, ci soccorre l’arte,
nelle parole di un poeta, Friedrich Hölderlin, quando
scrive: “….poeticamente, abita l’uomo
su questa terra….” sulle quali, in un suo
magistrale saggio, medita Martin Heidegger: “…è
il poetare che, in primissimo luogo, rende l'abitare un
abitare. Poetare è l'autentico far abitare…."
" "abitare poeticamente" significa allora
essere toccato dalla vicinanza dell'essenza delle cose.
Questa vicinanza però non ci proviene da una conquista;
al contrario è un dono. E' ciò che si ottiene
avvicinandoci umilmente all'essenza vera delle cose. Attraverso
la Poesia, per esempio, o l'Arte. La verità che si
apre nella poesia è infatti qualcosa che ci proviene
(non a caso Heidegger parla continuamente di ascolto della
parola poetica) e che noi non costruiamo. E' un dono, insomma,
esattamente come l'ambiente nel quale esistiamo: noi costruiamo
nell'ambiente, ma l'ambiente non è ciò che
costruiamo.” (Alessandro Tempi, Abitare
poeticamente l’ambiente)
Ludwig Wittgenstein, nella sua folle genialità, sostiene
la necessità di imparare a ‘vedere’,
ad utilizzare quella che lui chiama “arte dello sguardo”
, così come si impara a leggere, e paragona la figura
dell’architetto a quella del filosofo, lui che fu
entrambe le cose e che meglio di chiunque altro conosceva
il percorso ‘poetico’ da compiere, se poetico
ha la sua radice nel verbo greco poièo tradotto
in fare, creare, costruire, assai vicino all’architettare.
L’abitare, l’occupare stabilmente uno spazio,
organizzarlo ed usarlo significa dunque attuare un percorso
simbolico equivalente ad un percorso poetico (po-i-etico),
forse è questo che si legge in quella piazza e che
la rende unica, il risultato di un ‘fare’ che
ha la propria essenza nel suo stesso farsi, dove la poesia
si identifica nell’inesauribile spinta umana ad una
poiesis che, opponendosi alla corruzione del tempo,
prosegue ininterrotta attraverso i secoli e le generazioni.
Tanto inutile quanto necessaria.
Come l’arte.
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Arte
pubblica e abitare poetico
Abitare poeticamente l’ambiente
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