Il ‘900 non è stato un secolo
come tutti gli altri, sono avvenute molte più cose
di quante ne siano successe in una decina di secoli precedenti,
comprese ben due guerre mondiali e vari olocausti di minoranze
etniche, è il secolo dell’industrializzazione,
dell’inurbamento, dell’alfabetizzazione, del
consumismo, dell’esplosione demografica, quello in
cui sono state fatte come mai prima importanti scoperte
scientifiche, in cui la maggioranza dell’umanità
evoluta ha smesso di coltivare campi e allevare animali
per impadronirsi delle novità tecnologiche, in cui
in occidente il femminismo ha emancipato le donne, in cui
quasi tutti hanno avuto accesso al voto, all’amministrazione
della giustizia, all’istruzione, molte monarchie europee
si sono drasticamente ristrutturate in senso democratico,
si sono tracciate le premesse dello stato sociale……..
Un ‘secolo breve’, per usare parole di Eric
J. Hobsbawn ("Il secolo breve", 1995), in cui
si sono condensate tragedie e conquiste ed il tempo pare
aver accelerato la sua corsa imprimendo alla storia una
esasperata velocità ed alla vita degli uomini imprevisti
e traumatici cambiamenti.
La durata del ‘900 si contrae, per Hobsbawn, tra
il 1914, anno della prima grande guerra, e il 1991, che
segna la fine della guerra fredda, periodo che egli definisce
“L'epoca più violenta della storia dell'umanità”.
La guerra, infatti, con la sua cieca violenza, è
la metafora più espressiva di un conflitto prima
di tutto ideologico tra grandi sistemi (capitalismo, comunismo,
fascismo), al di là di ogni altro quadro interpretativo
possibile.
Il ‘900 è “un secolo, che a differenza
di quelli precedenti, appare all’immaginario collettivo
un coacervo di eventi alla cui intelligenza mancano punti
focali forti in grado di fungere non solo da selettori delle
rilevanze, ma anche da centri di irradiazione di senso”
(Alberto De Bernardi, "Il Secolo Delle Masse"),
un secolo pieno di contraddizioni, dilaniato da due forze
opposte, una centrifuga che lo sospinge verso un ignoto
futuro tutto da costruire infrangendo ogni regola precedente,
una centripeta che lo risucchia verso un rassicurante passato.
Ciò ha caratterizzato profondamente il corso dell’arte
figurativa, specie in Italia, dove accanto a movimenti restaurativi
come Novecento, Realismo Magico, Strapaese, Valori Plastici,
tendenti al ripristino dei legami di continuità con
la tradizione classica, al ritorno all'ordine ed all'armonia
compositiva del passato, si formano correnti rivoluzionarie
come il Gruppo Forma 1, Fronte Nuovo, il Gruppo degli 8 e, a livello europeo, l’Informale materico, il gruppo
Cobra, Phases e molti altri.
Il giudizio storico su questo secolo anomalo si può
quindi desumere da opposti punti di vista, spesso, inspiegabilmente,
con la prevalenza di una lettura ‘responsabilistica’,
secondo una storiografia orientata alla ricerca di ‘un
responsabile’, che dribbla quindi ogni doveroso sforzo
di sintesi.
Se nel campo dell’arte visiva pare che il passato,
per quanto traumatico, sia stato metabolizzato conciliando
in una complessiva visione storica l’ambito cronologico
con quello concettuale, in architettura ciò non è
accaduto: a distanza di quasi un secolo, continua la colpevolizzazione
del razionalismo e la ricerca di “eventuali responsabili”
(“Dietro
il Modernismo: alcune verità nascoste”,
di Ettore Maria Mazzola) per un movimento che ha avuto il
suo spazio anche nella contemporanea arte visiva (Neoplasticismo,
Costruttivismo, Purismo, Abstraction-Création), nella
quale si configura tuttavia come uno dei tanti momenti di
crescita, un passaggio obbligato, un’esigenza che
ha le sue motivazioni nel complessivo momento storico in
cui si manifesta.
Perché non esiste una storia dell’architettura,
una dell’arte, una della musica ecc., esiste la storia
dell’uomo, artista, architetto, musicista, esseità
complessa e non divisibile in singoli frammenti, una storia
che va letta nel suo insieme.
Dopo l’irruzione del ‘900, non sarà più
possibile che “città, cresciute su sé
stesse per duemila anni nel rispetto del delicato rapporto
città-campagna” si sviluppino ancora secondo
un illuminato spontaneismo, ed ecco entrare in scena Le
Corbusier, “figura di vero monarca assoluto”
a metà tra Superman e Rasputin, che impone le sue
individuali convinzioni, i “dettami di un'unica
persona mascherati da un presunto pubblico consenso”.
Se ciò è vero e se ciò accade è
perché la situazione economica, culturale e sociale
di quel momento glielo permette, anzi glielo richiede, ed
egli agisce con l’intenzione e la consapevolezza non
di fondare un grande movimento popolare, ma di esprimere
la volontà di un gruppo elitario di addetti ai lavori,
come è accaduto dopo per il New Urbanism ed anche
tutte le volte che in passato si è messa in atto
una pianificazione urbanistica progettata: Ippodamo da Mileto
progetta secondo una precisa maglia viaria a dimensione
modulare le città-stato dell’antica Grecia,
Mileto, Piene, Rodi, Olinto e probabilmente Agrigento, Pompei,
Paestum, gli urbanisti dell’antica Roma costruiscono
le città dell’impero impostando una griglia
ortogonale a due assi principali, cardo e decumano, il Rinascimento
progetta addirittura la sua città ideale, la Sforzinda
del Filerete, e anche Pienza, Castrocaro, l'addizione estense
o Borso d'Este della città di Ferrara, dove Biagio
Rossetti firma un piano urbanistico che triplica la superficie
di Ferrara, attuando il primo esempio di felice connessione
tra città storica e nuova espansione, intervento
che l'UNESCO ha dichiarato Patrimonio Mondiale dell'Umanità
in quanto "...mirabile esempio di città
progettata nel Rinascimento che conserva il suo centro storico
intatto."
Insomma, sembra che Le Corbusier abbia avuto numerosi predecessori
e che fin dall’antichità ci sia stato chi inseguiva
“il sogno di rendere funzionale e ordinata la
città” con un approccio razionale, se
non razionalista, alla sua progettazione.
L’epoca in cui egli agì non poteva giovarsi
di alcun paragone con il passato: nasceva ex-novo la grande
industria, migliaia di metricubi altamente inquinanti che
le città storiche “cresciute su sé
stesse per duemila anni” non potevano certo assimilare
nel loro tessuto, lo zoning era necessario, migliaia di
lavoratori, le nuove masse operaie, si riversavano nei dintorni
dei posti di lavoro creando un’enorme richiesta abitativa,
il verticalismo degli edifici pareva/poteva essere il modo
di salvaguardare spazi collettivi liberi e verdi al suolo,
"separare le funzioni", "aumentare le
distanze", "ragionare per griglie urbane",
"dimensionare tutto su degli standard numerici"
(cito puntualmente dal post di Ettore Maria Mazzola) fu
una scelta dettata da una situazione di emergenza, che richiedeva
soluzioni di emergenza.
Mi sembra un’ipotesi quantomeno
fanta-urbanistica sostenere che Le Corbusier riuscì
da solo a “sottomettere l’intera popolazione
mondiale al suo ideale di città e di architettura”,
imponendo “la sua egemonia a livello planetario”,
egemonia che ancora dura nel tempo. Più probabile
può essere che l’onda lunga delle sue teorie
ci tocchi ancora perché la modernità è
un fenomeno ancora aperto e forse dal '900 abbiamo ereditato
il difficile compito della ricerca dell’impossibile
equilibrio tra spinte innovative e le loro ricadute devastanti
e distruttive che spazzano via natura, luoghi, intere organizzazioni
sociali, cercando di stare dentro la contraddizione e limitarne
i danni (è ciò che auspica Marshall Berman,
"L' esperienza della modernità", 1985).
Scrive Rosa Tamborrino, docente di Storia dell'architettura
al Politecnico di Torino curatrice di un’antologia
di scritti di Le Corbusier per le edizioni Einaudi (2004):
“Io non credo che le brutte periferie odierne
possano essere fatte risalire ai progetti di Le Corbusier.
Inoltre vorrei spendere una parola in più su alcuni
dei quartieri di periferia che oggi è tanto di moda
attaccare [.........] Quegli edifici hanno una loro storia,
una loro ragione d'essere, e se non hanno raggiunto il risultato
sperato da Le Corbusier è perché non sono
stati correttamente forniti di servizi, perché sono
privi di efficaci infrastrutture di collegamento con il
centro delle città. Forse questi progetti oggi ci
appaiono datati perché datate sono le idee che li
hanno generati, ma almeno quelle erano idee! E sarebbe bello
se oggi si ritornasse a costruire seguendo un'idea”.
vai alla seconda parte,
di Pietro Pagliardini >>>>>
link:
Le
Corbusier
Arte
italiana tra le due guerre
Arte
alla fine della seconda guerra mondiale
Arte
nell'Europa post-bellica
Tutta
un'altra storia .....
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DI PIETRO PAGLIARDINI "LE
CORBUSIER E LO STORICISMO"
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