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Testi di Vilma Torselli su "Antithesi", giornale online di critica d'architettura.
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Libri
American Art 1961-2001 la storia dell'arte moderna negli Stati Uniti tra due momenti decisivi della storia americana, la guerra del Vietnam e l'attacco alle Torri Gemelle. |
Musei
Milano, apre il Museo delle Illusioni, con incredibili installazioni, illusioni visive, giochi e rompicapi. |
Concorsi
Concorso artistico Lucca Biennale Cartasia 2022, tema conduttore di questa edizione “The white page” (pagina bianca), le infinite possibilità per gli artisti di raccontarsi tramite le opere in carta.
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Premi
I vincitori del Premio Pritzker per l'architettura 2021 sono Anne Lacaton e Jean-Philippe Vassal: talento, visione e impegno per migliorare la vita delle persone. |
In Italia
Al Palazzo Ducale di Genova, dal 9 settembre 2021 al 20 febbraio 2022 grande mostra di Maurits Cornelis Escher. |
All'estero
Parigi, all’Espace Lafayette-Drouot "The World of Bansky”, su 1200 mq. esposte un centinaio di opere del più famoso street artist del mondo. Fino al 31 dicembre 2021.
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| Mister
Gehry, ci sei o ci fai? di Vilma Torselli pubblicato il 03/07/2006 | Diciamocelo:
MARTa non è una bellezza.
Forse è il caso di precisare che MARTa
non è una donna, ma un museo, un Modern ART museum dove la 'M' ha anche
il compito di evocare la parola Möbel-Herford, regione del nord-ovest della
Germania dove sorge la struttura, nota per le fabbriche di mobili e
complementi d'arredo - mentre la 'a' richiama l'idea di ambiente. |
| MARTa è nato con l'idea di replicare il successo del Guggenheim di Bilbao, puntando
sul fatto che Frank Owen Gehry, architetto canadese di origine ebraica al quale
è stata anche in questo caso affidata la progettazione, è una gallina
dalle uova d'oro che difficilmente si applica senza risultato. Nonostante la
limitatezza dei dati statistici raccolti, poiché MARTa è stato inaugurato
solo all'inizio del 2005, pare che la scommessa di "costruire nel deserto"
o anche di "costruire una galleria a Las Vegas" - così
si esprime Jan Hoet, curatore del museo, schermendosi tuttavia davanti ad un eventuale
confronto concorrenziale con il Guggenheim di Bilbao- sia vincente.
La
formula magica usata dal demiurgo si chiama ancora una volta cheapscape,
geniale recupero celebrativo del rifiuto, con una giusta dose di assemblage newdada, un po' di addizionalismo nouveauréalista, il tutto
amalgamato da una spolverata di neo-espressionismo, il termine più
vago ed ambiguo, dopo concettualismo, che si possa correlare ad un'architettura
. Come sempre insolite, incongrue, atipiche, non pertinenti, anche in questo
caso le strutture di Gehry obbligano lo spettatore ad un riesame del mondo e delle
forme della realtà ed alla scoperta della dignità formale e culturale
di tutto ciò che è obsolescenza, abbandono, dismissione sia ambientale
che strutturale, cheapscape, appunto.
Costruzione di dimensioni
faraoniche, MARTa ingloba infatti una vecchia e fatiscente fabbrica di abbigliamento,
attorno alla quale si sviluppa una articolata morfologia che tiene conto del contesto
paesaggistico quanto il Guggenheim o la Disney Concert Hall, cioè, ad essere
sinceri, non molto: del resto, Antonino Saggio scrive che le strutture di Gehry
"si confrontano con i luoghi in maniera provocatoria e coraggiosa" ('Tappeti volanti', sul libro di Bruce Lindsey "Gehry Digitale. Resistenza
materiale. Costruzione digitale"), che è come dire fregandosene. |
Ed infatti, a dispetto delle rilevanti
differenze ambientali, per non dire di quelle socio-economiche-culturali del contesto
urbanistico, queste due strutture a-topiche si propongono 'provocatoriamente'
incuranti e 'coraggiosamente' incongrue rispetto all'intorno, rapportate solo
a sé stesse, come altre dello stesso autore - l'Experience Music Project,
il Pritzker Pavilion, o l'intervento alla Case Western Riserve University, giocato,
come MARTa, sul contrasto tra metallo e mattone, tra morbidezza delle lamine e
rigidità delle murature - tutte varianti su un unico tema ricorrente, con le
stesse ondulazioni, stesso baluginio di titanio, stesso gigantesco andamento plastico-scultoreo.
Un procedimento che la cultura visiva moderna ha desunto dall'avanguardismo
del '900 e che va sotto il nome di decontestualizzazione è per Gehry pratica
corrente, intesa letteralmente come "estrazione dal proprio contesto", da quella
fitta rete di relazioni che collegano ogni prodotto dell'uomo alle svariate forme
dell'attività culturale, civile e sociale del momento storico in cui vive,
decontestualizzazione come affermazione dell'autonomia del prodotto considerato
in sé, slegato da condizionamenti e da significati aprioristici e perciò
reso universale, decontestualizzazione degli ordini storici e riassemblaggio secondo
una logica che risponde a esigenze creative non codificate né codificabili,
con l'intento di porre il fruitore nelle condizioni di valutare la realtà
secondo un nuovo punto di vista, inducendolo a guardare il solito mondo con nuovi
occhi.
" [
.] concordo con il concetto di decontestualizzazione.
Per decontestualizzare si è costretti a operare una repressione; il processo
di decontestualizzazione è costante e bisogna continuamente cercare le
complessità imprigionate dai tentativi di codificare, semplificare, spiegare.
Penso che dovremmo tendere a rendere le cose meno comprensibili [
...]",
intervistato da Alessandro d'Onofrio, così dichiara, riferendosi a Marcel
Duchamp, Peter Eisenman, che pratica la decontestualizzazione intricandola con
il contributo concettualista della sua matrice ebraica.
Ma se per lui ed altri
architetti della corrente concettuale-decostruttivista - si pensi a
Rem Koolhaas, a Daniel Libeskind, a Bernard Tschumi - il risultato attinge esiti
squisitamente intellettualistici, mistici o surreali o metafisici, per Gehry decontestualizzazione
vuol dire soprattutto ironia, divertimento, voglia di stupire, uno spiazzante
gioco di prestigio, la boutade di un astuto architetto-bambino che non perde mai
di vista l'effetto scenico ed il clamore mediatico (un documentario sulla sua
vita è stato affidato all'obiettivo nientemeno che di Sydney Pollack, come
si conviene ad una vera star), seppure anche per lui decontestualizzazione significhi,
in primis, destabilizzazione percettiva, ricerca di assoluto ed affermazione di
libertà mentale. D'altra parte, se Duchamp, il padre del '900 avanguardista,
espone un orinatoio, decontestualizzandolo e chiamandolo "Fountain",
Gehry potrà pure chiamare le sue mega-sculture, altrettanto decontestualizzate,
'museo' o 'concert hall', revisionando di colpo le basi storiche e strutturali
della cultura di tutto l'Occidente e rivelando, novello messia, un nuovo verbo,
il suo!
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pagine 1-2 |
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