La
riconoscibilità e la tipicità del linguaggio espressivo sono, ovviamente,
un punto di forza, e non una penalizzazione, è ciò che costituisce
lo 'stile' di un artista o di chiunque operi nel campo visivo, tuttavia la sottrazione
del linguaggio alla riconoscibilità di un codice noto o comunque rintracciabile
- perché i codici esistono, anche se non sempre ne siamo consapevoli, altrimenti,
senza un codice e la sua relativa decodificazione, non esisterebbe la comunicazione - l'uso di un linguaggio 'privato' che non cerca relazioni di continuità
con il passato, la ricerca di "una intensità della forma che va
al di la della funzione per diventare una presenza, un oggetto", una
concezione oggettuale ed eminentemente scultorea dell'architettura, frutto di
una liberatoria gestualità 'espressionista', tutti questi elementi fanno
di Gehry l'architetto contemporaneo probabilmente più frainteso, nel bene
e nel male. Certamente con Gehry si è stabilito un primato, quello
dell'autore nei confronti dell'opera, o quello del soggetto creativo nei confronti
dell'oggetto creato, ma poiché ciò che resterà nel tempo
non è Gehry, ma la sua opera, si pone indubbiamente il problema della leggibilità
e della trasmissibilità di un messaggio arbitrario e personale del quale
probabilmente nessuno potrà/saprà cogliere l'eredità.
Ciò
non importerebbe più di tanto se non fosse che l'elaborazione di una 'scuola' - elemento di importanza inderogabile quando si parla di una disciplina squisitamente sociale quale l'architettura - è ciò che rende fertile ed utile alla collettività ogni discorso individuale che non voglia restare un fenomeno
circoscritto, nel tempo e nello spazio, più legato al costume che alla
cultura. Ma Gehry ha in più occasioni dichiarato la sua opposizione
al concetto di "schools", prendendo anche le distanze dalle (deboli)
basi programmatiche del decostruttivismo poste nel pensiero filosofico di Jacques
Derrida, rivendicando l'unicità e l'indipendenza del prodotto architettonico
artisticamente inteso, frutto di una gestualità soggettiva e libera, una
sorta di totem plasmato dalla mano anziché dalla matita, hic et nunc, unico
ed irripetibile.
Curiosamente, è invece la critica che, quasi malgrado
lui, gli costruisce una sorta di background di cui pare egli stesso inconsapevole:"Zevi parla di Gehry quale "[
] punto d'arrivo della ricerca iniziata
da William Morris, articolata da Le Corbusier e Mendelsohn, esaltata dal genio
di F.Ll.Wright [......] Gehry è di più [......] Gehry
sa che nel 1599 era nato Francesco Borromini e che, nella sua scia, erano arrivati
Horta, Gaudì, Sullivan, Aalto e soprattutto Wright" così scrive Paolo Ferrara ("Frank O. Gehry,
il presente del passato, il futuro del presente", Antithesi, 2001), per non parlare
delle sue correlazioni con il Futurismo italiano, del quale prosegue e conclude la
ricerca dinamica, tanto che " Il sogno di Boccioni, si tramuta in realtà
attraverso Gehry" (Antonino Saggio, "FranK Owen Gehry. Luna meccanica",
2000).
E nello stesso scritto l'autore formula l'osservazione forse
più paradigmatica del modo operativo di Gehry quando afferma: "L'idea
di Boccioni è una scultura architettonizzata, Gerhy fa invece una architettura
scultorizzata". In un articolo che pare la versione ironica e divertente
di questo assunto, Tom Munnecke, scrittore, docente, responsabile della Science
Applications International Corporation (SAIC) in San Diego e dello Stanford Digital
Visions Program, dopo una visita alla Case Western Riserve University scrive:
"I suppose that this is an interesting building, but it felt like an ice
cube to me" titolando "As an Architect, Frank Gehry would make a good
sculptor" - e forse, con un po' di cattiveria, si potrebbe aggiungere
che come scultore è un bravo architetto - .
L'impatto con l'edificio,
per Munnecke, è quasi comico:"[
..] Entering the building,
however, was somewhat of a shock. Squeezing through a slanted gap between the
metal and the brick, I thought I might be coming in through a loading dock. I
pushed my way in, as if I had to fight the building to enter. Once in, I was met
with confusing mishmash of elements, consisting of a door to a conference room,
a side hallway, and a desk which looked like a ticket taker in a movie theater.
Confirming that I was indeed in the right place, I went to the conference room,
which gave me the opportunity to watch other building novices go through the same
experience. [
..]".
Si deve ammettere che non si capisce perchè
debba essere bene, almeno secondo gli estimatori di Gehry, che l'accesso ad un
edificio pubblico sia traumatico ([
..] I pushed my way in, as if I had
to fight the building to enter [
..]) e non invece banalmente e razionalmente
evidente e semplice, in grado di facilitare nel modo più immediato l'orientamento
di chi entra ed ignora che, così facendo, questo estroso enfant terribile dell'architettura non vuole confondergli le idee, ma che egli, 'semplicemente',
"[
.] cattura tenacemente lo spazio e lo centrifuga per dargli forza
di presenza, per poi ricacciarlo fuori [
.]"("Frank O. Gehry,
il presente del passato, il futuro del presente", idem). Per
tornare a MARTa, Giulio Romano ("Ventiquattrore magazine", 3 giugno
2006) lo descrive così : "[
.] La costruzione è grande
come uno stadio. Vista dall'alto, ricorda un fiore stilizzato o un'enorme brioche
[
.]": ora, non c'è (forse?) niente di male che un Modern Art
Museum sembri una brioche , importante sarebbe che tutti capissero, possibilmente
senza mediazione alcuna, che quella di Gehry è "l'architettura
dell'antiperfezione e dell'antiaccademia", per questo può somigliare
provocatoriamente ed impunemente ad una brioche o ad un cubetto di ghiaccio, non
si tratta di un caso, di una caduta di stile o del gioco sadico di un creativo
scherzoso
.
Queste riflessioni sono, evidentemente, il pretesto
per mettere in risalto una sostanziale divisione del mondo, globalmente inteso
come abitato da geni, stupidi, artisti, architetti, ragionieri, metalmeccanici
e casalinghe di Voghera, in due distinti blocchi: da una parte una minoranza di
colti addetti ai lavori, critici, studiosi, esperti che decretano "voi
non sapete perché né potrete mai capirlo, ma questa architettura
è un capolavoro", dall'altra parte una maggioranza di incompetenti,
sprovveduti e disinformati che dichiarano "questa architettura sarà
pure un capolavoro, ma noi non sappiamo perché né riusciremo mai
a capirlo". Il risvolto tragicomico della faccenda è che sono
proprio questi ultimi, la gente comune che va ai musei, ai concerti, negli uffici, nelle
università, i destinatari finali dei prodotti di Gehry e di quanti altri
geni spesso incompresi, o compresi solo dalla suddetta minoranza, progettano oggi
per l'umanità. Che magari si chiede se l'imperatore veste davvero
l'abito sfarzoso ammirato dalla corte, o se è nudo, e nessuno osa dirglielo. |