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"Il fotografo ritrattista è un
artigiano dell'anima, un cannibale della retina in presa diretta
con la pittura
(Fabiana Cutrano)
Gli indiani d'America, e come loro anche altre civiltà
arcaiche, temevano che la fotografia potesse rubare lanima
di chi veniva fotografato, e parlando di ritratto laffermazione
appare assai più credibile di quanto si possa a tutta
prima ritenere, e non solo per gli indiani dAmerica.
Il volto, lo sguardo, lespressione, le caratteristiche
fisiognomiche sono infatti importanti indizi dellinteriorità
del soggetto, che viene attraverso di essi rivelata e messa
a nudo ed in un certo senso espropriata nella sua componente
psicologica più profonda, nella sua anima, appunto.
E se lanima è di per sé indefinibile, ancorché
immateriale, essa tuttavia costituisce la differenza fondamentale
tra la pura rappresentazione documentale di un soggetto ed il
suo ritratto, affermando in un certo senso la sua presenza proprio
attraverso il suo negativo: se è infatti difficile stabilire
quando un ritratto ha unanima, è invece relativamente
semplice accorgersi di quando non ce lha.
Ma un buon ritratto deve rubare lanima, e
lanima rubata realizza una promessa di immortalità
che fa del ritratto un talismano di incontrastabile potere seduttivo, "unassicurazione contro la
scomparsa definitiva, uno strappo al silenzio della morte" (Letizia Gilardino, "Catturare l'immagine nello specchio"). |
Lautoritratto è qualcosa di assai diverso dallessere
il ritratto di sé stessi, poiché, accanto alla
capacità introspettiva, esso richiede il coraggio di
guardarsi dentro in quella che Alberto Boatto definisce una
protratta e impietosa inchiesta condotta fin negli
strati riposti del proprio essere (Alberto Boatto,Narciso
infranto. L'autoritratto moderno da Goya a Warhol, 2005)
Perché attraverso l'autoritratto si attua un processo
non solo cognitivo, ma anche emozionale e relazionale del
tutto inedito indotto dallo sdoppiamento tra la parte che
osserva e quella osservata e dalla coincidenza tra l'io soggetto-spettatore
e l'io oggetto-rappresentato.
In questa situazione l'interesse di tipo ottico-realistico
viene inevitabilmente sostituito dall'attenzione per tutto
ciò che accade nella sfera dell'interiorità
del "soggetto senziente", in rapporto empatico con
ciò che percepisce, "l'oggetto sentito",
nella fattispecie coincidenti.
Sì, lautoritratto scrive
Flavio Caroli - è il punto più profondo di
una tendenza essenziale nellarte occidentale moderna:
lattenzione alla psiche del soggetto rappresentato
..
Assai più del ritratto, lautorappresentazione,
che affronta il nodo di uno dei rapporti più problematici
della psicanalisi, necessita di una capacità di indagine
che spesso trova tenace opposizione nel rapporto delicato
e talvolta controverso che ciascuno di noi ha con la propria
immagine (allo specchio, in pittura, in fotografia
.)
e con la propria identità.
Forse proprio per questa complessità di significati,
lautoritratto è una stimolante sfida che quasi
tutti gli artisti hanno raccolto, dalletà preromanica
in cui lamanuense inseriva talvolta nei codici miniati
la propria immagine, al medioevo quando scultori o pittori
si autorappresentavano allinterno della propria opera,
al Rinascimento, nel quale esso raggiunge la maggior diffusione,
si pensi a Dürer, il Parmigianino, El Greco, proseguendo
per Goya, Courbet, Rembrandt che esegue una settantina di
autoritratti documentando la sua intera vita, giungendo a
Van Gogh, Picasso, Munch, Boccioni, De Pisis, Dalì,
Clemente, De Chirico, Ligabue, Afro, Balla, Beuys, Funi, Kokoschka,
Léger, Matisse, Manzù, Pistoletto, Rosai, Roualt,
Sironi, Turcato, Vedova, Vasarely, Warhol .
..
Lautoritratto ripercorre e rispecchia le tappe della
formazione dellIo, portando in superficie e rielaborando
le ansie correlate al senso della nostra identità.
In tal modo si configura come un racconto autobiografico,
una confessione, una interrogazione, un gioco speculare in
cui si prende coscienza della dimensione fisiognomica del
proprio io e di unimmagine corporea non sempre coincidente
con quella mentale, unoccasione per evidenziare la fragilità
del concetto del sé rispetto ai correnti meccanismi
di identificazione.
Esso diviene così una esplorazione del privato e dei
sentimenti attraverso la corporeità, ciò che
fa scrivere a Frida Kahlo, più volte autoritrattasi: Dal momento che i miei
soggetti sono sempre stati le mie sensazioni, i miei stati
mentali e le reazioni profonde che la vita è andata
producendo in me, ho di frequente oggettivato tutto questo
in immagini di me stessa, che erano la cosa più sincera
e reale che io potessi fare per esprimere ciò che sentivo
dentro e fuori di me.
Scrive Antonio Natali in occasione della mostra sulla Collezione
dautoritratti di Raimondo Rezzonico (Genova, 2006)
: Lartista sceglie se stesso come modello;
e ritraendosi accetta il gioco analitico che ognuno, con diversi
gradi di competenza, praticherà sulla sua carne viva.
La postura del corpo, lo scatto del volto, i lampi degli occhi,
lattitudine affettiva, il corredo doggetti: tutto
sarà della sua effigie passato al vaglio. E lesercizio
duna lettura introspettiva godrà di mille varianti,
venendosi in esso a sommare le peculiarità psicologiche
dellartista e quelle dellesegeta.
Ed è la propria carne viva, dilaniata e sanguinante,
smembrata con autodistruttivo furore che ci mostrano Lucian
Freud, Egon Schiele, Oscar Kokoschka, Francis Bacon, Maurice
de Vlaminck, Edvard Munch, Antonio Ligabue, è la propria
carne viva, freddamente sezionata con lucida autocoscienza
come su un tavolo anatomico, che espongono Chuck Close, Amedeo
Modigliani, Frida Kahlo
..
Lautoritratto, dunque, va direttamente allorigine
dellio, e nel caso della fotografia ci va nel modo più
diretto, congelando lattimo temporale di unimmagine
allo specchio ed instaurando un confronto spesso ansiogeno
tra il sé osservato ed il sé immaginato, due
differenti identità che convivono talvolta allinsaputa
luna dellaltra.
Augusto Pieroni parla dellautoritratto fotografico come
pratica obliqua, riferendosi al gioco
di specchi Rembrandtiano che fa di questo genere uno strumento
di autoanalisi e di terapia per riportare ad unità,
per quanto aperta e problematica, la molteplicità di
identità che l'uomo amministra in sé e per gli
altri. La fotografia ha arricchito questo filone grazie al
dispositivo lente-otturatore che istiga a mettere in posa
l'Ego, a sceneggiarlo, offrendo una ben conscia bugia in pasto
al tradizionalmente sincero e trasparente mezzo fotografico.
("(Auto)ritratto: fra rimeditazione e rimediazione
dell'identità fotografica")
Se è vero che numerosi pittori si sono autoritratti
nellatto dellesecuzione dellopera muniti
degli strumenti distintivi del loro mestiere, pennelli e tavolozza,
come Dalì o De Chirico o Rockwell Kent, che propone
una divertente versione della triangolazione specchio-artista-dipinto,
credo che siano assai di meno i fotografi che si sono autoritratti,
ma tra essi percentualmente molti di più quelli che
lo hanno fatto davanti ad uno specchio con la macchina fotografica
bene in evidenza, ad affermazione chiara ed inequivocabile
di una identità simbiotica con lo strumento: ciò
che lo specchio rimanda acquisisce così un marchio
di garanzia grazie allocchio meccanico dellobiettivo,
presenza imparziale ed asettica che certifica che lautore
è proprio lui e rende lautoritratto, tanto scontatamente
quanto falsamente, sincero e trasparente. |